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Frammento di vita di un clochard -

Post n°43 pubblicato il 08 Maggio 2011 da giulia.2001

Le panchine intorno alla chiesa di Santa Maria del Quartiere erano deserte. Solo un uomo sedeva sopra una panca in prossimità di un albero spoglio di foglie. Indossava un cappotto rattoppato in più parti, l’unico che possedeva. Adelmo, questo era il suo nome, rincorreva i suoi pensieri ignaro delle persone che transitavano davanti alla postazione dove stava seduto. La temperatura dell’aria era vicina allo zero. Il cielo carico di nubi. Una pioggerellina sottile cadeva ad intermittenza dal primo pomeriggio sulla città. Da lì a poco, col sopraggiungere dell’oscurità, sarebbe arrivata la prima neve della stagione.

Adelmo sollevò il bavero del paltò e lo avvicinò al collo per proteggersi dal freddo. Da una tasca del cappotto estrasse un sacchetto di plastica annodato con molta cura all’estremità. L’involucro conteneva una mistura di tabacco frutto della raccolta di mozziconi di sigarette. Appoggiò il sacchetto sulle ginocchia, dopodiché aprì una cartina di tabacco per arrotolare una sigaretta. Le mani gli tremavano per il freddo. Distribuì i frammenti di tabacco sulla sottile striscia di carta bianca fino a raggiungere la quantità desiderata. Arrotolò la cartina, ne inumidì un lembo e lo incollò alla superficie sottostante. Tolse dalla tasca una scatola di fiammiferi di legno e accese la sigaretta.

Le prime boccate di fumo consumarono in fretta l’estremità della bionda. Adelmo aveva gli occhi persi nel vuoto, come del resto i suoi pensieri che parevano dissolversi nell’aria allo stesso modo dei cerchi di fumo che gli uscivano dalle labbra.

Da un sacchetto di plastica sistemato attorno ai piedi tolse una bottiglia di vino mezza piena. Afferrò il collo di vetro della bottiglia nella mano e l’avvicinò alle labbra. Deglutì il vino frizzante lasciando che il liquido scivolasse poco per volta nella gola a riempirgli le viscere e trasmettergli un poco di calore. Furono sufficienti poche sorsate per svuotare il recipiente di vetro. Lasciò cadere la bottiglia per terra, fra le foglie accatastate ai suoi piedi, abbandonandola al suo destino. Era la quarta bottiglia di lambrusco che svuotava da quando al mattino si era messo per strada e ancora doveva cenare, se mai ne avesse avuto l’occasione.

Da sotto il calzino tolse una piccola busta. Era lercia, spezzettata in più parti. L’aprì e si mise a contare la cartamoneta che custodiva. Gli erano rimasti soltanto alcuni biglietti da dieci euro; per qualche giorno non gli sarebbe mancato il denaro per comperarsi da bere, poi avrebbe dovuto arrangiarsi.

Adelmo conduceva la vita da barbone da una decina di anni. Si era messo per strada dopo avere abbandonato affetti, lavoro e carriera, deciso a vivere alla giornata. Aveva preso quest’ardua decisione dopo essere stato ricoverato in sala di rianimazione a causa di un incidente stradale di cui era stato innocente protagonista. Durante il coma aveva varcato più volte la soglia della vita. In quei giorni d’incoscienza e torpore aveva potuto guardarvi dentro senza trovarci nulla. Di ritorno all’esistenza di tutti i giorni, dopo tre mesi trascorsi in ospedale, si era reso conto che la vita, così come l’aveva vissuta sino ad allora, era priva di qualsiasi significato.

Non ci aveva riflettuto molto nel dare un taglio netto con il passato.

Aveva lasciato dietro di sé carriera, ricchezze e onori, ed il rimpianto di coloro, amici e parenti, che comunque avrebbero continuato a volergli bene nonostante la sua scelta di vita. Da mendicante si era messo alla ricerca di una verità che potesse dare significato alla sua esistenza. Da dieci anni conduceva quella vita da accattone. Gli piaceva stare accovacciato sul marciapiedi di qualche chiesa nell’attesa che qualcuno si degnasse di fargli l’elemosina. Una barba incolta, folta di striature di grigio, gli ricopriva il viso. I capelli, un tempo corti e ben curati, erano lunghi e raccolti sulla nuca con una fettuccia. Si lavava di rado, il corpo mandava un puzzo tremendo, e la pelle aveva assunto un colorito bruno. La gente lo evitava come si trattasse di un appestato, ma lui non se ne dava grande pena perché si comportava allo stesso modo nei loro riguardi.

Dopo avere riposto il denaro nella scarpa si alzò a fatica dalla panchina. Impiegò un po’ di tempo a mettersi dritto, ma non si perse d’animo. Infilò lo zaino di tela grossa sulle spalle e afferrò le due borse di plastica che stavano ancorate ai suoi piedi. A passo lento si avviò verso le strisce pedonali che conducevano all’altro capo della piazza verso Via Imbriani.

La sua andatura era caracollante, insicura. Indeciso sul da farsi arrestò il proprio incedere in corrispondenza del bordo del marciapiede senza decidersi ad attraversare la strada sulle strisce pedonali. «Ha bisogno di aiuto? Vuole che l’assista nell’attraversare la strada?» Sorpreso da quella insolita domanda girò il capo nella direzione da cui proveniva la voce. Una giovane ragazza se ne stava immobile accanto a lui.

«Non abbia timore, l’aiuto io.»

La ragazza infilò la mano sotto il braccio di Adelmo e lo accompagnò dall’altra parte della strada, poi lo salutò e proseguì nel proprio cammino. Quando Adelmo era giovane il semplice contatto con un corpo femminile gli avrebbe messo il sangue sottosopra, stavolta sfiorando l’esile corpo della ragazza non si era sentito confuso dalla sua vicinanza. Anzi, l’umile gesto lo aveva messo in imbarazzo facendolo sentire un derelitto anche se di anni ne aveva solo quaranta.

L’ultima volta che aveva avuto un rapporto sessuale con una donna era accaduto un anno prima, alla stazione ferroviaria. Quella notte se ne stava coricato su di una panca della sala d’aspetto quando fu avvicinato da una giovane ragazza.

«Cento sacchi se te lo fai succhiare» disse la giovane. «Cosa?» «Dai non fare lo stronzo, hai capito bene. Ti do cento sacchi se ti lasci fare una pompa.»

Frastornato dall’insolita richiesta Adelmo si era messo a sedere sulla panca appoggiando i piedi per terra. La ragazza, dall’aspetto elegante e raffinato, vestiva una pelliccia di visone sbottonata sul davanti. Un abito da sera, nero, scollato a punta, metteva in evidenza le forme tonde delle tette. Indossava una paio di scarpe nere, lucide, coi tacchi a spillo che ne affusolavano le gambe. Nella sala d’aspetto, insieme a lui, c’era pure un gruppo di nordafricani; in prevalenza marocchini e tunisini. Gente dedita allo spaccio e a fare marchette. Probabilmente anche loro si erano stupiti nel vedere una giovane donna colloquiare con lui.

Ma anche ad Adelmo era parso piuttosto strano che una tipa così giovane e carina desiderasse a tutti i costi fargli un pompino e pagarlo con una cifra così alta. C’era qualcosa d’anormale nel comportamento della ragazza e non era riuscito a capire cos’era.

«Va bene, dai, ti do centocinquanta sacchi, ma sbrigati a seguirmi nel bagno che ho fretta.»

Adelmo non aveva potuto declinare quell’ultima offerta. E poi se lo sarebbe fatto fare anche gratis il pompino se la ragazza glielo avesse chiesto.

Allontanatisi dalla sala d’aspetto della stazione ferroviaria avevano camminato sotto la tettoia del primo binario fino a raggiungere l’area riservata al personale viaggiante delle ferrovie. Quando si erano trovati a transitare dinanzi alla vetrata della stanza che ospitava il posto di polizia nessuno dei poliziotti aveva fatto caso alla loro presenza, intenti com’erano nel sottoporre ad interrogatorio alcuni extracomunitari dalla pelle nera.

La ragazza gli era sembrata a proprio agio nell’ambiente della stazione, come se fosse solita frequentare quel luogo. Superato uno dei magazzini che ospitavano materiale per la manutenzione, la ragazza era entrata nella latrina riservata al personale delle ferrovie. Adelmo si era accodato a lei seguendola dappresso. Tre orinatoi incastonati nel muro occupavano una intera parete dei servizi igienici. L’ambiente, male illuminato, era provvisto di due cessi alla turca. La ragazza era entrata per prima nel locale aveva provveduto ad aprire una delle porte dei cessi e con un gesto della mano aveva invitato Adelmo ad accomodarsi dentro insieme a lei.

Dentro il gabinetto Adelmo aveva provveduto ad appoggiare le scarpe sull’appoggia piedi della turca e la ragazza si era messa in ginocchio davanti a lui. Un istante dopo gli aveva sganciato la cintura dei pantaloni abbassandoli sino alle ginocchia insieme alle mutande. Adelmo era rimasto in piedi impossibilitato ad appoggiare la schiena a una parete, con gli occhi fissi sul legno della porta che aveva di fronte piena di scritte oscene e tracce di escrementi.

La ragazza, piuttosto eccitata, aveva iniziato subito a masturbarlo.

Adelmo, stupito dal modo di fare della donna, era rimasto ad osservare i movimenti della mano che lo masturbavano, sorpreso nel constatare che al polso aveva infilato un orologio Cartier d’oro massiccio. L’uccello aveva preso subito vigore nonostante il lungo letargo cui Adelmo l’aveva costretto. La ragazza gli aveva succhiato la cappella con impegno nonostante la puzza che emanava. Erano trascorse molte settimane dall’ultima volta che si era lavato ai bagni pubblici di Via Bixio. La cappella doveva puzzare da fare schifo, increspata com’era di sedimento d’urina, ma la ragazza non ci aveva fatto troppo caso, anzi, probabilmente era quello di cui aveva bisogno per eccitarsi. Sembrava averci trovato gusto nell’annusare il tanfo di cui era impregnato l’uccello, infatti, non aveva smesso un solo istante di manovrare la lingua sulla cappella mugolando di piacere come una cagna in

calore.

 
 
 
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