Ali d'aquila
persone cristiane lesbiche, gay, bisessuali, transessuali di Palermo
DALLA "CARTA DEI VALORI" DEL GRUPPO ALI D'AQUILA
Il gruppo "Ali d'Aquila" nasce nel Natale 2008 col desiderio di creare un luogo di accoglienza e di preghiera per le persone omosessuali, per favorire una riconciliazione con se stessi, con Dio e con la Chiesa.
Ci incontriamo nell'ascolto reciproco, nella condivisione delle nostre esperienze, nell'accettazione delle nostre umane diversità, con l'amore dei fratelli, mettendo a frutto quei talenti, doni e carismi che Dio ha donato a ciascuno per la crescita del gruppo.
Poniamo Cristo al centro della nostra stessa esistenza, lasciandoci interrogare dalla Sua Parola per la nostra crescita, umana e spirituale, in una continua e instancabile ricerca della Verità che ci rende liberi.
Vogliamo percorrere un cammino di riconciliazione con la Chiesa, attraverso il dialogo, il confronto e la conoscenza reciproca, nella consapevolezza che la dimensione omoaffettiva è un valore e può ben costituire un percorso di crescita e di approfondimento per vivere, senza pregiudizi, una relazione autentica con l'altro.
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Intervento di Rosa Salamone del gruppo Varco-Refo di Milano tenuto al I° forum italiano dei cristiani omosessuali
Post n°20 pubblicato il 31 Marzo 2010 da gruppoalidaquila
Sono Rosa Salamone, sono valdese da dieci anni dopo essere stata una fedele cattolica per alcuni anni della mia vita. Sono la coordinatrice del gruppo VARCO di Milano, gruppo di Valorizzazione e Riconoscimento della Comunità Omosessuale. Ne sono una delle fondatrici. Il VARCO è una realtà ben radicata all’interno delle nostre chiese, è una struttura riconosciuta e nata all’interno dell’assemblea circuitale lombardo piemontese, come tale ha avanzato quest’anno richiesta di finanziamento alla Diaconia, pertanto se i nostri progetti vengono approvati saremo concretamente finanziati dai fondi dell’otto per mille. Questo aspetto tengo a sottolinearlo perché non si capirebbe come interagiamo con le nostre comunità né si capirebbero aspetti del mio cammino personale. Non siamo solo un gruppo di amici ed amiche che si riuniscono tra di loro che commentano le letture e che pregano, siamo un organo della chiesa valdese, come tale annualmente riceviamo richieste di convegni, conferenze, riunioni, manifestazioni, articoli, elaborati e incontri di preghiere che a volte è davvero difficile smistare. E’ la stessa comunità, dunque, che spinge a rivelarci senza nascondimenti, che ci aiuta a vivere in piena autenticità il nostro orientamento. Molte comunità ci chiedono di visitarle per parlare di noi, sarà un nostro membro che è stato invitato a predicare al culto di maggio in occasione della Giornata Mondiale contro l’omofobia. E’ stato così quindi a poco a poco anche io ho fatto coming out pubblico, perché ho dovuto rappresentare il Varco in modo ufficiale e perché la mia comunità mi ha sostenuto in questo compito. Non è precisamente un caso, aggiungo, che sia una donna a coordinare il Varco. Un aspetto che salta immediatamente agli occhi nelle nostre comunità è infatti la forte presenza delle donne che svolgono ruoli di non secondaria importanza: sono diacone, presidentesse di circuito, rappresentanti sinodali, teologhe e pastore. La presenza delle donne all’interno di una chiesa non va certo sottovalutato, essa da una parte rappresenta un segno tangibile di una concreta parità di diritti tra uomini e donne raggiunta all’interno delle comunità riformate, ma è anche fonte rinnovatrice e feconda di nuovi approcci e canali con la realtà, non ultima quella che viene chiamata la teologia femminista, che non è solo e banalmente la teologia scritta e pensata dalle donne, è la teologia di coloro che per secoli sono state condannate al silenzio e tenute in uno stato di emarginazione. Vorrei soffermarmi su questo aspetto, anche se può sembrare un po’ fuori d’argomento, perché è attraverso la teologia femminista che ho riscoperto me stessa come “ esclusa” e come tale, contrariamente a ciò che pensano gli uomini, preziosa agli occhi di Dio. Come gruppo Varco invitiamo spesso delle pastore ai nostri incontri ed è stata una pastora la responsabile del nostro gruppo durante questi quattro anni, la pastora tedesca Anne Zell, a cui devo molte delle riflessioni particolarmente attente verso tutte quelle condizioni di esclusione e pregiudizio in cui vivono molti dei personaggi della Bibbia. Le nostre pastore ci hanno insegnato quali conseguenze nefaste ha avuto la morale patriarcale della Bibbia nei confronti dell’alterità, dell’altra e dell’altro in generale tenuto in uno stato di minorità. La morale patriarcale è responsabile di un sistema sociale binario dove l’altro, escluso dal mondo dell’IO, si riveste di tutti quei vizi e quei difetti che l’essere maschile etero orientato non possiede. Questo tipo di teologia ha pertanto un’attenzione particolare e uno sguardo privilegiato verso tutte le minoranze escluse e stigmatizzate dalla morale patriarcale e sull’omosessualità in particolare. Sono state queste donne che hanno conosciuto sulla loro pelle cosa vuol dire essere discriminate che si sono schierate apertamente in favore della comunità LGBTQ tramite documenti e prese di posizioni ufficiali nelle nostre comunità. Ma il mio incontro con queste donne straordinarie non si è limitato solo a questo, perché ascoltandole predicare, parlare, intervenire ho imparato l’esistenza di un altro tipo di linguaggio. Poiché la teologia femminista si rifiuta di dividere il mondo in due parti separate da una profonda frattura, il suo linguaggio non può che essere di genere e inclusivo, un linguaggio che declina al maschile e femminile la natura divina, così attento alle due componenti dell’umanità e della femminità. Stando così le cose il linguaggio femminista inclusivo non può che sfociare nel linguaggio non violento, cioè in quel linguaggio che non usa mai parole come i valori cristiani e i valori non cristiani, peccatori non peccatori, bianco e nero. Il linguaggio inclusivo non violento non separa mai il mondo in buoni e cattivi. Ho dovuto faticare un po’ per liberarmi dal mio precedente linguaggio da crociata, noi/loro, chi sta dentro la chiesa e chi fuori, i giusti e gli sbagliati, coloro che sono in giusto rapporto con Dio e chi no. Potrebbe sembrare un discorso da accademia, ma la mia esperienza personale dimostra che non lo è. Ogni atto linguistico ha delle conseguenze ben precise sulla realtà. Parlando ho imparato ad apprendere che ciò che io contratto con tante persone profondamente segnate dall’omofobia non è tanto la mia presenza lesbica nel mondo ma il messaggio evangelico dal quale non deve mai distogliere lo sguardo. Pertanto ho appreso che il fine della comunicazione non è avere ragione, ma avere senso e significato in due. Per tanto ciò che importa nella realtà non è che il mio principio prevalga sul tuo ma che si trovi un modo di fare coesistere le mie idee con quelle degli altri. Il Varco, però, ha spesso realizzato incontri con la comunità di base di Don Franco Barbero. Penso che tutti conoscano la personalità di questo uomo straordinario, il quale mi ha aiutato nel mio caso personale a recuperare le mie origini latinoamericane. La prima volta che lo conobbi fu in occasione di un incontro nella sua comunità dove mi invitò a parlare di Chàvez e del Venezuela. Ero molto imbarazzata. Temevo di deluderlo.
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