Creato da ilsilenziodeimusei il 30/09/2005

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Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 24 Novembre 2005 da ilsilenziodeimusei

Qualche anno fa, più per caso che per volontà, andai ad Erto e Casso, i famosi comuni che si affacciano sulla diga del Vajont.

La storia del Vajont è stata, per me, lunga e faticosa ricostruzione, fatta attraverso le ricerche sui libri, grazie allo spettaccolo di Marco Paolini, grazie a Tina Merlin, la scrittrice del libro "Sulla pelle viva".

Quando accade io ero una bambina troppo piccola per capire e sapere, per vedere.

Mi ricordo solo, più avanti, quando alla tv sentivo dire la parola Vajont e poco altro, la mia domanda a mia madre a la sua risposta.

Cos'è mamma il Vajont? Di cosa parlano?

E' una disgrazia. Una diga, tanti morti. (mia madre non disse solo questo e ometto parole che ancora oggi mi congelano l'anima..parole amare e sentimenti tristi).

Per me era come dire: cerca ancora, non è tutto qui.

Ho cercato. Ho visto, ho compreso. Non certo tutto.

E ho visto.

Sulla alta valle, circondata dai monti, il lago e la diga, ancora in piedi e là, in alto, immensa la parte sfaldata del monte.

Immensa che a percorrerla non ci riesce l'occhio, da sotto. Un mondo mancante. Un intero mondo, non metri cubi di roccia e terra.

Una ferita tremenda, uno squarcio dilaniato, ancora, dopo tanti anni, che congela, che rapisce lo sguardo per la vastità, che sgomenta l'anima e ti fa sentire, col cuore solo, un rumore bieco e sordo, il cosa può essere sentire un rumore così.

E sotto, ai piedi, insieme al lago, ancora terra della frana su cui c'è una strada asfaltata. Ne percorremmo un tratto poi io volli tornare indietro. Mi sentivo come, anche se così non è, non vi sono morti sotto questa terra, se camminassi sui cadaveri. Mi sentivo come se stessi profanando, come se percorrere quella strada fosse percorrere qualcosa che non aveva diritto d'essere. Questa strada non doveva essere.

Il Vajont non fu una disgrazia, troppo voluta, troppo vilmente non considerata.

Guardando io sentii un silenzio, gurdai ancora e ancora in silenzio e quello lo  ricordo bene, era pesante come la frana. Era cupo come il mio sguardo, un gelido dolore verso un chiosco che vende bibite e cartoline della tragedia. E quel silenzio che da quando conosco quella storia mi prende in ogni immagine pensata e vista.

Un silenzio che nessuno può cancellare e che non è solo mio.

Patrizia P.

Commenti al Post:
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volandfarm il 25/03/09 alle 02:48 via WEB
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