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« Viaggio verso Auschwitz |
Forse la terra è l'inferno Il silenzio ad Auschiwzt è denso, intriso di un peso che rendono i rari e inopportuni schiamazzi non solo fastidiosi, ma insipidi nella loro inutilità. È una sensazione strana, un connubbio tra la realtà del presente e la realtà storica, che rende il percorso da compiere in parte irreale. È un passeggiare, un piccolo viaggio tra costruzioni metodiche, ordinate in un sussugguirsi di vuoti e di pieni, un volere dare un ordine a tutto a tutti i costi. Però non ti accorgi del peso di quel luogo fin che non senti la guida parlare, fin che non la senti ripetererti le stesse cose che conosci da sempre, ma che lì assumo un significato diverso. Sento la storia di padre Massimiliano Kolbe per l'ennesima volta e mi accorgo di essermi commento. La conosco da più di vent'anni, è mia da sempre, ma quel giorno ha un significato diverso, profondo, vero. È in quel momento che capisco di aver toccato, compreso l'orrore del posto. Il percorso e le sale sono state costruite, pensate per turbare , per sconvolgere i visitatori ignari del peso che è prendere coscienza di ciò che avventuo. É una presa di coscienza che sconvolge, turba, che non puoi programmarla, metterla in conto, avviene e questo è tutto. È poi il ripetersi, il prendere vita nella mia mente della pagine di Primo Levi che rendono questo percorso quasi irreale. Quelle pagine lette nella gioventù, mattoni del mio animo, si riprongono vivide scolpite nelle loro parole, nel loro pieno significato. Primo Levi che passeggia e ripete a memoria la Divina Commedia, il canto di Ulisse, non è un fantasma lontano più di mezzo secolo, ma qualcosa che aleggia e mi segue da vicino. Allo stesso modo la piazza degli appelli non è così vuota, ma piena di una moltitudine ancora in piedi che aspetta per l'eterntà di essere chiamata. La visita ai forni è l'ultima delle immagini di Auschiwzt, l'ultima stazione di una via crucis, ma è solo un'immagine sconolgente come non lo potevano essere la sala dei capelli, il muro delle fucilazioni, o le miniscole celle. Nulla può essere così sconvolgente come la storia che ti entra nelle ossa, nell'animo, nel cuore. Una volta che si prende finalmente coscienza di tutta la realtà, che lì è avvenuta, anche la veritiera frase di Theodor Adorno si rileva nella sua cruedele verità e forse capisci qunata verita potesse essere nascosta in poche semplici parole: "dopo Auschwitz non è più possibile la poesia".
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