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Come non ho mai letto Pynchon

Post n°9 pubblicato il 18 Marzo 2015 da hush_hush_news
 

 

Come non ho mai letto Pynchon.

Quando è uscito L'arcobaleno della gravità stavo con quella che voleva diventare e non è diventata mia moglie; glielo chiesi in regalo per il mio compleanno e fui naturalmente accontentato. Ricordo distintamente che lessi in preda alla solita foga la prima ventina di pagine, mi rilassai e realizzai che di quelle venti pagine non ricordavo assolutamente nulla. Misi L'arcobaleno della gravità sul mio comodino, dove rimase per diverso tempo. Poi, come capita ai libri, finì nella libreria della mia camera.

Ho lasciato quella ragazza, ho avuto relazioni fugaci, ho iniziato una relazione seria, l'ho interrotta, l'ho ripresa, siamo andati a vivere insieme, abbiamo comprato casa, ci siamo sposati (nota bene come sono passato dalla prima singolare alla prima persona plurale). Quindi, dopo due traslochi della mia biblioteca, non vastissima, ma nemmeno insignificante, mi è ricapitato tra le mani: occupava un posto nella seconda fila nello scaffale più alto (i libri della mia libreria sono necessariamente disposti su ciascuno scaffale su due file,  e ultimamente sopra le dette si depositano volumi posti in orizzontale, sicché gli scaffali perdono la natura di scaffali e la libreria appare come un corpo unico, senza spazi, tra il pavimento e il soffitto).

L'ho ripreso in mano, notando un grave ingiallimento delle pagine (edizioni Rizzoli in brossura, costose e con carta evidentemente non proprio pregiata), l'ho sfogliato ed è venuto fuori che all'interno c'era una fotografia di me e di quella che voleva diventare ma non era diventata mia moglie, agghindati per una cerimonia (mi sfugge quale).

Sul momento in realtà il dubbio che mi assalì era se mia moglie, all'epoca non ancora mia moglie, nei due traslochi e nella sistemazione dei volumi fosse mai incappata in quella foto. Se non, nessun problema, ma se l'avesse vista, poiché non mi ha mai detto nulla e la foto è rimasta per tutti questi anni in quel libro, devo supporre o che l'abbia ignorata come non importante, o che ne abbia in qualche modo subìto la presenza, senza dirmi nulla per non offendermi e abbia così, per tutti questi anni, silenziosamente potuto covare un focolaio di rancore, o ancora serbato una carta jolly da rinfacciare nella lunga e imprevedibile vita matrimoniale, che allora non era tale ma che si poteva legittimamente credere sarebbesi in futuro in tal senso sviluppata.

Quel che conta nell'economia di questo racconto però è che L'arcobaleno della gravità fu trasferito dalla seconda fila dello scaffale più alto a posizione orizzontale dello scaffale altezza braccia, quello per intenderci delle prossime letture o dei libri in continua rilettura (appartengono a questa serie Kundera, Richler, Eco, Palahniuk).

Nel frattempo, avevo comprato anche Vineland e Vizio di forma, che con alterne fortune non avevano avuto sorte migliore.

Devo dire, per onestà intellettuale che Vizio di forma era arrivato a buon punto, ma - non ricordo se per un interferenza di maggiore interesse o per altro - anche quello era stato interrotto.

Bisogna anche considerare che all'epoca, diversamente da oggi, mi dedicavo alla lettura di un libro alla volta.

Si comprava, si leggeva, si riponeva e si passava al successivo. Oggi invece, mi trovo a leggere anche quasi dieci libri in contemporanea, segno evidente che la mia vita è radicalmente mutata, nel senso che l'approssimarsi e poi il superamento dei quarant'anni hanno influito sulla dinamicità della lettura, imponendo una diversificazione di sensazioni di lettura, un po' come accade in quei buffet dove per la varietà delle pietanze si è spinti a spiluccare qua e là, saziandosi all'improvviso, ma con l'impressione di non aver veramente mangiato nulla.

Avvenne poi che un mio amico mi invitò alla sua festa di compleanno, sicché - come al solito - andai alla libreria Feltrinelli di Viale Marconi, per scegliere un regalo. La scelta finì su L'incanto del lotto 49. Il mio amico non conosceva l'autore e mi disse che l'avrebbe letto con attenzione. Stante la mole molto minore di quel libro, ritengo ci sia riuscito, ma a me non ha fatto sapere nulla.

Da allora è passato circa un anno, periodo nel quale ho continuato a seguire la letteratura postmoderna, e soprattutto DFW, i saggi, i racconti, La scopa del sistema (che ho letto per primo), la sua biografia (che sto rileggendo) e Ij, sulla cui mole di oltre 1000 pagine mi arrampico con la costanza di Miguel Indurain sull'Izoard (come lo spagnolo ho imparato che andare avanti costantemente un po' alla volta, in siffatte imprese, assicura il risultato più che con continui strappi, (es. 20 pagine d'un botto e poi tre mesi di pausa)). Il libro è impossibile da tenere in borsa e quindi sta fisso sul tavolino in vetro del soggiorno, assieme a Dr Sleep, Tutto comincia e finisce al Kentucky Club, Le antiche vie, Uno scandalo in Boemia e La novella degli scacchi. Qualcuno mi ha fatto notare che il problema della mole sarebbe risolvibile con l'ebook, ma ho sommessamente replicato che leggere Ij in ebook sembrerebbe come leggere una cosa qualsiasi mentre, poiché la quantità influenza la qualità, la pesantezza, nel senso di gravità del volume, rende la lettura eroica e più soddisfacente.

Peraltro, sia detto per inciso, la moda degli ebook è l'ennesimo gradino - insieme a ogni altro orpello tecnologico - verso la decadenza della vita umanistica. Gli ebook(s), per esempio, non hanno copertina, il che rende di fatto impossibile sapere cosa sta leggendo il tuo vicino o chi ti sta di fronte, laddove la copertina, e quindi la possibilità di conoscere tale dato imprescindibile, prima di consente una soddisfatta aurora di complicità e quindi l'inizio di una conversazione il cui scopo sia proprio parlare del libro (e di libri, perché quando si parla di un libro, in realtà si parla di tutti i libri, e alla fine finisce proprio che si cominci a parlare di tutti i libri, e qualche volta si finisce anche a bere qualcosa, e così via). Inoltre - a voler essere un po' audaci - e quindi domandando, scusa, cos'è che stai leggendo, si rischia di sentirsi rispondere, no non leggo nulla, faccio il sudoku.

L'altro orpello tecnologico verso la decadenza umanistica di questo nostro povero pianeta è il word processor. Queste righe, scritte utilizzando un note book (che del libro a solo il fatto che si apre e chiude a mo' di), avrei voluto scriverle a matita su un bel quaderno, come raccontano tutti gli scrittori e i loro archetipi, come George Stark, e poi affidarle magari a mia moglie per la riscrittura o battitura a macchina (al computer ormai, anche la mia Olympia è desueta, benché sia stata restaurata, sempre da mia moglie che vorrebbe sentirmi battere quei tasti la sera).

Ma ho dovuto arrendermi al fatto che la necessità di speditezza non consente più l'utilizzo di tempi dilatati (che infatti ormai si chiama sempre spreco di tempo), e obbliga all'uso dello strumento più immediato.

Per fare un paragone, nonostante si possieda una bella reflex, si usa con molta più soddisfazione l'iPhone, che consente di pubblicare immediatamente su Instagram lo scatto, e i cui filtri permettono il risparmio di una notevole quantità di tempo nella creazione di una foto gradevole. Non occorre più essere in grado di scegliere e valutare esposizione, luce, sensibilità, diaframma, tempi; si scatta, si modifica e si pubblica.

Al riguardo mi viene in mente che quando affrontavo il compito in classe di italiano, avendo una grafia chiara e le idee altrettanto, solitamente scrivevo l'elaborato direttamente in bella; il mio professore, che si faceva consegnare dagli studenti anche le brutte copie, dopo un paio di volte mi chiese come mai non facessi brutte, al che risposi, ingenuamente, che se avessi scritto una brutta, nel ricopiarla l'avrei senza dubbio completamente cambiata e rimaneggiata, perché mi sarei annoiato a ricopiare quello che avevo già scritto. Il mio professore disse che se tutti avessero fatto così non sarebbe esistita la letteratura (come se Manzoni si fosse fermato al Fermo e Lucia, senza quindi mai approdare a I promessi sposi); io penso invece che ero inconsapevolmente già parte di una avanguardia postmodernista, nella quale la pubblicazione segue immediatamente la stesura, senza troppi ripensamenti e studi, e senza che qualche editor sforbici le tue cose facendoti diventare il più grande scrittore di racconti minimalista. Però, poiché inconsapevole all'epoca non replicai.

Se andate sul sito della Mondadori e cercate Madison e Dixon vi propongono questo

L'astronomo Mason e il topografo Dixon, scienziati britannici del XVIII secolo, hanno personalità opposte ma sono accumunati, oltre che dalla tendenza a bere più del dovuto, dalla fede assoluta nella ragione. Impegnati, in coppia, in numerose ricerche astronomiche per incarico del re d'Inghilterra, i due passano alla storia come i creatori di quella che tutti gli americani conoscono come la "linea Mason-Dixon", cioè il tracciato di confine tra la Pennsylvania e il Maryland. E questa è una delle immagini chiave del libro,

senonché poi vedete che il libro si compone, nell'edizione BUR, di 736 pagine.

Quindi non lo prendi in considerazione, perché se chi deve venderlo si impegna tanto poco, ed evidentemente non l'ha letto, perché devi provarci tu.

(Qui potrei in realtà copiare/incollare tutta la trama descritta da Wikipedia, ciò che dimostrerebbe che qualcuno, che non deve venderlo, ci si è dedicato, e quindi la mia obiezione cadrebbe, ma l'operazione è vietata dalle norme sul diritto d'autore, e quindi la mia obiezione resta)(il ché peraltro dimostra che la logicità di una proposizione non assicura la sua verità).

Pochi giorni fa, mentre cercavo Lo scherzo, sono nuovamente incappato ne L'arcobaleno della gravità, ancora più ingiallito, tanto che il contrasto tra i caratteri tipografici e la carta sembra notevolmente ridotto. L'ho immediatamente sfogliato, ma della foto non ho trovato traccia.

Devo dire di non aver dato molto peso alla faccenda, convincendomi che evidentemente, una delle precedenti volte, delle quali non avevo conservato memoria, dovevo aver estratto la foto per buttarla o metterla da qualche altra parte.

La cosa più importante però è che, in piedi sopra una sedia (il libro era ritornato sullo scaffale più alto), ho riletto la prima pagina e ho scoperto che non era affatto male; solo che non si può leggere contemporaneamente Ij e L'arcobaleno della gravità (nemmeno Indurain farebbe il Mortirolo e l'Izoard nella stessa tappa), così l'ho riposto in libreria, su un fianco sopra i libri della prima fila dello scaffale basso.

Quello che mi destabilizza è il sito della Einaudi che annuncia per il 16 settembre l'uscita de La cresta dell'onda.

New York, 2001, nel breve intervallo tra il crollo delle società dot-com e l'11 settembre. Maxine Tarnow, separata, due figli da crescere, ha una piccola agenzia di investigazioni a Manhattan, specializzata in frodi. Da quando le hanno tolto la licenza può permettersi di fare il mestiere come piú le aggrada, girando con una Beretta, frequentando un mondo ai margini della legalità, dedicandosi a piccole operazioni di hackeraggio. Mentre indaga su una società specializzata in servizi di sicurezza informatici e sul suo direttore, uno stravagante miliardario che si è arricchito con la bolla speculativa di fine millennio, Maxine si imbatte in una serie di delitti, e in una realtà sotterranea fatta di spacciatori che viaggiano su barche a motore in stile art déco, nostalgici hitleriani, liberisti sfegatati, mafiosi russi, blogger, imprenditori.

Si tratta di 570 pagine.

 

 

 

 
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