Creato da: MICHELEALESSANDRO il 15/07/2012
PREISTORIA UMANA E TRADIZIONALISMO INTEGRALE

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CRITICA DELLE TEORIE AFROCENTRICHE: ASPETTI GENETICI – PARTE 2

Su quali basi, quindi, vengono creati gli alberi filogenetici ?

A nostro avviso, il vizio fondamentale sta nel fatto che i dati genetici da soli dicono relativamente poco e tutti gli alberi devono comunque sottostare ad elementi aprioristici ed esterni di partenza.

Ad esempio, nel caso della ricostruzione dell’albero mitocondriale, vengono deliberatamente posti a priori dei tipi considerati come ancestrali il che “crea” la radice (ovvero la prima, e più importante, ramificazione) e, ovviamente, le conseguenti conclusioni sull’origine africana. Con altri criteri di scelta, ad esempio se si ritiene opportuno dare maggior importanza alla popolazione con il DNA più simile alla media di tutte le popolazioni mondiali, potrebbe invece essere l’Asia la culla umana più probabile; l’Africa si fa preferire qualora si ipotizzi un tasso costante di mutazione dell’mtDNA (il DNA mitocondriale) in tutte le popolazioni mondiali (criterio discutibile, come vedremo più avanti) e tarando questo “orologio molecolare” attraverso il confronto delle mutazioni dell’mtDNA umano con quelle degli scimpanzè (idem). In pratica, gli alberi che con i soli dati genetici riescono a strutturarsi con la radice di partenza, devono però rispettare delle ancora indimostrate ipotesi iniziali; ad esempio, quando si postula una velocità evolutiva costante per tutti, si programmano fin dall’inizio i vari rami dell’albero, corrispondenti alle popolazioni attuali, ad avere tra loro la stessa lunghezza dal punto di origine alla linea odierna, introducendo così un elemento di decisiva importanza per l’architettura finale del disegno.  

In effetti, come è ben stato riconosciuto, gli unici metodi in definitiva davvero soddisfacenti per posizionare una radice sono di natura esterna rispetto ai dati genetici. E così avviene per gli alberi costruiti con metodi di altro tipo, cioè quelli senza radice, che non hanno la limitazione di una presupposta velocità evolutiva costante per tutte le popolazioni rilevate, ma scontano però l’inconveniente che il loro significato sia evolutivamente meno sicuro, perché chiaramente privi di indicazioni riguardo all’origine iniziale di tutta la struttura. Comunque anche questa tipologia di alberi evolutivi riceve, sotto altra forma, una condizione logica impostata a priori, che spesso è quello di “evoluzione minima”, ipotesi secondo la quale le popolazioni rilevate abbiano fatto, in termini di mutazioni genetiche, il minor percorso possibile dall’origine all’oggi; è l’applicazione pratica del cosiddetto “Rasoio di Occam” principio metodologico che, in sintesi, suggerisce di percorrere, nel tentativo di spiegare un fenomeno in termini razionali, la via più semplice e soggetta al minor numero di fattori. E’ peraltro significativo il fatto che anche Renè Guenon vi accenni nel libro “Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi”, notando che la formulazone del “Rasoio di Occam” appartiene al momento decadente della Scolastica e rappresenta un postulato del tutto gratuito, anche perchè spesso la natura sembra veramente ingegnarsi a moltiplicare gli eventi senza necessità alcuna…

Tornando ai nostri alberi senza la radice, è chiaro che questa debba quindi essere, necessariamente, collocata sulla base di dati esterni di tipo diverso da quello genetico; e siccome gli elementi esterni sono in genere quelli di natura archeologica e paleoantropologica – dei quali abbiamo già avuto modo di analizzare la consistenza – ne consegue che, a nostro avviso, si finisce inevitabilmente con l’introdurre nel disegno totale, per i soliti apriorismi “afrocentrici”, elementi ben poco sicuri. Si arriva quindi ad un vero e proprio “ragionamento circolare”, nel quale varie incertezze si appoggiano e dimostrano a vicenda, tutte però senza una vera solidità intrinseca.

Ricordiamoci quindi, come spesso ed opportunamente è stato sottolineato, che alberi e mappe genetiche fotografano sempre e solo una situazione “statica” e, al limite, possono suggerire dei rapporti di vicinanza più o meno stretti tra gruppi umani diversi, ma non possono mai indicare dinamiche e movimenti migratori: questi li aggiungiamo sempre noi, sulla base di elementi di altro tipo.  Inoltre, la raffigurazione offerta è anche lacunosa in termini storici, dal momento che un ulteriore grosso problema di carattere generale è costituito dal fatto che questi alberi rappresentano la storia delle “fissioni” avvenute nella specie umana, mentre all’opposto non viene tenuto conto delle possibili mescolanze tra popolazioni diverse, che rappresenterebbero delle interconnessioni tra i rami e costituiscono un evento sicuramente non trascurabile nel percorso umano.

In definitiva, anche per Cavalli Sforza gli alberi non sono infallibili, dal momento che metodi diversi possono produrre alberi diversi e che quando l’elaborazione ne  proporrebbe di molteplici, si deve comunque selezionare a priori quello che si adatta in modo ragionevole ai soliti ed immancabili dati esterni. Ad esempio il lavoro, pionieristico, di Alan Wilson dell’università di Berkeley sul DNA mitocondriale, ha portato più di vent’anni fa alla costruzione di un primo importante albero genealogico umano ed alla definizione della cosiddetta “Eva mitocondriale” (sulla quale torneremo nel prossimo post); ma questa struttura, non va dimenticato, è stata scelta fra un’infinità di altre possibili, e secondo lo stesso Cavalli Sforza si sarebbe potuta delineare anche con una radice collocata fuori dall’Africa.

 
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