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le tre vie della vita

Creato da luigiarusso il 10/05/2007

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ARTE, I SOLDI POSSONO QUALIFICARE UN'OPERA D'ARTE, LA LOGICA E': PIU' TI PAGO PIU' VALI?

Post n°95 pubblicato il 10 Aprile 2010 da luigiarusso

Giacometti batte Picasso con 65 milioni di sterline: l'opera più pagata della storia.
Mercoledì sera a New Bond Street, infatti, il martello del battitore si è fermato all'incredibile cifra di 58 milioni di sterline (ultima offerta) che con le commissioni ha poi raggiunto i 65 milioni (oltre 74 milioni di euro e 104,3 milioni di dollari) per il bronzo ad altezza d'uomo di Alberto Giacometti "L'Homme qui marche I", datato 1961, in un incanto record che ha totalizzato 146,8 milioni di sterline, il valore più alto mai registrato a Londra, assicura Sotheby's, che supera quasi del 50% le previsioni di 79-102,1 milioni di sterline. Il capolavoro di Giacometti, stimato 12-18 milioni di sterline e messo in vendita dalla Commerzbank AG di Dresda, recentemente entrata in possesso della storica collezione della Banca di Dresa a seguito dell'acquisizione del gennaio 2009, porta via per un soffio lo scettro a Pablo Picasso, il cui "Garçon a la Pipe" nel maggio 2004 fu pagato da Sotheby's a New York 104,1 milioni di dollari. 
IL PIU'PAGATO (GIACOMETTI)

 

IL PERDENTE (PICASSO, "Garçon a la Pipe")


  

 
 
 

cervello, computer, università di tucson, matematica quantistica, cibernetica, informatica, scienze,

Post n°94 pubblicato il 15 Marzo 2010 da luigiarusso

Un addio al cervello computer

Stuart Hameroff, un anestesiologo dell'Universita' di Tucson, in Arizona, sostiene che il luogo in cui nasce la coscienza potrebbero essere i microtubuli, fasci di filamenti formati da proteine globulari che si dispongono in catene lineari e che costituiscono lo «scheletro» cellulare. Esse possono assumere due forme, distesa e contratta, e quindi, in linea di principio, anche una sovrapposizione quantistica. Il problema principale e' la difficolta' nel sottoporre a valutazioni numeriche questa ipotesi. Purtroppo a rompere le uova nel paniere di Penrose e Hameroff e' arrivato un articolo pubblicato da «Physical Review» e firmato da Max Tegmark, un fisico dell'Universita' della Pennsylvania. Egli ha fatto un po' di conti considerando la temperatura del cervello, le dimensioni dei microtubuli e i disturbi ambientali ed e' giunto alla conclusione che il tempo di «collasso» dello stato quantistico e' inferiore a un decimillesimo di miliardesimo di secondo. Ma poiche' i tempi di reazione dei neuroni piu' veloci non scendono sotto un millesimo di secondo, la conclusione di Tegmark e' chiara: «Se i nostri neuroni hanno qualcosa a che fare con i nostri pensieri e se gli scambi elettrici nel cervello corrispondono in qualche modo ai nostri processi mentali, allora noi non siamo computer quantistici», ha dichiarato il fisico americano alla rivista «Science». Un cervello in grado di subire l'influenza della meccanica quantistica dovrebbe avere una temperatura prossima allo zero assoluto. Hameroff si dichiara non convinto dagli argomenti di Tegmark e postula meccanismi alternativi per isolare i fenomeni quantistici nei microtubuli dai disturbi dell'ambiente circostante. Altri sostenitori dell'origine quantistica della coscienza propongono modelli alternativi a quello di Penrose e Hameroff, che non offrirebbero il fianco alla critica di Tegmark. La posta in gioco e' importante. Perche' se davvero il cervello umano e' un computer quantistico, e' mal riposta la speranza dei sostenitori dell'Intelligenza Artificiale, che pretendono di riuscire presto o tardi a far pensare un elaboratore tradizionale, e bisognera' attendere che i computer quantistici diventino una realta' tecnologica perche' una macchina manifesti una coscienza. Se invece ha ragione Tegmark, diventa piu' verosimile la prospettiva di un computer tradizionale dotato di una consapevolezza di se' indistinguibile da quella UMANA.

 
 
 

VITA, DONNE, MATRIMONIO

Post n°93 pubblicato il 02 Marzo 2010 da luigiarusso

PAURE ODIERNE: LE DONNE E IL MATRIMONIO

Noi che siamo solitamente piuttosto scettici sulle indagini demoscopiche a campionatura, specie quando guardano necessariamente in superficie le misteriose profondità della psiche, ci sentiamo del tutto allineati all'esito di quella condotta su alcune centinaia di donne italiane. Le intervistate, tra la prima giovinezza e l'incipiente senilità (19-66 anni) hanno fatto colpa al matrimonio della depressione di cui soffrono. Non tutte, ma sei su dieci sono una qualificata maggioranza assoluta. Eppure non c'è donna che non aspiri al matrimonio. Inizialmente avendo a modello un principe azzurro su misura. Poi, giù giù a scendere i gradi della nobiltà, fino a un visconte con i colori della Nazionale italiana negli sport, o berlusconiani che dir si voglia. Svanito il sogno, un sano e vigoroso metallurgico, un bagnino fuori corso nella facoltà di Giurisprudenza, un pescatore che sappia estasiarsi al salire della luna quando entrambi sono sul mare. Se proprio la iella e la sorte è contraria, come capita: cercando di vedere il meglio che non c'è, avvicinando pateticamente i poli d'un'anima men che gemella. Chissà mai, per gli uomini è diverso, continua a essere diverso. Il single è uno in carriera, preoccupato non d'altro. La single può essere una in carriera, a sua volta, ma con infinite differenziazioni su ciò che l'ha indotta alla scelta. Un rampante, poi, può essere scavezzacollo. Invece, una scalatrice aziendale dev'essere molto più mente che sesso. E non è che, con il passare del tempo, la forbice si attenui: anzi, si divarica ancora di più. Sappiamo bene essere ingiusto e magari non vero tutto questo: tuttavia, secondo un'opinione assai diffusa, è così. Ma chi, senza troppi problemi e corsi prematrimoniali teorici o pratici, convola a nozze per dare e ricevere l'amore che il destino gli assegna, per mettere al mondo dei figli, per goderne la crescita e lo sviluppo, per quali ragioni dovrebbe deprimersi, dopo un po? È semplice: perché la vita d'oggi deprime chiunque, indipendentemente dal matrimonio e dalla famiglia; perché le insoddisfazioni scavano profondo nel tentativo di avvicinarsi a modelli virtuali o fasulli; perché si cerca quello che non c'è in termini di felicità assoluta, di idillio eterno. Manca a noi, uomini e donne d'oggi, il dono della giocondità offerto dal bello affiorante fra tante brutture del mondo, e respinto nel presumere che tutto ciò che ci circonda sia ostile. Spiegano, le donne intervistate, di sentirsi incomprese non solo dal consorte ma dal prossimo in genere (e questo ci sembra più l'effetto che la causa), di non avere tempo sufficiente per pensare a se stesse, di essere insoddisfatte del lavoro e non solo quello casalingo bensì anche di quello d'ufficio. Una piccola parte d'esse vede, nei figli fattisi grandi e perciò titolari di preoccupazioni proprie, di famiglia propria, un doloroso rimpianto di infanzie tenere, quando il bambino aveva bisogno della madre mentre l'adulto non di rado vi provvede con sacrificio quando non con fastidio. Insomma, i ritmi esistenziali, e non possiamo sfuggire loro, ci accontentano ben poco. La necessità di accettarli li incupisce e li complica più del dovuto. Un po' di nostalgia per il tempo che va, un po' di rammarico per eventuali occasioni perdute, un po' di delusione per non avere trovato, nell'unione voluta, quanto ci si aspettava. Ma non dobbiamo mica farne un dramma. Fu sempre così, dall'eden in poi. Il vantaggio di oggi è di poter dire persino oltre in termini di sfogo, quello che allora lo si pensava, tacendo.

 
 
 

COSTUME E SOCIETA'

Post n°92 pubblicato il 15 Febbraio 2010 da luigiarusso

 

Un'opera buffa ma non troppo

E' domenica 14 febbraio, festa degli innamorati e antivigilia del Festival di Sanremo.

In questo preciso istante, qui nella ridente città dei fiori, nelle redazioni dei giornali in tutta Italia, e immagino pure nelle sacre stanze degli alti comandi Rai, un numero notevole di uomini e donne adulti, maturi, discretamente acculturati e dotati di normale intelligenza, si sta strologando su un interrogativo lancinante: andrà o non andrà il signor Marco Castoldi, in arte Morgan, al Festival di Sanremo?

La conduttrice di tale Festival, Antonella Clerici, nota per i suoi travestimenti da torta Saint-Honoré, ha promesso agli italiani, a mezzo Tg1, che sì, potranno vedere il reprobo Morgan all’Ariston. Si ignorano le reazioni degli italiani: non è comunque giunta notizia di pubbliche manifestazioni di giubilo. Ma subito la Rai, organizzatrice del Festival, ha smentito la notizia data da una presentatrice Rai a mezzo di un Tg Rai. Morgan il reprobo non metterà piede all’Ariston – dove peraltro di reprobi, in vent’anni, ne ho visti da riempire due galere.

Gli italiani, intanto, continuano a non mostrare reazioni apprezzabili, ma immediatamente scoppia il caos mediatico: dozzine di giornalisti investigativi che potrebbero rivoltare il paese come un calzino scoprendo abusi e magagne, sono in queste ore scatenati alla ricerca del retroscena perfetto, della verità ultima e suprema: che farà Morgan? Che farà la Rai? Che farà la Saint-Honoré?

E nessuno ride. Incredibile.

Combinazione, proprio ieri il presidente della Rai, Paolo Garimberti, aveva confessato di vagheggiare un Festival di Sanremo canoro ed austero, un «Festival di canzoni» senza nani e ballerine. Il Festival, per intenderci, che è morto negli Anni Settanta, rimpiazzato da un golem ridicolo e atroce, summa di ogni barbarie televisiva e di ogni bassura italiana.

Quel Festival-golem è stato il pioniere della tivù cialtrona: cialtronissimo già vent’anni fa, mentre il resto della tivù bene o male conservava qualche vergogna, e qualche mutanda. Ma adesso che l’intera tivù è svergognata e smutandata, per non morire il Festival deve rilanciare, alzare ancora l’asticella del ridicolo, andare oltre il grottesco: Morgan, la Saint-Honoré e i capataz di una Rai indecisa a tutto sono i pupi di un’opera buffa che andrà in onda per una settimana, a beneficio di un paese diviso, triste e brutto.

E forse, a ben pensarci, in questa storia non c’è davvero niente da ridere.

 
 
 

COSI' E' SE VI PARE?

Post n°91 pubblicato il 05 Febbraio 2010 da luigiarusso

La morale ad personam

Ma è normale che un assessore e un esponente di primo piano vada in giro con la segretaria-amante, la ospiti negli alberghi pagati dalla regione, e poi, quando la scarica, la cancelli e la degradi con una logica usa e getta, sino a spedirla in una specie di call-center?
Ed è normale che non appena la vicenda esplode in campagna elettorale, il futuro sindaco faccia spallucce?
Che cosa avrà detto Delbono a Prodi, Bersani ed Errani?
Gli avrà spiegato la verità?
E i suoi interlocutori, prima che venisse fuori, erano al corrente della storia? E se non lo erano perché poi non hanno dubitato di lui?».
La logica incalzante di questo editoriale di Marcello Sorgi, uscito il 26 gennaio su La Stampa, fa pensare a molte cose. Fa pensare innanzitutto a come la questione amorale, se non immorale, infetti anche la sinistra. Poi fa pensare a come quasi sempre la sinistra infettata, a differenza della destra, non neghi la patologia ma tenti una terapia d’urto a base di dimissioni rapide. Infine fa pensare ad una meno dibattuta ma parimenti diffusa patologia pubblica: lo strabismo degli opinionisti terzisti.
Sorgi è uno dei giornalisti presenti nei Porta a Porta ospitanti Papi. Non mi pare che in quelle occasioni abbia mai interrotto il monologo-stampa del Cavaliere con un j’accuse del tipo: «Ma è normale che un Premier come Lei, salvatosi in alcuni processi grazie a leggi ad personam, si faccia scarrozzare a domicilio, a volte anche mediante voli di Stato, stuoli di veline ed escort fornite da un presunto pusher corruttore di assessori, per offrire ad alcune di loro, pare in cambio di servigi sessuali, candidature per le elezioni, una delle quali nella lista locale di un Suo ministro rinviato a giudizio ma non dimessosi? Ed è normale che non appena la vicenda esplode, Lei non risponda, racconti bugie, minacci ritorsioni giudiziarie sulla Sua conquista a pagamento candidata nella lista del Suo ministro, guardandosi bene dal dimettersi? E i Suoi deputati e ministri, prima che venissero fuori, erano al corrente di queste storie? E se non lo erano, perché poi hanno continuato a difenderLa, ed uno di loro, che è anche spericolatamente Suo legale, ha pensato di soccorrerLa definendoLa “utilizzatore finale”?».
Può darsi che Sorgi non l’abbia detto perché non ne ha avuto l’occasione: magari le sue comparsate semisilenti nei Porta a Porta con i soliloqui di Silvio erano precedenti all’affaire Tarantini.
Non interrompeva Berlusconi su altre questioni. Ma la prima volta che sarà ospite di Vespa insieme al Premier, lo incalzerà come sopra, come fosse Delbono. Vero?

 
 
 

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