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Pindaro nasce in Grecia (nella regione della Beozia) a Cinocefale, presso Tebe, nel 518 a.C. circa e scompare ad Argo (sempre in Grecia) nel 438 a.C. circa. Proviene da famiglia nobile.
E' stato uno dei maggiori poeti della Grecia antica e ha scritto per sovrani e famiglie importanti.
Negli "Epinici" cantò le vittorie della gioventù aristocratica dorica - cui egli stesso apparteneva - ai giochi panellenici, che a scadenze fisse si tenevano a Olimpia, Delfi, a Nemea nel Peloponneso e sull'Istmo di Corinto.
Pindaro trascorse diversi anni in Sicilia, in particolare a Siracusa ed Agrigento, presso i tiranni Gerone e Terone.
Il periodo centrale della sua lunga esistenza coincise con un profondo mutamento morale, politico e religioso dell'Ellade, destinato a scardinare molti dei principi su cui si fondava l'educazione dell'età arcaica. Erano gli anni delle guerre persiane e l'attenzione del mondo greco era attratta dalle vicende del conflitto e dalla politica di Atene, che, grazie al ruolo avuto nella guerra, si avviava a divenire un punto di riferimento per l'intera Ellade. Pindaro, invece, tutto preso dalla volontà di celebrare il passato, si sentiva estraneo a questo presente i cui ideali si andavano sempre più allontanando dai suoi.
I motivi del dissenso di Pindaro erano indipendenti allo sfondo politico della patria e molto più profondi: si sentiva attratto dall'ideale di vita eroico, oramai remoto ed in contrasto col regime democratico greco.
Il concetto dell'aristocrazia di razza dominava ancora il suo cuore e lo spingeva a distaccarsi dalla realtà storica in cui viveva, per ricongiungersi alla dimensione senza tempo del mito.
Interprete e mentore della coscienza della grecità classica fusa in un'unica identità culturale interna alla costante presenza del mito come garanzia storica, Pindaro viene ancor oggi ricordato attraverso un motto diventato celebre, riferito, appunto, ai suoi voli poetici (i voli pindarici, appunto), vale a dire quella proverbiale capacità di dare vita a momenti narrativi ricchi di passaggi e virtuososmi improvvisi che arricchivano il testo di una particolare carica di tensione.
Si narra che quando Tebe fu rasa al suolo (nel 335 a.C.) Alessandro Magno ordinò che venisse salvata soltanto la casa in cui si diceva fosse vissuto il poeta, in onore al significato che i versi di Pindaro avevano per il popolo greco.
Una poesia di Pindaro:
Per Teosseno di Tenedo
Al momento opportuno dovevi, animo mio,
coglier l'amore, in giovinezza.
Ma guardando i raggi
che dagli occhi di Teosseno balenano,
chi non trabocca di desiderio, ha il cuore nero
temprato nell'acciaio o nel ferro
con gelida fiamma. Disprezzato
da Afrodite pupille vivaci,
o soffre pene violente per ottenere guadagni,
o, servo di tracotanza femminile,
freddo percorre ogni sentiero.
Ma io, a causa di lei, come la cera delle api sacre
morsa dal calore, mi consumo, quando guardo
la giovinezza degli adolescenti dalle membra floride.
In Tenedo, certo,
Peito e Grazia abitano
nel figlio di Agesilas.
Così scrisse di Senocrito, musico e poeta dell'antica Locri:
[...] Ed io udendo
poco della soave melodia
fui spinto al canto, alla risposta,
come il delfino, quando si agita
al dolcissimo suono dei flauti
nell'immensità del grande mare.