Verso il Fronte

Il populismo penale


Il caso di Doina Matei che alcuni giorni fa ha postato su Facebook le sue foto che, poi, le sono costate il ritorno in carcere ha riproposto all'attenzione il tema del rapporto, invero assai difficile, tra chi in Italia sbaglia commettendo reati, le vittime dei reati e l'opinione pubblica.Varie cose potrebbero dirsi riguardo a questo caso e soprattutto relativamente alla maniera in cui l'opinione pubblica reagice, o meglio: viene fatta reagire dalla stampa, di fronte a simili vicende:1) anche senza voler dare troppi giudizi, la ragazza in questione ha commesso un errore. Pur con tutta la buona volontà e nonostante i precetti costituzionali, in Italia chi commette un reato non può permettersi comportamenti come quelli esibiti dalla ragazza che è rientrata in carcere. C'è poco da fare. Sarebbe stato meglio, allora, mantenere un comportamento più riservato e sarebbe forse opportuno che qualcuno nelle carceri insegni ai detenuti come comportarsi in simili circostanze;2) spiace osservare che, in tale circostanza, ha comunque sbagliato il giudice che ha concesso la libertà, limitando solamente all'interessata l'uso del telefono. Oggi l'utilizzo dei social media, piaccia o meno, è rilevantissimo e quindi le decisioni dei giudici sulla libertà dei detenuti, come in questo caso, devono contenere prescrizioni esplicite a questo proposito. Non si può poi revocare la semilibertà concessa, sostenendo che l'interessata aveva violato la prescrizione imposta dal giudice sull'uso del telefono. Ma la prescrizione imposta dal giudice, stando alle parole del Ministro Orlando, di limitare l'uso del telefono a ben individuati contatti non corrisponde a un divieto di uso dei social network, quand'anche questi fossero utilizzati via cellulare. La sovvrapposizione è vero esiste, ma non è completa e pertanto sarebbe bene che i giudici, nella concessione della semilibertà, facciano maggior attenzione a questi profili.Il profilo più brutto è infine stato quello collegato, come sempre, alla reazione dell'opinione pubblica. Una manica di leoni da tastiera (che poi quando li incontri per strada magari sono i primi a darsela a gambe) ha cominciato a inveire contro la persona in questione, giungendo a un livello di demenzialità e di follia che ormai in Italia ha oltrepassato il livello di guardia.Un simile livello di stupidità, suscitato peraltro da una stampa sempre al di sotto qualitativamente del suo ruolo, sta spingendo ormai il nostro paese verso il c.d. populismo penale, ossia verso lo stravolgimento di ogni forma di difesa, garanzia e istituto giuridico in nome della volontà sovrana del popolo (espressa evidentemente da 4 urlatori su internet; su un altro piano, una cosa simile avvenne, tanto per fare un esempio, quando i 5 Stelle candidarono Rodotà, spacciandolo per il candidato scelto dal popolo contro i candidati della casta). La volontà sovrana del popolo (autoproclamatosi tale) può condurre a stravolgere, anche semplicemente sulla base di una crassa ignoranza, il senso di istituti giuridici consolidati.In altre parole, siamo di fronte a una barbarie che viene pure definita giustizia. Si tratta in realtà, come detto poco fa, del c.d. populismo penale cui fa riferimento Christian Raimo sull'Internazionale. L'articolo di Raimo rinvia a un saggio intitolato, appunto, Populismo Penale, edito nel 2015, scritto da Stefano Anastasia, Manuel Anselmi e Daniela Falcinelli, la cui copertina compare come foto di questo post.Per chi avesse ancora voglia di leggersi qualcosa, buona lettura...