Verso il Fronte

I problemi di un'area monetaria ottimale


E' trascorso un po' di tempo dall'ultimo post. Sono successe varie cose, ma non vale la pena tornarci sopra (eccezion fatta che per Renzi, cui magari dedicheremo un post a parte). Meglio continuare per ora a dedicarci a problemi non meramente immediati e ad approfondire la realtà.Un tema interessante da trattare e che, del resto, è da anni all'attenzione è quello delle aree monetarie ottimali, punto su cui si è concentrato molto il Prof. Bagnai (e non solo) nel corso della sua attività divulgativa. Ora, non è possibile affrontare il problema con la stessa competenza e, contemporaneamente, non è possibile per ogni questione da affrontare fare citazioni. Premettiamo dunque che l'impianto di questo post è ricavato, anche andando a memoria, dal manuale di economia monetaria di Paul De Grauwe.La teoria dell'area monetaria ottimale è stata sviluppata, per primo, da Mundell (ritratto nella foto che accompagna questo post) nel suo articolo intitolato, appunto, A Theory of Optimum Currency Areas (qui di seguito: http://www.columbia.edu/~ram15/ie/ie-12.html).Cos'è un'area monetaria ottimale? E' una regione, comprendente più paesi, che sulla base di determinate condizioni potrebbe adottare un regime di cambio fisso anziché di cambio flessibile. Le condizioni per aversi un'area monetaria ottimale sono le seguenti:1) mobilità dei lavoratori all'interno dell'area;2) flessibilità del salario (cioè, capacità dei salari di assorbire gli shock; in altri termini di contrarsi ove necessario);3) trasferimenti fiscali tra una zona e l'altra dell'area;4) le zone dell'area devono avere lo stesso ciclo economico, perché una gestione della politica monetaria all'interno dell'area sarebbe altrimenti inefficace e rischierebbe di amplificare piuttosto che contenere gli shock (se i cicli non fossero coordinati si avrebbea allora uno shock asimmetrico).Questa teoria pone una serie di problemi che sarebbe il caso di affrontare. Facciamolo con alcuni esempi immediati.Per esempio: l'Italia, supponendo che ci sia ancora la lira, potrebbe considerarsi un'area monetaria ottimale? La risposta è sì. Ma partiamo anzitutto dalla premessa che il processo di unificazione della penisola è stato anche un processo di unificazione monetaria tra le sue regioni, che ha portato vari problemi (dallo scandalo della Banca Romana alla gestione, da parte del Governo Letta, dell'aumento di capitale di Banca d'Italia; tutti questi problemi sono stati il portato dell'unificazione monetaria nazionale). Vediamo poi perché l'Italia potrebbe considerarsi un'area monetaria ottimale. Essenzialmente per due ragioni. La prima è che storicamente in Italia si è assistito al trasferimento di lavoratori dal sud al nord del Paese (qualcuno avrebbe parlato di invasione... anche se storicamente la prima e peraltro armata venne fatta, per creare l'Italia, da nord verso sud, ma come diceva Gramsci: la storia insegna ma non ha scolari). Ciò ha consentito al nord di avere manodopera per il suo sviluppo, mentre il sud veniva compensato con trasferimenti fiscali decisi dal Governo centrale (vedi alla voce Cassa del Mezzogiorno).Attenzione, però, è solo in presenza di trasferimenti fiscali, là dove oltretutto ci sono spostamenti di popolazione di questo tipo con tutti i problemi che tali fenomeni comportano, che è possibile mantenere, più o meno, coordinati i cicli economici delle regioni componenti l'area. Diversamente i differenziali di crescita, in assenza di compensazione, esploderebbero, con la conseguenza che i cicli economici si differenzierebbero e diverebbero ingestibili con una politica centralizzata. Ci torneremo in conclusione.Dalla formulazione della teoria delle aree monetarie ottimali a oggi, gli economisti americani hanno sostenuto che l'Europa non era e non è un'area monetaria ottimale (bisognerebbe ricordarsi sempre quali erano le risposte degli europei a queste critiche, ossia che gli americani volevano impedire la formazione della moneta unica perché temevano che soppiantasse il dollaro... chiamiamolo nazionalismo in assenza di nazione... questa risposta degli europei andrebbe messa come epitaffio del nostro modo di ragionare). Perché lo sostevano? Principalmente per le seguenti ragioni:1) perché in Europa, a causa delle differenze linguistiche, non esistono movimenti di lavoratori in grado di compensare gli shock economici;2) perché in Europa non esiste la flessibilità salariale, in considerazione del fatto che normalmente vige il divieto legale di rimodulare il salario al ribasso;3) perché non esistono meccanismi di trasferimento fiscale dalle regioni ricche a quelle più povere;4) perché i cicli economici non sono sempre coordinati per cui uno shock rischia di colpire l'area asimmetricamente.A ciò si aggiungano le critiche successive allo Statuto della BCE che persegue in primis l'obiettivo della stabilità dei prezzi e solo poi la crescita economica, in aggiunta al divieto di coprire i debiti pubblici dei paesi della zona euro.Ora, premesso che la BCE, nei fatti, come ricordava Riccardo Bellofiore, ha fatto ciò che il suo Statuto all'apparenza gli impedirebbe (non entriamo ora nelle distinzioni legali sull'operato della BCE nel mercato secondario anziché primario), il problema dell'Europa come area monetaria ottimale pone, in relazione alla teoria, problemi da affrontare non indifferenti.Qui meritano di essere affrontati almeno due aspetti. Il primo concerne la flessibilità salariale. In realtà, a fronte di un divieto legale di rimodulazione al ribasso del salario, l'Europa è un'area dove gli aggiustamenti salariali sono possibili. Due sono le strade, prendendo a prestito come esempio l'Italia:1) blocco ex lege dei salari dei dipendenti pubblici;2) innalzamento della disoccupazione mediante i licenziamenti collettivi.Nel primo caso, è di tutta evidenza che un blocco salariale prolungato per anni, se non riduce nomilamente il salario, lo riduce in termini reali. Una recessione infatti avrà sì un effetto sull'inflazione, ma dopo un certo periodo di tempo in ragione dei c.d. effetti dinamici. Nel periodo che porta alla deflazione, il salario bloccato del lavoratore pubblico sarà eroso in termini reali dall'inflazione, il cui tasso di crescita si andrà progressivamente riducendo fino ad arrivare, come siamo arrivati, alla crescita negativa dei prezzi.Nel secondo caso, in un ordinamento, come quello italiano, che consente giocoforza i licenziamenti collettivi, un lavoratore che sia licenziato in una procedura collettiva può trovarsi a passare da un lavoro all'altro, magari dopo una fase di Cassa Integrazione, e quindi da una remunerazione più alta a una più bassa. Non è questo comunque un meccanismo di aggiustamento salariale?In disparte la questione dell'acquisto di titoli di debito pubblici da parte della BCE (che potrebbe aver alleviato, ma non risolto il problema), in assenza di meccanismi di trasferimento fiscale e senza flussi di popolazione verso le aree  a maggior reddito in grado di far assorbire lo shock, l'unico meccanismo che consente all'Europa di andare avanti come area monetaria ottimale è proprio quello della modulazione al ribasso dei salari, meccanismo che in effetti esiste ed è praticato.Ciò pone un problema non irrilevante. Se il meccanismo di flessibilità salariale, come abbiamo visto, esiste ma è l'unico sostanzialmente a funzionare per reggere l'area, questa è ottimale o no? E quanto può durare così?Il problema non è di poco conto e investe l'area "no euro" che anni fa predicava che l'unione monetaria non poteva classificarsi come un'area monetaria ottimale, sicché essa sarebbe scomparsa più presto che tardi.Per incidens, si noti la contraddizione in chi afferma che l'unione monetaria non è ottimale ma poi si lamenta che gli aggiustamenti vengono scaricati tutti sul lavoro. Ma allora esiste, appunto, un meccanismo di aggiustamento, pessimo od ottimo che sia.Il problema su cui possiamo interrogarci semmai è se quel meccanismo è di per sé in grado di reggere l'area e per quanto tempo. Tale problema solleva una domanda generale: ma questo è un problema economico o è piuttosto un problema politico-sociologico? Mettiamola così: è assolutamente un problema economico, ma è anche un problema politico e sociologico. Pensare comunque di risolvere tutto con gli strumenti dell'economia non basta. Anche perché per risolvere questo problema "economico" occorrono strumenti politici e sociologici. La teoria economica a quel punto lì si ferma.Avviandoci alla conclusione, viene da domandarsi se non sia possibile possibile ipotizzare di pescare tra i meccanismi elencati sopra per rendere l'unione monetaria maggiormente sostenibile.Alla luce del ragionamento svolto, si può dire che l'unico possibile, indipendentemente ora dalla sua praticabilità politica (che non esiste), è quello dei trasferimenti fiscali da una regione all'altra. Qui possiamo riprendere le considerazioni svolte relativamente all'Italia. Sono stati i trasferimenti fiscali dalle regioni prospere a quelle depresse a far sì che l'Italia potesse considerarsi un'area monetaria ottimale, altrimenti i differenziali di crescita sarebbero esplosi rendendo con ciò impossibile il perseguimento di politiche centralizzate (ciò che, con ogni evidenza, avrebbe comportato il dissolvimento dell'area e quindi del Paese).In relazione a quest'aspetto notiamo un altro problema della teoria dell'area monetaria ottimale. Ovvero che il problema non risiede tanto nel coordinamento dei cicli economici ma nei potenziali di crescita dei singoli paesi giacché sono questi poi a determinare le divaricazioni di ciclo.Prendiamo come esempio la recessione del 2009. Questa ha impattato simmetricamente su tutti i paesi dell'area monetaria. In teoria, il ciclo in principio era coordinato, poiché tutti i paesi dell'area sono stati investiti dalla stessa recessione, ma poi si è divaricato. Perché? Per quello che si diceva prima, cioè perché le economie dell'area hanno potenziali di crescita diversi e le divaricazioni sono amplificate da politiche economiche, fiscali e monetarie, che non tengono conto delle asimmetrie dell'area.Ora, nessun economista ci spiega da cosa derivano queste asimmetrie economiche. Sono forse un mistero inspiegabile? No, assolutamente, le asimmetrie economiche si spiegano cambiando nome al termine che si impiega. Le asimmetrie economiche non sono altro che il portato delle asincronicità tra Stati e regioni europee. In questo senso, il ricorso alla teoria storiografica degli Stati asincronici ci permette di cogliere il punto reale nella sua complessità, che non è solo economico ma storico-politico.In Europa i due fenomeni principali che hanno determinato le asincronicità e asimmetrie che oggi sperimentiamo sono due: la formazione degli Stati nazionali e la nascita del capitalismo.Alcuni Stati si sono formati prima, altri dopo. Il capitalismo, grazie alla riforma protestante, ha attecchito meglio e prima in alcune regioni europee (dove peraltro alcuni Stati nazionali si sono costituiti dopo rispetto ad altri) piuttosto che in altre (Italia e Germania sono due Stati asincronici rispetto a Francia e Gran Bretagna, ma in Germania il capitalismo ha attecchito meglio che in Italia).E' da questo groviglio di asimmetrie e asincronicità che tocca ripartire per affrontare i problemi di oggi.Si può dunque concludere, sperando di non essere troppo lapidari, che non solo la teoria delle aree monetarie ottimali deve essere ancora ulteriormente approfondita tramite l'analisi dell'esperienza attuale, ma che essa non è autosufficiente dovendo essere integrata da strumenti di analisi presi da altre discipline.