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IL FALLIMENTO DELLA POLITICA TRA PROVOCAZIONI, SOSPETTI E AMNESIE

Post n°153 pubblicato il 26 Marzo 2012 da ilblogdelmar
 
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Di Chiara Manfredini

Una t-shirt, uno slogan incivile, una foto e un politico. La rappresentazione del degrado della politica, che questa volta vede nel ruolo di protagonista uno "sbadato" Diliberto, che cinge sorridente - senza accorgersene! -, una signora la cui maglietta recita: "La Fornero al cimitero". Alla condanna di un'iniziativa avulsa a regole e principi in uno stato di diritto - che tra l'altro si innesta in un'attualità che ravvisa una recrudescenza dell'odio sociale e una deriva anarchica -, unisco il rifiuto per comportamenti pressappochisti da parte di rappresentanti istituzionali, che sempre più spesso s'incaricano di atteggiamenti al di fuori delle logiche del "buon senso".
Non dovrebbe essere necessario sottolineare che il ministro Fornero, impegnata nell'atto finale di un progetto di riforma del lavoro in passato già costato la vita a Massimo D'Antona e Marco Biagi, abbia dovuto subire - appena dieci giorni fa - un rafforzamento delle misure di scorta, come non dovrebbe essere necessario rimarcare il dovere etico da parte della nostra classe dirigente di non incorrere in simili leggerezze, aggravate da postume dichiarazioni al limite del grottesco.
Potrebbe risultare sconveniente - in quanto si rischia di cadere nell'antipolitica - ma è  necessario riflettere sulla consistenza della nostra classe politica, che a piccoli passi sta scomparendo all'ombra di nuove "figure". Resiste - anche se in questi giorni sembra aver subito una battuta d'arresto - la preferenza degli italiani per il nuovo premier Monti e questo nonostante una serie di misure strutturali che hanno: aumentato la pressione fiscale, fatto slittare l'età pensionistica, allentato le maglie di interessi corporativi con il decreto liberalizzazioni e che, forse, vedranno capitolare anche l'ultima "roccaforte" garantista con la modifica dell'art.18. Alla luce di opportune riflessioni le ragioni di questo consenso sono da ricercare più che in un atto di fiducia verso il"nuovo" in uno - più grave - di sfiducia verso il "vecchio" e nella conseguente supremazia accordata dai cittadini al giudizio "morale" a discapito di quello "tecnico" nei meccanismi di premio della classe dirigente, che ha prodotto il definitivo smascheramento della politica italiana e l'evidenza del suo fallimento storico. Non essendo stata capace di rinnovarsi e di sottrarsi a ripetute deviazioni, la politica è divenuta, in modo sempre più concreto e capillare, quell'odiosa "zona grigia" in cui si mescolano interessi personali e corporativi, nella cui alternanza si scandisce l'amministrazione della cosa pubblica. La conferma a ciò sta nell'assoluta mancanza di stupore con cui quotidianamente assistiamo ad inchieste, arresti, corruzione, concussione, mafia, come se nel passaggio dalla prima alla terza Repubblica avessimo metabolizzato indifferentemente il clima avvelenato della stagione infuocata di Tangentopoli. Non ci scandalizza - in quanto fermamente radicata - la rappresentazione della politica come "fitto sottobosco" di frequentazioni, sospetti e connivenze che non esclude nessuno dei partiti dell'arco costituzionale e che non fa distinzione tra contrapposte ideologie, alle quali strumentalmente continuano a richiamarsi i partiti nell'invocare la salubrità della propria area di appartenenza.
In questo clima di sospetto e impunità le caratteristiche più marcate della classe politica italiana risultano essere l'arte della provocazione (ben rappresentata da un ex premier che ha fatto dell'astuzia verbale il leitmotiv del suo mandato) e quella della dimenticanza (egualmente distribuita tra i partiti). Diliberto ha pienamente dimostrato di aderire ad entrambe le peculiarità, esercitando, a seconda delle necessità, biechi affronti o abili sorvoli. E' in questa alternanza, ad esempio, che si inseriscono le sue - oramai note - frequentazioni, risalenti agli anni 2003-2007, con il noto dirigente italiano Giancarlo Elia Valori, come emerso dalle dichiarazioni dell'ex parlamentare, Marco Rizzo, all'epoca della sua estromissione dal partito comunista italiano ("Fratelli-coltelli a sinistra", blitz quotidiano, 23 giugno 2009). Elia Valori, considerato uno degli uomini più potenti d'Italia, indicato come ex esponente della P2 di Gelli (dalla quale fu espulso), negli anni presidente di Sviluppo Lazio, Unione Industriali, Autogrill, Sme, assemblea azionisti Italintesa, cda di Autostrade etc., entrò nell'inchiesta "Why Not" di De Magistris, il quale dichiarò (La Stampa 5 dicembre 2008): "Le indagini Why Not stavano ricostruendo l'influenza di poteri occulti (...) in meccanismi vitali delle istituzioni repubblicane: in particolare (...) i contatti intrattenuti da Giancarlo Elia Valori, Luigi Bisignani, Franco Bonferroni e altri, e la loro influenza sul mondo bancario ed economico finanziario". E nel verbale, l'ex pm di Catanzaro, tira in ballo anche il governo di centrosinistra guidato da Massimo D'Alema: "Nel recente passato (Valori, ndr) ha trovato anche una sponda rilevante a sinistra, dentro il governo D'Alema, in Marco Minniti, ritenuto il "braccio destro" del Presidente del Consiglio dei Ministri". "Soltanto incontri pubblici" preciserà Diliberto. Nulla di illegale, ma il solito sordido scenario di contiguità con settori d'interesse sospetti e sospettati, risultante come suprema finalità di una classe dirigente che, nella definitiva scomparsa dell'elettorato, sostanzia la sua attività nell'esercizio di una mera lotta di posizione a difesa di interessi acquisiti. (Elia Valori è inquisito per aggiotaggio nell'ambito della scalata Alitalia e D'Alema, indagato per finanziamento illecito sullo scandalo tangenti Enac, proprio oggi ha visto l'archiviazione della sua posizione, pur rimanendo la curiosità, tutta italiana, per i suoi viaggi in aereo gratis, a spese di una società privata, ignorando chi fosse a pagare!). Dalla fine delle grandi ideologie, ai politici di mestiere, agli imprenditori della politica, fino ad arrivare ai tecnici e, più in concreto, all'esautoramento della democrazia attraverso un governo non legittimato dall'elezione popolare, al quale è stato demandato di amministrare il Paese di fronte alla clamorosa dipartita della politica italiana.

 
 
 
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