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FOTOGRAMMA DI UNA MORTE

Post n°156 pubblicato il 17 Aprile 2012 da ilblogdelmar
 

Di Chiara Manfredini

"Immagini sconsigliate ad un pubblico sensibile". Così il Corriere della Sera.it titola il video della morte in diretta di Piermario Morosini, come se nell'assurda rincorsa al "miglior fotofinish" di questi giorni ci fosse ancora lo spazio per scegliere di non partecipare a questa incivile e irreale spettacolarizzazione. Come se Piermario Morosini avesse potuto scegliere di non trasmettere l'ultimo fotogramma della sua giovane vita. Morosini e' morto mentre svolgeva il suo lavoro, mentre inseguiva la sua passione, senza potersi difendere da questa insistente replica mediatica che e' tutt'altra cosa rispetto al cordoglio, al ricordo e alla commozione per una vita improvvisamente interrotta. E' surreale constatare la facilita' con cui si superano i limiti del rispetto e della dignità umane a beneficio degli indici di ascolto, della commercializzazione delle notizie, di nuove modalità giornalistiche e televisive, oramai diventate consuetudine, che hanno completamente modificato i meccanismi di produzione e di fruizione dei contenuti. Mi chiedo se qualcuno abbia pensato per un attimo che Morosini non ha scelto di morire in diretta tv, mi chiedo che cosa avremmo fatto se al suo posto ci fosse stato un nostro figlio. Nessuno ha pensato che quel ragazzo si e' spento senza potersi difendere dallo sguardo di tutti e forse a difenderlo saremmo dovuti essere noi, scegliendo di sottrarre almeno la morte allo spettacolo dei media. Morosini era un calciatore, da pochi mesi in forza al Livorno, aveva conquistato anche la maglia della Nazionale italiana under 21 partecipando nel 2006 agli Europei in Svezia. Perlopiu' sconosciuto al grande pubblico, era un ragazzo che come tanti cercava con passione il proprio posto nel mondo e oggi tutti lo ricorderanno non per quello che e' stato, un bravo centrocampista che ha macinato metri e metri di campo nel corso della sua breve carriera lontana dalla ribalta mediatica, ma come un uomo che ha perso la vita in diretta durante una piovosa giornata di campionato, proprio una di quelle che lui amava tanto. Non erano trascorsi neanche pochi minuti dalla sua morte e già giornali e televisioni davano inizio ad una corale soap opera, farcita di tutti gli ingredienti: vita privata, aspetti familiari intimi e le immancabili polemiche sui soccorsi, al fine di rendere questa morte un prodotto il più possibile commercializzabile, "settimanalizzabile", pronto per riempire i contenitori trash di trasmissioni televisive (Mattino 5, Pomeriggio 5, Domenica 5), che dietro l'etichetta di testate giornalistiche (videonews) danno quotidiano esempio di un giornalismo, condito di sensazionalismo e ripetute violazioni dell'etica. "Lacrime e sangue" sembra essere diventato il moderno diktat mediatico dal quale non e' esente neanche la tv di Stato, nell'ottica di una sempre crescente omogeneizzazione dellla controprogrammazione televisiva, segno di una linea editoriale pericolosamente condivisa, quasi a voler realizzare una dittatura televisiva sostanziata da un falso plebiscitarismo. Sono i dati a parlare se pensiamo che Bruno Vespa non manca di mettere in agenda quasi settimanalmente a "Porta a Porta" una puntata sul delitto Rea o Garlasco o Gambirasio o Misseri per ottenere qualche punto in piu' di share (che in questi casi supera l'11%) e lo stesso fa Alessio Vinci a Matrix sulle reti Mediaset. Come mai certe morti, certi delitti, certe scomparse diventano veri e propri casi di cronaca, che tengono banco per mesi, e di altre, invece, appena se ne parla? Quali sono gli attuali criteri di notiziabilita', in termini tecnici-giornalistici, in base ai quali una morte diventa una notizia e un'altra morte no? Purtroppo la vera discriminante e' quella di un sensazionalismo artefatto, che i media sapientemente producono, alimentando sospetti, pettegolezzi e scandali, attraverso la compiacenza di mediatori e ospiti "addestrati" ad un'arena televisiva dove a dominare e' la ricerca sfrenata del particolare perfetto da svelare o da costruire. Si dice sempre che il pubblico ha il potere del telecomando, ma non e' cosi' quando non esiste un'alternativa, quando i palinsesti sono assolutamente speculari, quando i modelli mediatici si replicano incessantemente in ogni rete e trasmissione. E la più vile ipocrisia e' la legittimazione di una simile morbosità con il dovere sociale di tenere alto il livello di attenzione sulle attività investigative. Se lo si vuole trovare c'e' sempre un buon motivo per giustificare azioni, attivita' o comportamenti al di fuori della responsabilita'. Come parlare per giorni di Piermario Morosini, della sua vita, della sua famiglia con la scusa di dibattere sulla congruità dei controlli medici a cui sono sottoposti gli sportivi, illudendosi di non poterlo fare lo stesso decidendo di risparmiare almeno il fotogramma della sua morte alla morsa di un egocentrismo televisivo oramai senza limiti.

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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