Il Blog del Mar

IL GOVERNO TECNICO DEI MATTATORI


Di Chiara Manfredini Posto fisso monotono, abrogazione dell’articolo 18, giovani sfigati e mammoni? E se fosse soltanto una provocazione?  Beh a guardare il gran parlare che se ne sta facendo in questi giorni su web, giornali e tv vorrebbe dire che ci saremmo cascati tutti in pieno. La mia non è facile ironia davvero faccio fatica a cogliere il senso reale di questo dibattito pubblico, cavalcato sapientemente dai media e che sta finendo per  metterci tutti l’uno contro l’altro.  Ciò che mi colpisce di più è la reattività sociale che temi come questi sviluppano sull’opinione pubblica. Anche l’aplomb di Alessio Vinci, ieri sera a Matrix, è andato letteralmente “a farsi benedire” quando con la Camusso e Telese in studio ha inscenato un siparietto niente male mentre difendeva il diritto  degli imprenditori al non reintegro dei dipendenti licenziati. E per fortuna che ha seguito la lezione del giornalismo americano “Opinioni distaccate dai fatti”!!!! Ma lasciate da parte le animosità proviamo a ristabilire le giuste proporzioni. Riguardo all’articolo 18 mi sembra sterile l’argomento del contendere, in quanto ammesso che sia realistica questa urgenza da parte del governo di abrogarlo si tratta comunque di un diritto che andrebbe a toccare un numero ristretto di aziende nel panorama industriale italiano. Dati Istat alla mano, infatti, in Italia le imprese di dimensioni inferiori o pari a 15 dipendenti, fuori quindi dall’area di applicazione dell’art. 18, nel corso del 2009, erano 4.356.236, mentre quelle di dimensioni superiori erano  114.512. Stiamo parlando di circa 200 licenziati reintegrati sul posto di lavoro ogni anno.  Per quanto riguarda, invece, la questione dei giovani e del posto fisso se provassimo a decontestualizzare le dichiarazioni fatte da Martone prima, da Monti poi e, infine, dalla Cancellieri, liberandole dall’esasperazione che un confronto acceso su una riforma nodale come quella del lavoro necessariamente crea, risulterebbero  meno dirompenti. Voglio dire che senza negare i sacrifici economici dei giovani fuori corso, magari impegnati in doppi lavori, non credo sia così disdicevole incentivare le nuove generazioni ad accorciare i tempi di studio per essere più competitivi nel mercato del lavoro. Passando a Monti, invece,  pensate se avesse fatto ai giovani l’appello contrario: “Non accettate nuove sfide future e inseguite il posto fisso”. Come minimo gli avremmo fatto l’analisi del capello per vedere se si fosse “drogato” visto che di posto fisso in giro non se ne vede neanche l’ombra. Nell’affermare questo non voglio sminuire una questione cruciale come quella del diritto al lavoro, soprattutto per le nuove generazioni, che rappresentano il futuro economico del nostro Paese, ma penso che l’esasperazione delle tematiche sociali (di tutti contro tutti: genitori e figli, sindacati e politici, giornalisti e intellettuali) sicuramente porta beneficio ai dati auditel, alle tirature dei giornali ma non al benessere del Paese che, al contrario, in un momento come questo di deriva sociale, ha più che mai bisogno di un dibattito misurato e concreto. Penso che una riforma del lavoro sana vada concepita all’interno di una generale riforma della politica industriale italiana che fortifichi  le nostre aziende, che contrasti la delocalizzazione e che le incentivi ad intraprendere il cammino fondamentale dell’internazionalizzazione. Soltanto aumentando la produzione industriale (anche spostando il peso fiscale dal lavoro al capitale e dalla produzione alle rendite) si può creare occupazione e si può far ripartire l’economia. L’obiettivo di questo governo, nato sulle ceneri del fallimento del nostro sistema politico democratico, deve essere trovare il modo per cui le aziende assumano e non licenzino. Non soltanto perché ce lo chiede l’Europa o per acquisire qualche punto di Pil ma più in generale per stare al passo con le nuove esigenze economiche mondiali e per dimostrare la nostra capacità riformatrice quale indicatore di serietà e affidabilità. I giovani lo sanno e stanno cercando il modo di adattarsi a delle modifiche sociali radicali che prevedono un ripensamento delle proprie proiezioni future su tutti i fronti: famiglia, maternità, casa, istruzione, tempo libero. E’ vero altresì che si tratta di una trasformazione che deve riguardare di pari passo almeno altri due aspetti fondamentali: maggiori possibilità di accesso al credito per giovani ed imprese e ripensamento dei modelli scolastici ed universitari verso una formazione non soltanto subordinata ma anche autonoma, per sfatare il mito della laurea ed educare le nuove generazioni alla “professionalizzazione”, che vuol dire imparare un mestiere. Pensate che è notizia di oggi che sono rimasti inevasi 45.250 posti di lavoro tra i giovani fino ai 29 anni in categorie che richiedono una preparazione alla manualità. Un dato che ci dovrebbe far riflettere in una fase economica in cui i livelli di disoccupazione sono così alti. Quello che voglio dire è che forse ci stiamo “incastrando” su un gioco di parole perdendo di vista la concretezza della faccenda.