Il Blog del Mar

QUANDO LE PAROLE NON SERVONO


Di Chiara Manfredini"E si farà l'amore ognuno come gli va, anche i preti potranno sposarsi ma soltanto a una certa età". Una volta, tanto tempo fa, si chiamava pudore oggi c'è chi senza pudore annuncia in tv la morte di Lucio Dalla, insistendo sulla sua vita intima come se lo spettacolo del "coming out" a cui non ha voluto partecipare da vivo glielo si volesse indurre forzosamente da morto. Perché? A chi e a cosa sarebbe servito? Alla causa gay - forse - per stanare le ultime reminiscenze sul difficile percorso di accettazione sociale degli omosessuali? Ci accorgiamo che anche le parole "coming out" e "outing", che indicano due modalità - attiva e passiva - del "rivelarsi", hanno un'accezione etimologica pregiudiziale. "Coming out", dall'inglese "uscire fuori", presuppone uno stato di segretezza dal quale ci si svincola. E che cos'è che tendiamo a nascondere? Qualcosa che non è giusto, qualcosa che non si dovrebbe fare. "Outing", invece, deriva dall'avverbio "out", "fuori", usato come verbo transitivo (to out), quindi "buttar fuori" qualcuno, contrapposto al "venir fuori" spontaneo, ed è stato il nome di un movimento politico statunitense degli anni '90, del quale si è fatto molto uso soprattutto a livello giornalistico, che si prefiggeva di rivelare pubblicamente l'identità di omosessuali conservatori, che per allontanare da sé i sospetti assumevano atteggiamenti di fanatismo e deprecazione pubblica dell'omosessualità. Le battaglie per i diritti a volte rischiano di tessere le fila degli stessi schemi che vorrebbero scardinare. Assurgere a paladini della libertà uomini o donne che rivelano pubblicamente il proprio orientamento omosessuale, infatti, significa ribaltare quel processo verso un'universalità dei sentimenti che dovrebbe essere alla base del rispetto degli individui, perpetrando condizioni di disuguaglianza come consolazione sociale ad una mancata accettazione della propria identità. Mentre proprio chi crede intimamente nell'assoluta mancanza di differenza rifiuta l'affermazione di categorie, che sviluppano nel "coming out" una forma sbagliata di "autodeterminazione sociale". L'amore non ha solisti né padri fondatori, l'umanità intera lo assapora democraticamente rivendicandone gioie e dolori. Non ha bisogno né di riconoscimenti sociali né personali, è la fragilità umana a considerarli purtroppo appaganti e addirittura necessari. La vera uguaglianza si realizza nell'indifferenziazione e al tempo stesso nell'unicità dei propri sentimenti. L'amore è un'esperienza personale e intima che le parole limitano e la condivisione deforma, è un viaggio perfetto la cui meta è intravista soltanto dai protagonisti perché a nessun'altro è richiesto di conoscerla. A nessuno, né a quelli che avrebbero capito, né a quelli che pensavano fosse impossibile e neanche a tutti quelli che avrebbero fatto finta di capire. Probabilmente Lucio Dalla è semplicemente un uomo che ha amato nella segretezza della propria coscienza, con pudore dei sentimenti e siamo noi nella limitatezza delle nostre categorie a credere che avesse qualcos'altro da raccontarci oltre l'immortalità della sua musica.