Frammenti di...

Post N° 224


Pubblico l'articolo di apertura del nuovo numero di Diario, nelle edicole da domani, fatto uscire in anteprima sul sito della rivista, scritto dagli autori prima della decisione di ricontare parte delle schede presa dalla Giunta per le elezioni.da Diario.itTRA L'«ELEMENTARE WATSON»E LA «SMOKING GUN»Riusciremo a stabilire perlomeno una certa quota di verità sulla notte delle elezioni del 9-10 aprile e sui risultati che ne sono conseguiti? O saremo condannati per aver diffuso notizie «false, tendenziose ecc.»? Abbiamo turbato l’ordine pubblico o invece abbiamo avvicinato un po’ di cittadini alla cosa pubblica?A oggi, lunedì 4 dicembre (pomeriggio in cui chiudiamo, in anticipo per le festività meneghine, questo numero), la situazione è fluida, ma con qualche punto a vantaggio di chi cerca quel tasso minimo di democrazia che dovrebbe essere legato al meccanismo elettorale, pena l’uccisione stessa della democrazia, presente e futura.Un brevissimo riepilogo, prima di darvi importanti notizie. Martedì scorso gli autori del film Cremagnani e Deaglio sono stati indagati dalla Procura di Roma per aver diffuso notizie false, tendenziose ecc. Il provvedimento, oltre ad apparire grottesco, ha dato il chiaro sapore di chiusura di una indagine che la stessa Procura 48 ore prima aveva annunciato a tutto campo, compreso il proposito di riconteggio di tutte le schede bianche. Con ogni probabilità, quindi, la Procura di Roma ha già risolto il caso. Velocissima.Nei giorni successivi, però, il caso è stato riaperto. Per primo dal ministro dell’Interno Giuliano Amato che ha ufficialmente annunciato, in accordo con il presidente Romano Prodi, che la nostra Repubblica abbandonerà la sperimentazione e la pratica di conteggio elettronico dei voti perché con l’elettronica i voti «sono più facili da taroccare», ovvero più o meno la tesi del film (il ministro poi ha consigliato ai giornalisti di inchiesta di seguire il decalogo dell’agenzia Reuters; consiglio che noi promettiamo di seguire con scrupolo, dal momento che i consigli ai giornalisti dei ministri dell’Interno sono sempre nell’interesse dei giornalisti).Alla manifestazione di massa convocata da Silvio Berlusconi a Roma il 2 dicembre l’ex presidente del Consiglio ha proclamato la sua volontà di chiedere il riconteggio di tutti i voti, dicendosi indignato da chi lo accusa (noi) di aver tentato un colpo di Stato, «nella notte dei brogli e degli imbrogli», ma senza spendere una parola per il suo ministro dell’Interno dell’epoca. Non ci risulta che Silvio Berlusconi sia stato convocato dalla procura come persona inf0rmata dei fatti.Infine, domenica 3 dicembre, rispondendo a una domanda di Fabio Fazio alla trasmissione Che tempo che fa, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha raccontato la sua personale esperienza della notte elettorale; il suo personale controllo del flusso dei voti al computer, la discesa del vantaggio dell’Unione da 840 mila ad appena 24 mila voti, la fortissima preoccupazione per l’interruzione del conteggio telematico dei voti, l’invio di Marco Minniti al Viminale, con questa conclusione: «I dati non arrivavano, poi (dopo l’intervento di Minniti al Viminale) i dati sono tornati». Forse non è la famosa «smoking gun», ma certo è una affermazione di un testimone informato e competente. Noi abbiamo lamentato, nel film, che i dati delle elezioni siano stati tenuti riservati per più di sette mesi e abbiamo affermato che così era perché i dati erano «impresentabili». Abbiamo ricordato che non era mai successo prima d’oggi e che un Paese moderno comunica i dati completi delle elezioni e li rende disponibili a tutti coloro che li vogliono vedere, con lo strumento di internet. Ci basavamo essenzialmente sul crollo delle schede bianche, schiacciato in tutta Italia tra un incredibile 1-2 per cento. In assenza di questi dati, dopo l’uscita del film molti accademici ci hanno spiegato che il crollo era all’interno di una «fisiologia» che naturalmente conoscevano soltanto loro.Il film un piccolissimo effetto lo ha sortito. Una piccola élite di studiosi ha avuto nelle settimane scorse il voluminoso dossier curato dal Viminale sulle elezioni del 9-10 aprile. Non siamo ancora sugli standard delle democrazie moderne, ma almeno ci siamo elevati a livello dello Zimbabwe o dell’Ucraina.Ebbene, chi ha cominciato a mettere mano a questi dati si è messo contemporaneamente le mani nei capelli, tali e tante sono le discrepanze macroscopiche. A distanza di sette mesi dalle elezioni e dai dati diffusi dal Viminale l’11 aprile, per esempio, il numero delle schede bianche va sull’ottovolante, ma soprattutto si verifica la presenza di un’armata fantasma. È quella dei votanti (ovvero i cittadini italiani che hanno materialmente votato).L’11 aprile per il Viminale erano 39.424.967; oggi sono 39.276.893. Ne mancano 148.074. Dove sono finiti? Si sono pentiti di aver votato? Sono stati iscritti tra i votanti con malizia, o errore, o dolo? Hanno disertato? Sono stati uccisi perché non parlassero?Nessuno, probabilmente ce lo dirà mai, o forse ce lo dirà quando tutti avranno dimenticato le vicenda. E dire che 150 mila persone sono due stadi di calcio al completo, sono una bella fetta di piazza San Giovanni, sono più o meno la metà di un punto nelle percentuali elettorali dei partiti.E neppure – c’è da scommetterci – nessuno ci dirà mai perché a Catania è successo uno «sbaglio» di 19 mila voti, perché in Puglia tutti i dati del ministero sulle schede bianche sono risultati essere falsi (dopo la nostra denuncia i dati sono scomparsi da internet), perché a Udine, Como, Enna e Pisa le somme dei voti contestati sono state sbagliate e perché su questi dati – nella famosa notte – si sia giocato il risultato finale delle elezioni.Interrogati dalla Procura di Roma, abbiamo chiesto di indagare direttamente o di procedere a una perizia su tutto ciò. In teoria i pm Salvatore Vitello e Francesca Loy possono procedere a questo riscontro, ma l’impressione nostra è che questo non succederà. Infatti questo lo dicevamo mentre eravamo ancora testimoni. Poi siamo diventati indagati.Stando così le cose, ci sembra che non esista possibilità «istituzionale» di raggiungere la verità su quanto è successo quella notte. Escludendo la magistratura, avendo dichiarato il presidente della Camera Fausto Bertinotti che il Parlamento eletto «è legittimo» (sette giorni dopo ha aggiunto: «Anche la critica è legittima», una vero caso in cui la prima legittimità guarda dall’alto in basso la seconda e le fa pat pat), il responso finale spetta alle Giunte delle elezioni, della Camera e del Senato. Sono loro ad avere la parola finale. Ma, come dice il detto Zen: «Oh lumaca, tu ascendi il Monte Tai, ma lentamente, lentamente...».La politica italiana è fatta di cose che al comune cittadino sembrano difficili da comprendere. E così a noi risulta difficile da comprendere perché il deputato Cesare Previti, condannato definitivo con interdizione dai pubblici uffici, possa continuare ad avere il suo status di deputato e il relativo stipendio. Eppure è così perché Previti, assistito dall’avvocato Giovanni Pellegrino (ex presidente della Commissione stragi) ha fatto argomentata e squisita opposizione alla sua cacciata dal Parlamento, sulla base di calcoli riguardanti l’indulto e la possibilità di ulteriori ricorsi.Il «caso Previti» è l’argomento principale della Giunta delle elezioni alla Camera. La maggioranza di centrosinistra – secondo le nostre informazioni – non lo espellerà dal Parlamento. Al Senato, invece, il caso che tiene banco è l’attribuzione di otto senatori, quattro dei quali sono rivendicati dalla Rosa nel pugno. Anche qui le nostre informazioni dicono che la Rosa nel pugno non li avrà.Il nostro film e la possibilità di riconteggio dei voti sono apparse, ai membri di queste due commissioni, una intrusione indebita, in un delicato e soprattutto riservato do ut des.La principale accusa che viene rivolta alla nostra inchiesta è che non tiene conto che i dati finali delle elezioni sono dati dalla Corte di cassazione che agisce solo con il «cartaceo» (l’aggettivo cartaceo ha assunto in queste settimane valenze mistiche). E la Cassazione ha, con il cartaceo, confermato quanto, possibilmente con pasticci, errori, brogli, approssimazioni, aveva detto il Viminale l’11 aprile. Possiamo allora dire, in assoluta sincerità, quello che pensiamo? Noi pensiamo che la Cassazione sia stata chiamata a confermare il risultato comunicato l’11 aprile. Che, quando Berlusconi la chiamò in causa martedì 11 aprile perché ricontasse, si rifiutò, confortata in questo dal Quirinale. Che, come in tutta la storia delle elezioni, non abbia fatto che dei controlli campione; che non avrebbe avuto la forza di smentire il dato ormai comunicato a tutto il mondo; che sia perfettamente conscia del suo potere nell’aver certificato quel pazzesco dato elettorale; che quel potere voglia esercitarlo; che le forze politiche tutte lo sappiano.Nei giorni scorsi sono apparsi diversi commenti indignati per il comportamento della Cassazione che, dopo ben sette pronunce opposte, ha dichiarato che Milano non poteva occuparsi del processo Previti Sme Berlusconi.Ne citiamo due. Il primo è di Franco Cordero, citato sulla Repubblica del 2 dicembre: «Ogni giudice integrato nel sistema assorbe tranquillamente eventuali errori, anzi non li vede; quando li veda, non gli fanno né caldo né freddo; lavorava a nome e per conto dell’istituzione; basta che uno navighi nella corrente giusta; la storia li diluisce questi miserabili fatterelli individuali».Il secondo è di Carlo Federico Grosso, dalla Stampa del 4 dicembre, a proposito della sentenza Previti e della prevedibile lentezza di giudizio della Giunta delle elezioni: «Il dubbio che si sia inteso, magari inconsciamente, liberare senza assolvere, decidere senza scegliere, liberarsi comunque dal peso del decidere».Ringraziamo tutti coloro che ci hanno dato solidarietà e sono, davvero, moltissimi. In particolare grazie al segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi. Ringraziamo tutti coloro, e di nuovo sono moltissimi, che ci chiedono di non tirarci indietro. Ci sembra di aver capito che molti, forse più di noi, hanno ben chiara l’importanza della Cosa. Come dire, una certa essenza del termine democrazia. Per quanto ci riguarda, l’accusa eventuale contro di noi cadrebbe con l’oblazione di 309 euro. Non la faremo.Un’ultima nota. L’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, richiesto di un commento su una denuncia nei nostri confronti, ha dichiarato di ispirarsi al Codice barbaricino della vendetta non scritto: «Se uno mi offende, lo offendo». Siamo andati a cercare sul testo principe del codice barbaricino (una sorta di sharia di Orgosolo), il famoso commentario di Antonio Pigliaru, ben noto a generazioni di giuristi sardi. Vi si dice che l’offesa deve essere vendicata dall’uomo d’onore a meno che questi, «con il complesso della sua vita abbia dato prova della propria virilità e rinunci alla vendetta per superiore motivo morale».Signor ministro, noi non abbiamo nessun dubbio sulla sua virilità. Secondo il codice barbaricino, Lei può anche non denunciarci. Se lo farà, il giudizio avverrà però secondo le leggi italiane.Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani