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SIMBOLI ARCAICI INCISI SULLE PIETRE DELL'ANTICO BORGO DI ORTA SAN GIULIO di Oliviera Manini Calderini

Post n°16 pubblicato il 08 Giugno 2014 da ilibridellago

Edito nel dicembre 2009 si tratta di un "libro" a schede, un portfolio, che riporta foto e spiegazioni inerenti le incisioni sugli architravi dell'antico borgo. Cruciformi, alberiformi, l'orecchio dei morti, gli affilatoi, tante indicazioni per un itinerario alla radici della storia e di antichi segni.

L’uomo ha usato la pietra, fin dai tempi più antichi, come un foglio da disegno per imprimervi sentimenti, emozioni, religiosità. Gli sciamani incidevano animali per propiziare la caccia al villaggio. Attraverso figure magiche venivano adorati e onorati gli dei. Segni semplici di simboli da trasmettere ai figli, ai nipoti e, sempre più in là nel tempo, ai posteri.

Le campagne e le montagne del Piemonte e di tutto il Nord Italia ne sono disseminate. Orta San Giulio, l’ Hortus Conclusus, l’orto chiuso, rappresenta un caso unico.

Un borgo che ha riscoperto misteriose origini dimenticate, cancellate da frettolosi intonaci. Scrostature fortuite o volute hanno restituito agli sguardi incisioni che si dipanano in un itinerario che segue un filo, come quello d’Arianna nel labirinto, cercando con occhi nuovi reimpieghi inaspettati.

Simboli che si fondono in una eterna esplorazione dell’uomo in se stesso e in ciò che lo circonda.

Le croci, immagini della cristianità, della vittoria sul male.

Gli alberiformi, allegoria della vita  o forma umana stilizzata.

I piedi, metafora di proprietà e di possesso.

I pugnali, forse elementi sacri come in alcune culture mediterranee.

Date, per una precisa cronologia.

Il Sacro Monte sormontato da una croce.

Un cane di forma schematica con la sua cuccia accanto, un modo come un altro per dire “Attenti al cane”

Una torre stilizzata proprio su uno dei muri della Casa-forte.

Iniziali di nomi, forse del padrone di casa.

E ancora figure geometriche più o meno semplificate, pugnali la cui datazione si perde nella notte dei tempi,  testine che portano alla memoria i macabri rituali, anche celtici, di rimpicciolimento ed esposizione delle teste mozzate ai nemici.

Opere d’arte all’aria  aperta che i secoli e le intemperie non hanno intaccato, quasi fossero state imprigionate nella capsula del tempo. Ogni incisione è un fermo immagine che testimonia il passato delle vite che si sono intrecciate nel borgo.

I raggi del sole giocano nascondendo o svelando questi tesori. Pare impossibile che la luce possa a volte renderli invisibili, ma anche questa è una particolarità di Orta e del suo essere unica.

Le voci dei giocatori di filetto rimbalzano tra i muri con un accenno di colori pastello dei palazzi affacciati sulla piazza e quelli silenziosi della basilica edificata dal Santo Giulio, contendendosi la partita tra le cinte labirintiche.

In uno spazio di pochi metri quadrati se ne contano ben 6, più o meno in buono stato di conservazione.

Un gioco che affonda le sue radici nel mistero, nell’esoterismo. Quadrati magici, concentrici. Proviamo a giocare, rispolverando alcune regole.

Due giocatori

Nove pedine a testa,  che potrebbero essere anche sassolini, bianchi e neri o scuri

Chi ha quelli bianchi comincia per  primo quindi il colore deve essere sorteggiato all’inizio della partita, considerato il piccolo vantaggio.

Il gioco è diviso in due parti: nella prima le pedine vengono posizionate alternativamente sul tavoliere cercando di fare tris o filetto mettendone cioè tre in fila. Chi fa tris toglie una pedina all’avversario, il tris in diagonale non è valido.

Una volta che tutte le pedine sono state giocate comincia la seconda fase del gioco.

Adesso le pedine si possono muovere lungo le linee liberamente, ma stando attenti a non scavalcare altre pedine e chi fa tris mangia sempre una pedina dell’avversario. Chi non può più muovere o resta con meno di tre pedine ha perso.

Meritano un discorso a parte gli affilatoi. Se ne trovano tracce evidenti sulle colonne antistanti la chiesa parrocchiale e la basilica di San Giulio, e sulla cassetta delle elemosine dell’oratorio di San Rocco. Si tratta di più o meno profonde incisioni formatesi dalla prolungata azione di affilatura di coltelli e ami sulla pietra. Se da una parte questa operazione veniva fatta perché quel particolare tipo di roccia era il più indicato, dall’altra il significato va ricercato in una sorta di “benedizione” proprio perché l’azione era eseguita  su edifici sacri.

L’ “orecchio dei morti” non è una incisione, ma una pietra speciale, che fa da tramite tra il mondo terreno e quello dell’aldilà. Si trova nel muro di contenimento del cimitero e, nella credenza popolare, permette, appoggiando l’orecchio nell’incavo, di ascoltare le voci dei morti. Rivolta verso la città e il lago, quasi a raccogliere le preghiere degli abitanti per i propri cari.

Ancora una volta Orta ha svelato un suo lato nascosto, godere delle sensazioni che provoca è unico, tutto dovrà restare intatto per chi verrà dopo di noi.

 

 

 
 
 
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