Art. 11 Cost.: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e
la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo.
LA DICHIARAZIONE DI PRINCIPIO E LE SUE CONTRADDIZIONI INTERNE
Reduci dall’esperienza traumatica della seconda guerra mondiale, i padri costituenti
inserirono tra i principi fondamentali questo articolo, con l’obiettivo di marcare
chiaramente il rifiuto, anzi il ripudio (termine ben più forte), da parte del nostro Paese
di considerare lecita la guerra: essa è proibita sia come “strumento di offesa”, quindi
in funzione aggressiva, sia come “mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali”, quindi con scopi diplomatici.
Fin qui il dettato costituzionale è molto chiaro e tuttora moderno. Dopo un avvio così
risoluto, subentra però una seconda parte dell’articolo che smorza il vigore iniziale e
rende decisamente meno incisivo il dichiarato ripudio dell’azione bellica. Infatti,
riconoscendo che la pace può essere meglio garantita e tutelata da iniziative di
cooperazione internazionale, l’Italia ammette la possibilità che si verifichino
“limitazioni di sovranità necessarie” entro ordinamenti che assicurino pace e giustizia
tra i popoli. Il sottinteso riferimento è all’ONU, che non viene giustamente menzionata
in quanto essa rappresenta sì la maggior organizzazione internazionale che promuove
pace e giustizia nel mondo, ma non l’unica.
E’ evidente infatti come, per problemi di questo tipo, sia impensabile ragionare entro il
ristretto orizzonte nazionale e sia, invece, necessario considerare il contesto
internazionale in cui l’Italia si trova ad agire: non è dunque possibile, oggi ancor più
che nel dopoguerra, ipotizzare delle norme che non tengano conto della situazione
sovranazionale. Fin dal 1955 (anno dell’adesione del nostro Paese all’ONU) al dettato
costituzionale si accompagnano vincoli corrispondenti di diritto internazionale. In
questo senso è da ricordare come la Carta dei diritti fondamentali dell’ ONU, stilata nel
1945 a San Francisco, affermi fin da subito (art.1) che fini delle Nazioni Unite sono
“mantenere la pace e la sicurezza internazionale (…) prendere efficaci misure
collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di
aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in
conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la
soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad
una violazione della pace”. Nei paragrafi 3 e 4 del secondo articolo, poi, ribadisce che
“i membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in
maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in
pericolo” e che essi ”devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia
o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di
qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni
Unite”. Come ha più volte sottolineato la Corte costituzionale, l’Italia, essendo
membro dell’ONU, deve sottostare obbligatoriamente e senza mediazioni a questi
principi, per la cui applicazione non è necessaria un’integrazione della legislazione
nazionale, in quanto la magistratura competente è tenuta ad applicarli direttamente.
1Essendo inoltre l’Italia membro dell’Unione Europea, essa deve ratificare i trattati che
l’UE approva: tali documenti sono convalidati con legge ordinaria, ma essendo dotati
di forza attiva sono equiparabili a norme costituzionali; si veda a questo proposito la
sentenza 399 emanata nel 1987 dalla Corte Costituzionale. Con la medesima
disposizione e con altre (ad esempio le sentenze 183/73 e 232/89) la Consulta ha poi
posto il cosiddetto contro limite, ovvero un limite al primato del diritto comunitario su
quello interno: in base a tale concetto, le limitazioni di sovranità consentite dall’art. 11
non possono essere invocate per luogo ad una violazione dei principi fondamentali
della nostra Costituzione.
Noi crediamo però che la nostra Costituzione, proprio in quanto espressione dei valori
e degli ideali più autentici di cittadini che sono italiani e nello stesso tempo aperti al
mondo, dovrebbe dichiarare senza ambiguità di fare suoi i principi fondanti di
un’organizzazione mondiale istituita proprio per garantire un diritto umano
fondamentale, dal quale dipendono molti altri. Infatti se ogni diritto ha evidentemente
una sua importanza, pare difficile ipotizzare una piena realizzazione del diritto allo
sviluppo o alla salute o all’istruzione in condizioni di guerra.
Una disposizione costituzionale di questo tipo, con un vigoroso richiamo alle
organizzazioni internazionali, servirebbe a sottolineare come l’Italia si trovi ad
operare, necessariamente ed orgogliosamente, all’interno di un sistema che in parte la
sovrasta. Necessariamente perché in un mondo ‘globale’ nessuno può procedere da
solo. Orgogliosamente perché l’Italia crede fermamente negli organismi internazionali,
come dimostra il fatto che è stata tra i fondatori dell’ “Europa a sei” negli anni ’50.
Quanto poi all’ONU, ci pare da sottolineare un altro aspetto. L’Italia vi partecipa da più
di 50 anni e ne condivide valori e regole, però come molti altri paesi non vi partecipa
“in condizioni di parità con gli altri stati”: sappiamo infatti come tutte le decisioni delle
Nazioni Unite prese dall’assemblea generale debbano venire ratificate dal consiglio di
sicurezza, un organismo ristretto costituito da cinque Paesi (Usa, Gran Bretagna,
Francia, Cina e Russia) che dispongono del il diritto di veto, per cui un loro parere
contrario blocca qualsiasi decisione presa in sessione plenaria. Ribadire nella
Costituzione la fiera determinazione con cui l’Italia si richiama agli organismi
internazionali può significare anche – almeno noi lo crediamo – richiamare l’attenzione
su un tema oggi di grande discussione quale il funzionamento del consiglio di
sicurezza dell’ONU.
IL DIRITTO DEI POPOLI ALLA PACE E L’ELIMINAZIONE DELLA MINACCIA DELLA
GUIERRA: MA QUALE GUERRA?
La DICHIARAZIONE SUL DIRITTO DEI POPOLI ALLA PACE (Risoluzione dell’Assemblea
Generale 39/11 del 12 novembre1984) ha proclamato solennemente il “sacro diritto”
di tutti popoli del pianeta alla pace e, insieme, l’obbligo fondamentale di ciascuno
stato alla realizzazione di tale scopo. In questo contesto si è sottolineato come, per
garantire l’esercizio di questo diritto, siano necessarie politiche “indirizzate
all’eliminazione della minaccia della guerra, in particolare della guerra nucleare”. La
sottolineatura implicitamente pone una domanda e propone una doverosa riflessione.
Quando parliamo genericamente di ‘guerra’, infatti, oggi a quale scenario bellico
facciamo riferimento?
Inviato da: psico_crazia
il 08/06/2011 alle 20:20
Inviato da: bahkty
il 21/05/2011 alle 16:39
Inviato da: virgola_df
il 20/04/2011 alle 19:49
Inviato da: nardodgl9
il 18/04/2011 alle 11:07
Inviato da: blebuzio
il 11/04/2011 alle 01:56