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Post n°161 pubblicato il 20 Novembre 2009 da as_scacciapensieri

Venerdì, 20 Novembre 2009
Dal Pibe fino a Titi tutte le mani di Dio
ROBERTO PERRONE PER IL CORRIERE DELLA SERA


Gioco di mano, gioco da villano. In generale, ma soprattut­to in uno sport che si interpreta con i piedi. Nel calcio, i falli di mano ci so­no sempre stati, ma come nella storia dell’umanità, c’è un prima e un dopo. Non per niente, a tirare in ballo No­stro Signore, fu proprio lui, l’autore della furbata che fa da spartiacque: Diego Armando Maradona che segnò con la mano all’Inghilterra nei quarti di finale del Mondiale messicano del 1986. I francesi lo hanno copiato (
L’Équipe : «La main de Dieu»), ma gli sarà girato di non essere loro a detene­re il copyright. Per quel gol Maradona è considerato un ladro in Inghilterra e un highlander in Scozia dove esordì un anno fa sulla panchina della Selec­cion tra feste e manate (sulle spalle). In questo senso gli inglesi sono iella­ti. Silvio Piola, il 13 maggio del 1939 a San Siro, segnò il 2-1 contro la perfi­da Albione (poi la partita finì 2-2) con una splendida rovesciata delle sue... di mano. Per nulla pentito, confessò il misfatto quindici anni dopo. I gol di mano ci sono sempre stati, ma da Ma­radona in poi, cioè dagli anni 80, con l’avvento del grande fratello tecnolo­gico, nulla sfugge all’occhio di quel dio che è la telecamera.

Da Maradona in poi, i grandi imbro­glioni sono stati tutti smascherati. Pic­coli
e grandi. Però, ed è questo che stona un po’, come al solito, c’è qual­cuno più uguale degli altri. Raul fece uno sgarbo al Leeds durante la Cham­pions League del 2000-2001. Lionel Messi, il pupillo di Maradona, in un derby con l’Espanyol (Liga 2006-2007) segnò di mano, la sini­stra, la stessa di Maradona con l’In­ghilterra. Ora c’è Titi Henry, con il suo assist manesco per Gallas. Lo sde­gno è unanime, la condanna pure, ma durano poco. Insomma, il gioco di mano, anche con punizione degli or­gani competenti tramite la prova tv, sembra passare, alla fine, come una simpatica furbata. Dipende dalla gran­dezza
del campione e, non dimenti­chiamolo, dalla sua nazionalità. L’uni­co aspetto che accomuna tutti, piccoli e grandi, è quello di venire beccati. Non si sfugge a quel minimo di go­gna mediatica. Tra gli iscritti al club pallavolistico ci sono Milan Rapajc (Perugia-Napoli, campionato 1996-97), e Andres Guglielminpietro (Bologna-Udinese 2003-2004) su, fi­no ai casi dello scorso campionato, quelli di Adriano nel derby (con brac­cio vicino al corpo) e quello di Gilardi­no con il Palermo.

Non ci si libera dei gol di mano. Perché fa parte dell’istinto del preda­tore, perché quando sei lì a un metro
dalla porta il pallone lo colpisci con tutto quello che hai, perfino con i pie­di. Perché non si rinuncia a un gol, perché il fair play è bello, ma poi al bar ti prendono in giro. Perché a fare come Daniele De Rossi al 35’ di Ro­ma- Messina, 19 marzo 2006, cioè am­mettere di aver segnato di mano e quindi rinunciare al 2-0, si finisce co­munque nel tritatutto. «Bravo, ma co­munque non doveva segnare». «Bra­vo, ma volevo vedere se la partita era 0-0». «Bravo? Un pirla, e se poi quelli pareggiavano?». Per dirla tutta, dipen­de dal punto di vista. Per esempio, nel caso in questione, noi italiani sia­mo irritati perché un gol di mano ha fatto fuori l’Irlanda di Trapattoni. Se, al contrario, l’avesse portata in Suda­frica ai danni della Francia, denunce­remmo la cosa, ci scandalizzeremmo strappandoci le vesti per il calcio de­fraudato, poi andremmo tutti a Dubli­no alla sagra del trifoglio col Trap.

 
 
 
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