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San Pier Damiani tra Morciano e Rimini

Post n°232 pubblicato il 26 Aprile 2007 da monari
 


Il ricordo di san Pier Damiani organizzato a Morciano (27-29 aprile) nel millenario della nascita, riguarda anche Rimini. Dove abitava la famiglia dei Bennoni che gli fece varie donazioni tra cui quella della terra su cui fu fondata, nel 1061 dallo stesso Pier Damiani, l’abbazia di san Gregorio in Conca a Morciano.
Il padre Benno era un grande feudatario, proprietario di vaste estensioni di terreni. Sua moglie Armingarda gli aveva recato in dote altre proprietà fondiarie. Dal loro matrimonio nacquero tre figli. Uno soltanto, Pietro Bennone, sopravvisse al padre. I territori assoggettati al loro controllo o di loro proprietà s’estendevano tra Rimini, l’entroterra riminese e quello marchigiano.
Quando Benno morì nello stesso 1061, fu ricordato da Pier Damiani in un carme. Benno vi è definito «onore del regno, e gloria della stirpe romana, padre della Patria, luce dell’Italia». Padre della Patria o della città era chiamato il rappresentante della vita municipale che doveva vegliare alla difesa del Comune sotto il dominio della Chiesa romana. Era una figura ben distinta dal conte che era un delegato pontificio od imperiale. Uomo giusto e pio, severo con gli oppositori ma dolce con gli indifesi, Benno è dato da Pier Damiani per ucciso nel corso di una «guerra»: «lui, per merito del quale fiorì la pace», fu forse vittima di una lotta sulla cui origine possono essere avanzate soltanto ipotesi connesse al ruolo politico svolto dallo stesso Benno.
Uomo di fede e difensore degli interessi della Chiesa (altrimenti Pier Damiani non l’avrebbe glorificato), mentre la feudalità laica mirava ad una sostanziale autonomia politica ed aumentavano i sostenitori dell’indipendenza cittadina, Benno probabilmente non riuscì a pervenire ad una sintesi originale tra mondo laico ed ecclesiastico, per conciliare gli interessi «particulari» cioè cittadini con quelli della sede di Pietro.
I riminesi possono aver visto in Benno un capo che finiva per essere più il rappresentante del pontefice (come il conte) che della loro comunità. E quindi possono aver cessato di considerarlo come un’espressione della giustizia e dell’equilibrio nei rapporti fra la città e Roma. Nell’additarlo pubblicamente come traditore, sarebbe stata così scritta la sua condanna a morte.
Antonio Montanari
Questo testo appare oggi nella pagina aperta del Corriere di Romagna. 

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