I 39 ebrei salvati a Bellaria

Post n°1158 pubblicato il 06 Febbraio 2013 da monari

I trentanove ebrei che Ezio Giorgetti ospitò nel suo albergo a Bellaria dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, riuscirono a salvarsi grazie a carte d'identità fornite loro da Virgilio Sacchini (1899-1994).
La vicenda ci è rivelata per la prima volta dalla dottoressa Patrizia Sacchini D'Augusta, nipote di Virgilio. Suo nonno in quei giorni era Commissario Prefettizio del Comune di Savignano sul Rubicone: «Era fascista, ma era anche un uomo buono ed estremamente generoso (con la sua Industria di Legnami e Imballaggi, prima che gli eventi bellici la distruggessero, aveva dato lavoro a tanti Savignanesi ed era un padrone che rispettava profondamente gli operai) ed è per questo che né lui né gli altri membri della sua famiglia furono oggetto di ritorsioni da parte dei partigiani del luogo».
Virgilio Sacchini mise al corrente del suo intervento a favore degli ebrei 'bellariesi' soltanto il proprio figlio Marino.
Ascoltiamo ancora la dottoressa Patrizia Sacchini: «La storia mi è stata raccontata diversi anni fa da mio padre, Marino Sacchini, prendendo spunto da un articolo comparso sul Corriere di Rimini (29/09/1994). Alla fine della guerra mio nonno, Virgilio Sacchini, nato a Savignano sul Rubicone il 26 dicembre 1899, Cavaliere della Corona D’Italia, confidò a mio padre di avere aiutato quel gruppo di ebrei, nel 1943, a fuggire e a raggiungere il Meridione. Si diceva felice che tutto avesse avuto termine, poiché aveva messo a repentaglio, con il suo gesto, la sicurezza della sua famiglia».
Prosegue la dottoressa Sacchini: «Ezio Giorgetti (che, attraverso un amico comune, il Sig.Bertozzi, conosceva mio nonno) ottenne da mio nonno le famose carte d’identità in bianco che nell'articolo pubblicato dal Corriere di Rimini in data 22/01/2007 risulterebbero essere state fornite dal Segretario Comunale di San Mauro Pascoli, Sig. Alfredo Giovanetti. Le carte d’identità appartenevano al Comune di Savignano sul Rubicone e mio nonno, pur correndo un serio pericolo, per il ruolo che ricopriva, non esitò a metterle a disposizione del gruppo di ebrei. Non so se questo fatto fosse noto al Maresciallo Osman Carugno, al Sig. Giovannetti e a Don Emilio Pasolini, immagino che mio nonno avesse chiesto e ottenuto la garanzia del riserbo assoluto attorno al suo gesto. Mi fa immenso piacere offrire questo piccolo contributo alla vostra ricerca. Ricordo mio nonno sempre con tanto affetto e, da convinta antifascista, lo ringrazio di aver contribuito alla salvezza di quel piccolo gruppo di ebrei».
A parlare di carte d'identità fornite ad Ezio Giogetti da Alfredo Giovanetti fu la moglie dello stesso Giorgetti, Lidia Maioli, nel volume curato da Bruno Ghigi nel 1980, «La guerra a Rimini», pag. 321.

["il Ponte", Rimini, n. 5, 03.02.2013]

 

La ricostruzione storica della vicenda bellariese si legge in Riministoria in questi due articoli:
1. Ezio Giorgetti, lo Schindler di Bellaria. Fu aiutato dal vescovo Scozzoli e dal maresciallo Osman Carugno
2. Nazisti, fascisti ed Ebrei a Rimini nella seconda guerra mondiale.

Pubblicato su Corriere Romagna del 29 gennaio 2007.
Antonio Montanari

All'indice di "Rimini 1900" sul "Ponte".

 
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Mani pulite contro i delitti

Post n°1157 pubblicato il 03 Febbraio 2013 da monari

Alle origini di Rimini moderna (5). Francesco Guicciardini, Presidente di Romagna, raccomanda al fratello Iacopo, che gli succede nella carica: occorre "avere nome e opinione di severità"
Mani pulite contro i delitti
["il Ponte", 27.01.2013]


Il suo nome è Francesco Biancuto da Montefiore, abitante a Monte Colombo. A Rimini fa il capo dei ribelli sostenitori dei Malatesti. A Milano ed a Ferrara invece lavora come spia al servizio di Roma e di Alberto III Pio conte di Carpi (1475-1531). I servizi prestati da Biancuto gli hanno meritato il perdono del pontefice per quanto accaduto a Rimini nel 1527, ovvero il rientro dei Malatesti che poi l'8 aprile 1528 ricevono l'investitura da papa Clemente VII.

Politica e libri
Alberto III Pio nasce da Caterina Pico, sorella di Giovanni Pico della Mirandola, il filosofo autore del “Discorso sulla dignità dell'uomo”. Sposa nel 1494 Camilla Gonzaga (+1515) e nel 1518 Cecilia Orsini di Monterotondo. Dal 1513 è ambasciatore presso la curia romana, prima di Carlo V e, dopo la sua morte (1519), della Francia. “Uomo di molta sagacità ed eloquenza, e versato ne' politici affari”, lo descrive Pietro Verri. Grande collezionista di libri, è protettore dell'editore Aldo Manuzio, già suo maestro a Carpi. Dopo il sacco di Roma (1527) lascia la città e si trasferisce a Parigi dove muore. Alberto, come osserva S. Cavalletto (2004), dedica l'ultima parte della sua vita ad attaccare il pensiero di Erasmo da Rotterdam (1469-1536) ed il suo “Elogio della Pazzia”, il cui culmine è posto nella fede che permette di conquistare la felicità celeste, propria dell'altra vita.
Secondo il cardinale ed umanista modenese Jacopo Sadoleto (1477-1547), Alberto è un uomo di grande ingegno e valore. Girolamo Tiraboschi (1731-1794) racconta (“Storia della Letteratura italiana”) che Alberto è accusato da Francesco Guicciardini di essere un traditore, perché nel 1523 governando per la Chiesa Reggio Emilia e Rubiera, cerca segretamente di farsene signore. Il tentativo è fatto fallire dallo stesso Guicciardini che conosce bene gli ambienti emiliani, prima come governatore di Modena e poi pure di Reggio e Parma tra 1516 e 1517, per volere di Leone X. A Modena e a Reggio, Gucciardini si acquista la fama di funzionario incorruttibile ed inflessibile, scrive G. Dossena che lo descrive come uomo ricchissimo per i possedimenti terrieri e le attività commerciali in mezz'Europa. Nel 1523 è nominato Presidente di Romagna dove (secondo D. Cantimori) mantiene l'ordine con una severità analoga a quella del Valentino, anche se non altrettanto crudele.

Temuto a Rimini
Il profilo di Francesco Biancuto è disegnato da Guicciardini che lo dichiara suo amico. Su di lui nutre fiducia, non crede che abbia tramato contro la Chiesa: “ma quelli di Rimini ne temono assai, e tutto dì ne potresti sentire querele”, scrive al fratello Iacopo, lasciandogli il posto di presidente di Romagna, all'inizio del 1526, quando è chiamato a Roma per occuparsi della politica estera, prima di essere commissario generale dell'esercito pontificio (non riesce a fermare i Lanzichenecchi) e luogotenente di Clemente VII.
Nel testo "Delle cose di Romagna a suo fratello Iacopo" troviamo giudizi taglienti sulle città a lui affidate: lo mette in guardia sulle difficoltà che avrebbe incontrate. In Romagna occorre "avere nome e opinione di severità". Qui "sono tante piaghe e tante ingiurie vecchie e nuove", e gli "uomini sono comunemente disonesti, maligni”, e non conoscono l'onore. Per vincerli non basta punire tutti i delitti, ma occorre "non essere parziali, avere le mani nette, né piegarsi per lettere e intercessioni de' Cardinali e gran maestri".

Infinite ruberie
I Romagnoli “temono chi gli mostra il volto, sono assai soliti a essere rubati". Guicciardini ha cercato di dare loro ardire per invitarli a denunciare le cose mal fatte. Critica il sistema giudiziario civile per le liti che non finiscono mai e permettono agli avvocati di protrarre le cause all'infinito e "rubare" denari ai clienti. Pure i Governatori "cercano di mettere ogni cosa in processo per tirare le sportule", oggi diremmo tangenti.
Guicciardini spiega di aver lasciato correre per le denunce contro chi giocava "nelle città e contadi, e condannarli, massime i contadini", ed aggiunge: "Così ho serrato gli occhi negli adulterii ed altre cose" legate alla vita sentimentale. Passando in rassegna le lotte tra fazioni dopo le morti di Leone X (1521), e di Adriano VI (1523), Guicciardini osserva: i delitti dei Ghibellini di Forlì, Imola e Ravenna, "sono stati condannati variamente secondo la qualità dei casi e delle persone", o con il bando o con multe. Al fratello suggerisce di stare poco fermo in un luogo e di andare spesso a vederli tutti, “perché si contentano i popoli, intendendo le cose più particolarmente, i Governatori stanno con più rispetto, e molti che non hanno modo a andare in altre città, possono dire i fatti suoi". La città peggiore per lui è Forlì, con odi che sono eterni, e con entrate della Comunità che stanno malissimo. A Cesena invece "non sono insanguinati".
Le entrate di alcune città “si dissipano per il poco amore e disunione” degli abitanti. I governatori ed i bargelli rubano a man bassa, sono i ladri peggiori. I modi delle ruberie sono infiniti. Uno dei funzionari più corrotti, è il forlivese Antonio Numaio, addetto alle esazioni per la Camera Apostolica, "uomo parzialissimo e di mala natura". Egli non paga gli esattori, ma ricava i soldi necessari gravando sui contadini colpiti pure dalle robuste mangerie degli ufficiali addetti alla riscossione.

Clemenza per Rimini
Arriviamo a Rimini. Per quanti non avrebbero voluto rivedere il potere pontificio, fu usata clemenza perché non stava bene lasciar fuori della città troppa gente. Però "vi sono alcuni che non è bene graziare in modo alcuno”, di loro farà una lista. A tutti gli altri ribelli si può concedere la grazia. I contrasti tra guelfi e ghibellini sono forti, ma qui pure i Ghibellini sono partigiani del dominio temporale. Forse in odio ai Malatesti. Guicciardini parla del Porto: "una bella cosa”, se si tenesse bene in ordine, “ma va in rovina perché si riempie; e la Comunità vi spende assai, ma con tanto intervallo di tempo che non può far frutto”. Bisognerebbe farvi una spesa grossa, però la Comunità non può. Valerio Tingoli ed altri mercanti offrivano di farla loro, “ma la Comunità non acconsentì, parte per invidia, parte perché facevano qualche domanda ingorda” (A. Serpieri, 2004). Nell'ultima visita a Rimini, Guicciardini ha pensato ad un progetto, “fare venire qualche maestro intendente, e più di uno, per vedere che rimedio vi fussi buono e di che spesa". Chiamato a Roma non può realizzarlo più.

Farsi temere
Guicciardini si è fatto fama di persona che non può essere placata: e che "quanto più favori si adoperino meco, sia il peggio". "Autorità e reverenza", conclude con il fratello, non si possono conservare se non con lo stile che ha appena descritto, e che ha applicato nel suo ufficio. Nelle “Istruzioni a Messer Cesare Colombo” suo agente in Roma, Guicciardini ricorda con orgoglio: "Nello entrare mio in Romagna sono fuggiti molti facinorosi". In un altro scritto, egli passa in rassegna tutte le accuse che gli erano state rivolte, a cui contrappone le “Difese” dove spiega che in Romagna si è fatto obbedire, ed ha avuto un nome tale da farsi temere.
Il domenicano fiorentino Remigio Nannini (1518-1580), teologo e filosofo, scrive in una biografia (1561) di Guicciardini che la carica di Presidente della Romagna era un ufficio di molta fatica e di molto pericolo per le inimicizie civili diffuse in quei popoli feroci che lui seppe tenere a freno. Altrettanto feroce era la gente di Bologna che Guicciardini andò a governare amministrando la giustizia senza far differenze. Così riuscì a raffreddare l'orgoglio e l'ardore di molte famiglie nobili, che fidandosi della moltitudine e della bravura dei loro seguaci, tenevano perturbata ed inquieta la città.
(5. Continua)

All'indice di "Rimini moderna"
All'indice di "Rimini moderna" Ponte

Antonio Montanari

"Riministoria" è un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", è da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 07.03.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 05.08.1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67, 21.03.2001. © Antonio Montanari. [1790, 15.12.2012. Agg.: 11.01.2013]. Mail

 
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Notizie, molte e cattive

Post n°1156 pubblicato il 28 Gennaio 2013 da monari

Per cominciar bene, richiamo una frase del card. Gianfranco Ravasi (L'Espresso, 31.1) che rimanda a San Paolo nello spiegare come la speranza sia una virtù di lotta. San Paolo anziché il termine corrente della lingua greca, ne usava un altro "che letteralmente significa recare sulle spalle un carico pesante e quindi avere costanza, perseveranza, impegno". Ravasi a quei politici che non si risparmiano nulla (dalla corruzione allo spreco, passando attraverso l'interesse privato), contrappone il cittadino serio che "sceglie la via della legalità, anche nelle piccole cose, a partire dalla richiesta dello scontrino fiscale, del rispetto delle regole stradali, del comportamento civico e così via".
Il contorno delle cronache recenti è desolante, spaventoso. Nel mio piccolo, seguendo la lezione di Ravasi che per migliorare occorre "fare", riprendo alcune notizie da non dimenticare. Ho citato qui il 20 gennaio un saggio di Giovanni Tizian sulla diffusione della malavita pure nella nostra regione. Tre giorni dopo, un'operazione della Guardia di Finanza di Bologna portava al bilancio di 29 arresti e 150 indagati nella 'ndrangheta che gestiva slot machine in Emilia. Tizian due anni fa aveva raccontato in un giornale di Modena dei clan dei videogames. Il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, è stato spaventato, come racconta ai cronisti, da una frase intercettata in cui si dice di Tizian: "O la smette o gli sparo in bocca e finita lì".
Un altro giornalista, Goffredo Buccini, presenta in un volume appena uscito, "L'Italia quaggiù", le donne calabresi che lottano contro la 'ndrangheta. Alcune sono state eliminate, come Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, per esser passate dalla parte dello Stato. Lea Garofalo fu sequestrata, torturata ed uccisa dal padre di sua figlia Denise, divenuta poi la principale teste d'accusa nel processo terminato con cinque ergastoli. Il carico pesante che le ha soffocate darà respiro alla loro realtà sociale in cui vissero.
Saliamo al Nord. Sul caso del Monte dei Paschi di Siena, abbiamo letto in Nicola Saldutti (CorSera, 25.1): "Ma una cosa è certa: qualcuno ha, in qualche modo, detto con un termine forse un po' brutale, spolpato il Monte. E in qualche modo si è arricchito mentre la banca perdeva". Le cronache più distaccate, lontane dall'inevitabile personalizzazione pre-elettorale, sono più spaventose delle polemiche politiche, perché segnalano colpi bassi e vendette fratricide. [Anno XXXII, n. 1113]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 03.02.2013, Rimini

 
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Redditometri

Post n°1155 pubblicato il 23 Gennaio 2013 da monari

Allegri, si avvicinano le elezioni. Il 17 gennaio i titoli dei quotidiani ci confortano: il redditometro sarà più leggero. La nostra felicità nasce dal fatto che non abbiamo ancora capito che cosa sia il redditometro. L'annuncio che esso avrà un volto più simpatico di quello inizialmente presentato dai giornali, è solida garanzia per avere fiducia nel futuro, dato che il presente non è troppo rassicurante.
Lo stesso 17 gennaio si leggono infatti altre due notizie: 1) blitz della Finanza nelle sedi della Lega a Milano; 2) arresto dell'ex sindaco di Parma (Pdl) dimessosi nella primavera del 2011, e di un consigliere regionale del suo stesso partito, mentre il comandante della Guardia di Finanza di Parma, Guido Maria Geremia, dichiara: "Abbiamo visto il tentativo a livello nazionale e locale per ostacolare le indagini".
Il 18 gennaio da La Stampa è smentito Bersani: la pressione fiscale non è aumentata di 4 punti con Berlusconi. Il 19 gennaio sgraniamo gli occhi soltanto per un attimo davanti alle cronache relative alla vicenda giudiziaria parmense. A casa di uno degli arrestati, i finanzieri hanno trovato copie di estratti conto bancari del procuratore capo Gerardo Laguardia, il quale ha commentato: "Non mi sono meravigliato più di tanto. Da tempo siamo sotto attacco" da parte di alcuni giornali. Dunque non è colpa del redditometro.
Lo stesso giorno si parla dell'inchiesta promossa dal Ministero della salute sui parti cesarei ingiustificati, che sarebbero il 43% del totale, secondo un rapporto dei carabinieri dei Nas. Dalla mancanza di documentazione di quasi una cartella su due, nasce l'ipotesi di falso in atto pubblico per truffa ai danni dello Stato. Altre due notizie del 19 non rendono più fiduciosi in chi gestisce le cose d'Italia. La prima reca le motivazioni della sentenza di condanna per la Commissione grandi rischi: sapeva molto ma non disse nulla prima del terremoto dell'Aquila. Se avesse fornito le informazioni necessarie, avrebbe ridotto il numero delle vittime. Davanti a queste vittime, dice la seconda notizia, la signora prefetto dell'Aquila pianse allora su consiglio del proprio padre (che definisce "uomo di mondo"). Ma poi la signora rise raccontando le sue lacrime, come risulta alla Procura di Napoli da un verbale di intercettazione in cui lei stessa si confida con un altro prefetto, Franco Gratteri, che due anni dopo lascia gli Interni per la condanna sui fatti (2001) alla scuola Diaz di Genova. [Anno XXXII, n. 1112]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 04, 27.01.2013, Rimini

 
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Noi despreadati

Post n°1154 pubblicato il 15 Gennaio 2013 da monari

Luigi Einaudi scrisse che le imposte dei cittadini forniscono alla collettività i beni comuni della sicurezza sociale e dell'istruzione. Ce ne dimentichiamo spesso. Peggio dell'evasione fiscale, è la malavita organizzata. Un recente saggio di Giovanni Tizian (Micromega 8/2012) si riassume con il sottotitolo: "Arrivano in terre insospettabili e iniziano a fare affari. Comprano esercizi commerciali e imprese, partecipano alle gare d'appalto. Si infiltrano". Un capitolo ci riguarda: "Emilia felix, tra incendi e collusioni".
Le cronache politiche negli ultimi mesi non hanno parlato molto di questo secondo argomento, e non hanno esaminato la questione delle spese militari nel nostro Paese. Giulio Tremonti ha accusato l'attuale governo di comperare dalla Germania due sommergibili al costo totale di due miliardi di euro. Francesco Grignetti (La Stampa, 11.1) lo ha corretto: fu il governo Berlusconi nel 1994 e nel 1996 ad ordinare i sommergibili. Quando Tremonti era ministro dell'Economia, nel 2009 avvenne il taglio della prima lamiera.
La scorsa estate il Washington Post definiva l'Italia la malata d'Europa per colpa di guasti storici come l'evasione fiscale record, la mancanza di spirito civico, il nepotismo che esclude la meritocrazia. Gli stessi Stati Uniti, che attribuivano al Vecchio Continente le colpe della loro crisi, adesso si stanno accorgendo di avere sulla coscienza qualche peccato. Francesco Guerrera, giornalista economico negli Usa, annota: economisti delle grandi università e banchieri di Wall Street sanno che non torneranno più i grandi spendaccioni del pre-crisi, ma "lo sussurrano senza ammetterlo pubblicamente" (La Stampa, 17.12). Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, al CorSera (11.1) dichiara che è in atto "un contagio positivo". Altre voci denunciano la situazione drammatica della disoccupazione. Barbara Spinelli (la Repubblica, 27.12) ha sottolineato come la questione sociale in Occidente sia oggi l'immagine di una concezione tragica della Storia, non il frutto di singole posizioni partitiche.
A Cannes (4.11.2011) il presidente Berlusconi aveva garantito: siamo un Paese benestante. "È sempre colpa degli altri" scrive oggi Luigi La Spina (La Stampa, 12.1). I giochi finanziari però ci hanno "despreadati". In Europa tiriamo la cinghia, mentre in Usa spiegano che è la politica sbagliata, osserva Federico Rampini (la Repubblica, 11.1), anche se nessuno accetta di prenderne atto. [Anno XXXII, n. 1111]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 03, 20.01.2013, Rimini

 
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Almanacchi vecchi

Post n°1153 pubblicato il 08 Gennaio 2013 da monari

Offre almanacchi e lunari nuovi. Il viandante gli fa alcune domande, gli chiede se crede che questo 2013 possa esser felice, ricevendo una risposta positiva e piena di entusiasmo. Però, sottoposto a pressante interrogatorio dal viandante, il venditore di almanacchi non ricorda di aver vissuto anni felici da quando, e sono due decenni, gira le strade del mondo ad offrire la sua merce.
Il viandante lo guarda fisso negli occhi. Quel volto come un baleno illumina la sua memoria, e gli dice di averlo già incontrato tanto tempo fa. Però non gli tornano i conti. "Sostenete di vendere almanacchi da vent'anni, ma io vi ho già visto mezzo secolo fa, e adesso pensandoci bene mi ricordo pure dove, sui banchi di scuola, nel senso che eravate descritto in una qualche pagina di un qualche libro, letto durante qualche lezione".
Il venditore scuote la testa, nega, nega, nega, giura che lui non è quell'altro, che quell'altro era un suo antenato descritto nel 1832 da un certo poeta gobbo e malinconico che era nato un po' più in giù, se ricordava bene, a Recanati. Ed allora il viandante gli chiede che cosa ci sia di nuovo per questo 2013 rispetto al 1832 ed a tutti gli anni che si sono succeduti sinora. Il venditore non resta senza parole, l'esperienza di famiglia lunga tanto tempo non è acqua fresca.
E comincia elencando le tante cose che ha letto ed ascoltato sui giornali negli ultimi 15 giorni, per cui risulta vagamente noioso, ma il guizzo finale del suo parlare da venditore di almanacchi lo riscatta e lo nobilita come arguto osservatore delle cose del mondo. È come la chiusura di uno spettacolo di fuochi d'artificio, con quella gran luce che fa piovere gocce di felicità nell'animo degli spettatori.
Suggerisce di considerarlo un venditore aggiornato. Infatti oltre ad almanacchi e lunari quest'anno offre pure un'agenda, genere inconsueto per i suoi affari, tiene a precisare. Ma ha dovuto seguire il mercato, dal giorno in cui alla tv ha sentito parlare dell'agenda Monti da parte di un distinto signore, tanto cortese da non alzare mai la voce, e tanto intelligente da fare discorsi davanti ai quali il nostro venditore d'almanacchi è rimasto ammirato, pur avendo compreso soltanto in piccola parte le cose che ascoltava. Ed adesso dice onestamente che non è colpa del signore che illustrava l'agenda Monti, ma di lui che si era ridotto a vendere calendarietti con tante belle ragazze svestite, e gradite a tal Silvio (rimembri ancor?). [Anno XXXII, n. 1110]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 02, 13.01.2013, Rimini

 
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Il tesoro Gambetti

Post n°1152 pubblicato il 29 Dicembre 2012 da monari

Quarantacinque anni di lavoro nel tempo libero lasciatogli dal suo impegno sacerdotale, sono testimoniati dal fondo bibliotecario conservato nella Gambalunga di Rimini, e che prende il titolo da lui, Zeffirino Gambetti (1803-1871).
"Gambetti ha raccolto e ordinato tutto quanto riguardasse la città e il territorio di Rimini, la sua storia e i suoi abitanti, noti e meno noti, del passato ma anche coevi e contemporanei, salvando dall'oblio non solo importanti autografi ma anche ricevute di pagamento, promemoria temporanei, modulistica d'uso quotidiano, effimeri avvisi a stampa, pregiate edizioni e pubblicazioni occasionali e devozionali, incisioni e dipinti", scrive Maria Cecilia Antoni nel suo saggio dedicato al sacerdote, appena pubblicato in "Studi Romagnoli", LXII, 2011.
Tutti i materiali descritti, le famose "Schede Gambetti" della Gambalunga, si possono consultare anche su Internet dal sito della stessa biblioteca riminese.
Come scrive Antoni, si deve a Gambetti, il salvataggio e la conservazione in Gambalunga del patrimonio manoscritto di Giovanni Bianchi, e di parte di quello a stampa.
Il significato di tutto il lavoro di Gambetti è così riassunto da Antoni: esso consente "di recuperare aspetti esistenziali minuti e domestici" di molti personaggi. Questi elementi "illuminano il contesto sociale e privato, contribuendo in modo determinante alla ricostruzione della storia locale".
A Maria Cecilia Antoni si deve pure il saggio (2010) sul fondo gambalunghiano intitolato a Michele e Michelangelo Rosa, apparso su "Studi Montefeltrani". Esso offre uno strumento di corredo, un inventario sommario, per consentire agli studiosi di conoscere e valorizzare un ricco patrimonio documentario che altrimenti sarebbe silenzioso ed inerte, realizzando l'essenziale funzione degli addetti ai "beni pubblici".
Un'osservazione marginale ma non per questo secondaria. Lavori così significativi ed importanti come questi di Maria Cecilia Antoni, una studiosa accurata e discreta, non possono trovar spazio in nessuna "sede" ufficiale riminese, mancando per l'editoria ogni iniziativa pubblica cittadina.

Antonio Montanari
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Testate e testardi

Post n°1151 pubblicato il 29 Dicembre 2012 da monari

Per le testate giornalistiche d'ogni parte le previsioni sono grigie. Le più celebri fanno già i conti con tanti fattori negativi che ne condizionano la sopravvivenza. Newsweek, settimanale americano diffuso in tutto il mondo, ha appena abbandonato la tipografia e salutata l'edizione di carta, sbarcando su internet. Non ci possiamo illudere che certe sorti tocchino soltanto le celebrità. Noi delle piccole testate, noi dell'informazione locale dobbiamo essere fermamente convinti sino al punto di apparire testardi, che il foglio di carta non va buttato tra le cose del passato, ma deve conservare la sua dignità in nome di una sola piccola regola: il pluralismo immediato e reale delle voci è la garanzia democratica per uno Stato in cui non ci siano soltanto le Voci del Padrone.
Ad inizio di un nuovo anno giornalistico, concedetemi di esprimere un augurio di buona lettura ad un numero sempre più consistente di lettori, la cui coscienza non può considerarsi a posto soltanto se scorrono due notizie al bar sorseggiando qualcosa. Cercansi lettori veri, che ci facciano le pulci non per gusto di polemica antidemocratica: lei non la pensa come me, quindi è un cretino. Ma per il bisogno di andare sino in fondo ai discorsi, raccontandoci il mondo che li circonda, e nel quale tutti siamo più o meno consapevolmente immersi.
Scarabocchiando sulla carta anche locale da 53 anni, ho una certa esperienza sul difficile rapporto tra cronisti e potere. C'è chi non vuole, in nome della virtù e della democrazia, che si raccontino le storie passate o le magagne presenti. Ma chi tace se deve parlare o si chiude le orecchie se deve ascoltare, non rende un buon servizio alla vita pubblica.
Mi succede sovente di definirmi un inutile cronista. La lettura di una pagina del card. Martini appena ripubblicata sulla parabola del servo inutile, mi ha confermato nel voler usare ancora quell'etichetta: "In poche parole: siamo servi inutili, inadeguati e perciò liberi e sciolti nel presente, umili e grati per il passato, capaci di gratuità per il futuro". E poi ancora: "Liberi dal peso insopportabile di dover rispondere a ogni costo a tutte le attese, di dover essere sempre perfettamente all'altezza di tutte le sfide storiche di ogni tempo. Questa libertà e scioltezza ci rende umili e modesti, disponibili a fare quanto sta in noi, a riconoscere quanto ci sta ancora davanti, ad ascoltare e a collaborare con semplicità e senza pretese". [Anno XXXII, n. 1109]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 01, 06.01.2013, Rimini

 
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L'uovo di Natale

Post n°1150 pubblicato il 17 Dicembre 2012 da monari

Quando nell'ultimo anno il Paese ha dovuto affrontare situazioni difficili con provvedimenti severi, ci hanno spiegato che si rendevano necessari perché ce li chiedeva l'Europa. Ma nell'ottobre 2011 era stata la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a lanciare l'allarme sul "tempo scaduto", aggiungendo: "Siamo sull'orlo del baratro". Poi è nato il governo Monti. Il presidente Napolitano dichiarava: i sacrifici stavano "arrivando giusto in tempo per evitare sviluppi in senso catastrofico della nostra situazione".
Ora siamo in attesa dell'appuntamento elettorale. Restiamo fiduciosi, ma dovremmo pure essere consapevoli che l'incertezza regna sovrana. Oggi attribuiamo all'Europa non i sacrifici di cui l'anno scorso parlava Napolitano per evitare la miseria nera nel Paese. Ma addirittura la scelta di quello che dovrebbe o potrebbe essere il vincitore delle prossime elezioni, ovvero il presidente Mario Monti che piace a Francia e Germania e sopratutto, come scrivono i giornali, è desiderato con grande passione dai moderati.
Su questa parola esistono molti equivoci che non dipendono da cattiva volontà di chi la usa, ma dal fatto oggettivo che un'etichetta dice più di una cosa quando la si usa per accorciare i discorsi, o riassumerli interessatamente, dimenticando quali collegamenti oscuri possa avere, o addirittura quanto essa possa negare l'evidenza dei fatti e la verità sulle persone. Ad esempio, come scrive Massimo Mucchetti sul CorSera (16.12), tra di loro in Europa figura pure un personaggio ungherese dai tratti fascisti. Se lo schema di distinzione usato da Muchetti per l'Europa lo applicassimo pure all'Italia, potremmo avere conferma della grande confusione che c'è sotto il nostro cielo. Chi come giornalista ha lavorato al soldo dei Servizi segreti, ha tutti i diritti tranne quello di dirsi moderato. Non è questione di punti di vista, ma di coerenza morale, senza la quale si va poco lontano. Ed infatti, oggi, noi in Italia siamo fermi alle dispute sui puri nomi, come i filosofi medievali, senza badare ai fatti. Per questo l'Europa ci chiede ogni tanto qualcosa, come ad esempio di fare l'uovo di Natale, così risparmiamo quello di Pasqua. Non sappiamo però quale sorpresa esso contenga: un fantasma od una persona vera? Siamo tutti a bocca aperta in attesa di aprire quell'uovo, dimenticando Storia, Costituzione e Politica, non nel senso perverso dei rimborsi di spese ridicole o moralmente oscene. [Anno XXXI, n. 1108]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 46, 23.12.2012, Rimini

 
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I due Pinocchi

Post n°1149 pubblicato il 11 Dicembre 2012 da monari

Gli italiani sono infelici, ma hanno la "forza mite" capace di farli stare meglio. La tesi è di Emanuele Trevi su La Lettura del 9.12: non servono le primavere politiche, basta la convinzione di "possedere una vita propria, inviolabile, irripetibile". Si mettono da parte le regole del mondo "per inventarne altre, più ricche di felicità e di giustizia". Come dimostra un giovane di Gioiosa Ionica, Vincenzo Linarello: guida una cooperativa che produce frutta e tessuti preziosi per combattere il lavoro nero e lo strapotere della 'ndrangheta. Usa una tecnica semplice: quando parla con qualcuno lo guarda negli occhi. "Ecco la storia più bella che si possa raccontare sull'Italia", conclude Trevi.
Dalla cronaca alla storia, attraverso un libro, "Pinocchio", condannato al ricordo per quel naso allungato se lui dice bugie. Una nuova prefazione a cura di Mario Vargas Llosa, uscita in anteprima su Domenica-Sole 24 Ore sempre il 9 scorso, ci obbliga a cambiare ottica di lettura. Il volume di Collodi diventa "un'etica per l'Italia", come dice il titolo a piena pagina, spaventando non poco a prima vista. Infatti esso potrebbe significare che il nostro è il Paese dei Bugiardi. Invece presenta una suggestione che è anche politica. Pinocchio ci mostra che "possiamo essere migliori di quello che sembriamo", se facciamo "appello alla forza nascosta del bene e della verità" che s'annida in noi.
Le due pagine di Trevi e di Vargas Llosa sono di conforto davanti alle cronache avvilenti della crisi politica, con le dimissioni annunciate sabato 8 sera dal presidente del Consiglio. Mario Monti non ha perso il tradizionale modo di punzecchiare chi gli pesta i piedi. Prima si è definito pallido perché il Re Sole si è allontanato da lui. Poi, senza enigmi, ha detto chiaro e tondo il suo pensiero su Alfano, segretario del Pdl, "sempre gentile e premuroso": le sue ultime parole sono state liquidatorie e persino insultanti, per cui Monti ha maturato la decisione di andare al Quirinale aprendo la strada alla crisi di governo ed alle elezioni.
All'immagine di Berlusconi come il Pinocchio dal naso lungo ha alluso senza mezze parole Mario Calabresi, direttore de La Stampa, di solito conservatrice e prudente. Egli, ha scritto, "è anche il premier che aveva lasciato l'Italia sull'orlo del baratro". Ora siamo tornati "nell'emergenza e in preda agli spasmi della peggiore politica". Forse è venuto il momento di sperare nel Pinocchio secondo Vargas Llosa. [Anno XXXI, n. 1107]

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, n. 45, 16.12.2012, Rimini


 
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