Messaggi di Maggio 2007

Non è antipolitica

Post n°245 pubblicato il 31 Maggio 2007 da monari
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Comincio a preoccuparmi di quello che penso. Sino a stamattina credevo di aver sufficiente senso civico nel considerare le critiche al governo un fatto normale per un Paese democratico.

Dopo aver letto a pagina 8 della Stampa di oggi l'intervista di Antonella Rampino alla prof. Flavia Franzoni, moglie di Romano Prodi, ho iniziato a dubitare di me.

Premetto che ho sempre avuto una grande stima della signora Franzoni al punto di pensare talora che lei sarebbe stata più abile del marito a reggere in questi momenti burrascosi il timone del governo.

La doccia fredda mi è venuta da quel passo dell'intervista in cui la prof. si dichiara «molto preoccupata dall'ondata di antipolitica» diffusa nel Paese. Ondata che si manifesta come «sfiducia nelle istituzioni».

La politica, ha detto la signora deve essere «senso civico». Sono d'accordo. Ma «senso civico» non significa obbedienza cieca ed assoluta alle decisioni che un governo può prendere anche in contrasto con le premesse programmatiche da cui è partito sia nella campagna elettorale sia nella presentazione alle Camere per ottenerne la fiducia.

La signora Franzoni si dichiara alla fine favorevole ai Dico, nella sostanza delle cose («Sono favorevole al riconoscimento dei diritti delle persone. E questo sono, in fondo, i Dico»).

Ma se altri componenti della maggioranza di governo i Dico non li vogliono più, allora chi (tra gli elettori) critica questa nuova situazione viene immediatamente sistemato nella categoria dell'antipolitica? E viene catalogato come privo di «senso civico»?

In questi giorni si è diffusa una specie di parola d'ordine, considerare antipolitico tutto ciò che non quadra con il pensiero ufficiale del governo.

Mi sembra troppo facile e troppo comodo. Oltre che troppo antico. Pare di ritornare al vecchio idealismo ottocentesco, poi adottato nel corso del Novecento per giustificare tutte le decisioni prese dallo Stato.

La politica è confronto. Prodi si è incontrato persino con Bossi che, lui sì, ha voluto sin dall'inizio rappresentare l'«antipolitica» al grido di «Roma ladrona».

Non abbiamo nulla da spartire con la Lega se, ad esempio, sollecitiamo lo Stato ad essere laico. Non manchiamo né di realismo né di senso civico. Esercitiamo un diritto tutelato dalla Costituzione.

Questo pensavo sino a stamani. Poi la prof. Franzoni in Prodi mi ha messo un dito nell'occhio ed una pulce nell'orecchio. Forse mi sto sbagliando.

Ma se sbaglio soltanto per il fatto che da semplice cittadino mi permetto di criticare un sistema politico che non sa trovare i rimedi democratici per risolvere i problemi gravi che ci affliggono, allora credo di essere in buona ed illustre compagnia. Forse si sbaglia (con grande buona fede) anche chi accusa i critici di non avere senso civico e di fare antipolitica.

 
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Lettera inviata al Corriere Romagna

Post n°244 pubblicato il 30 Maggio 2007 da monari

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Pubblico il testo della lettera inviata il 26 maggio al Corriere Romagna.

«Decenza pubblica»: non c'è solo lo stadio

Debbo una risposta alla cortese sollecitazione di Daniela Montanari (26 maggio). Confermo quanto scritto qui il
19 febbraio: esiste «una decenza pubblica che risiede nel principio di fare gli interessi della collettività, e non quelli di questo o quel potentato economico».
Non sono ritornato più sull'argomento stadio-motoraccio immobiliare per timore di infastidire redazione e lettori, e poi anche perché, dopo aver pubblicato sul «Corriere» il testo intitolato «
Cultura a Rimini: affari tra massoni e bancari» (6 marzo), mi è accaduta una cosa strana. In un altro quotidiano locale il 22 marzo è apparso un articolo in cui mi si accusava d’aver inventato la «patacata» della ben nota biblioteca malatestiana di San Francesco a Rimini (XV sec.). E d’aver plagiato in un mio volume del 1997 un testo altrui apparso (udite, udite) nel 2004. L'articolo citava come fonte un «libello», risultato poi una semplice mail spedita a quel giornale da persona che ha voluto essere presentata con un alias di comodo.
A cavallo di questo episodio ne è accaduto un altro. Il 28 febbraio, circa il preteso «ritrovamento» di un manoscritto cittadino,
sul web scrivevo che esso in realtà non era mai andato perduto ed anzi nel 1986 era stato elencato da una studiosa di Rimini in un suo volume. All'inizio di marzo sono stato scortesemente rimproverato davanti ad estranei, per il solo fatto d’aver osservato ciò. Nel frattempo avevo cominciato ad occuparmi pure delle spese comunali («170 mila euro circa», come da delibera di Giunta del 25 febbraio 2004) per sistemare i locali dove ospitare una biblioteca ‘personale’ che sarà gestita non dal Municipio ma da privati, proprio mentre la città ha bisogno di ulteriori spazi per la biblioteca civica, e sogna una torre di vetro secondo il progetto esposto a metà marzo nella mostra «Passato, presente e futuro della Biblioteca civica Gambalunga».
Come si vede, non ho cessato di occuparmi di «decenza pubblica» e dei problemi che riguardano la collettività, proprio per restare fedele a quanto scritto qui sopra non soltanto il 19 febbraio, ma anche il 2 febbraio con un testo ("Se la politica strizza l’occhio ai
palazzinari") che ha irritato parecchio, stando alle pubbliche reazioni registrate. A questo punto, non mi resta altro che realisticamente constatare come il problema dello stadio non sia l’unico a dover essere sottoposto al test della «decenza pubblica».
In questi giorni si parla tanto di crisi della politica. Non se ne dia la colpa ai cittadini che intervengono contro i Palazzi del potere. Ha ragione il prof. Luca Ricolfi che ha scritto: «Chi fa tutti i giorni il proprio dovere, ma non ha una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge, si accorge sempre più sovente che il gioco è truccato» («Stampa», 26 maggio).
Grazie a lei della sua cortesia, gentile Daniela Montanari, ed al «Corriere» per l’ospitalità.
Antonio Montanari


 
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Spallata no, ceffone sì

Post n°243 pubblicato il 29 Maggio 2007 da monari
 
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Il presidente del Consiglio non si meraviglia del risultato elettorale. Con una calma olimpica ha detto: «Era un risultato assolutamente atteso». Ha ripetuto che il suo programma riguarda cinque anni. Il primo è servito ad aggiustare le cose. Per cui la gente è rimasta scontenta.
Il ragionamento non fa una grinza. Però caro Prodi, consideri che dalle primarie in avanti lei ha perso consenso, e non certo per colpa sua personale e del suo "piano quinquennale" né per meriti particolari dell'opposizione. Che non le avrà dato una spallata come il Cavaliere sperava, ma un ceffone sì.
Sono convinto che iniziative come il Giorno della Famiglia siano state un bel servizio per l'opposizione, così come i Comitati civici di Gedda per la Dc del dopoguerra.

Anche lei vuole fare «l'antipolitico», ho letto sulla Stampa di stamane nel pezzo di Fabio Martini.
È una reazione stizzita. Più adatta ad un D'Alema che nella scuola di partito era stato abituato a considerare deviazionismo ogni critica alla decisioni della segreteria.
No, caro Prodi, l'Italia ha bisogno di nervi saldi perché abbiamo già troppe esperienze di discorsi a vanvera, come quello di Berlusconi che vuole far costruire dallo Stato case da concedere gratis alla gente. Magari ai ricchi evasori fiscali mascherati da poveri: succede, succede.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, da Avellino, ha suggerito rigore ed impegno da parte di tutti per rispondere alla crisi della politica italiana. Un discorso calmo, un invito alla responsabilità. La denuncia della crisi, ha detto, non deve essere fine a se stessa.
Caro presidente, lo ripeta tutti i giorni a tutti i politici che incontra: l'Italia ha bisogno di vedere realizzata una democrazia sostanziale che aiuti i giovani, non derida i vecchi, premi i meriti, non coltivi soltanto la malapianta delle raccomandazioni. Un Paese che (lo ha detto Prodi a Firenze) ponga dei limiti al lavoro precario che «distrugge una generazione».

Un Paese in cui vien da ridere pensando al fatto che sino ad ieri l'anti-Stato veniva collocato nel Sud, ed adesso è stato trasferito al Nord. È nata la questione settentrionale, ma non è stata risolta quella meridionale.
Coraggio signori. Vogliamo un Paese in cui i commenti freschi alle elezioni si ascoltino anche sulle reti della Rai. Ieri sera prima di cena c'è stato soltanto il fido Fede, e dopo è andata in onda una tavola rotonda sulla Sette.
Libertà è anche informazione, non soltanto per il canone versato.

Antonio Montanari

 
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Livia Turco ha ragione

Post n°242 pubblicato il 28 Maggio 2007 da monari
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Dove sta tutto lo scandalo provocato dal ministro Livia Turco, circa l'auspicato intervento dei Nas nelle scuole?
Faccio un esempio. Se scoppia un incendio, intervengono i vigili del fuoco con gli idranti. Non arrivano gli addetti alle pubbliche relazioni spirituali a spiegare che quelle fiamme possono raffigurare il nostro destino ultraterreno perché siamo tutti dei peccatori.
Gira la droga nelle aule? Si chiama tecnicamente spaccio. Il potere del corpo docente è limitato all'uso del telefono per chiamare la più vicina caserma dei CC od un ufficio di Polizia.
Nessun docente può perquisire un alunno. Nessuna prof. può odorare lo zainetto o chissacosa di un allievo per vedere se il fanciullino vi nasconde sostanze da smerciare.
Dove sia lo scandalo non vedo.
Una cosa è l'uso personale sul quale può intervenire l'opera educativa (ma chi educa a che cosa, stando a quello che si legge?). Un'altra faccenda è lo smercio di sostanze proibite.

 
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Allarme voto

Post n°241 pubblicato il 27 Maggio 2007 da monari
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Il mio post «Bulli over 40», dove si parlava anche del congiuntivo (la cui crisi è stata presa da Alfio Caruso a simbolo della crisi della società italiana), ha ricevuto molte attente, ponderate risposte.

Ho già scritto in calce ai commenti che ai politici italiani d'ogni colore più che il congiuntivo piace il condizionale, anzi la condizionale.
Non possiamo cavarcela con una battuta che poi alla fine non è tale. Perché nel frattempo il discorso politico si è allargato ed allarmato.

Ho accumulato tanti ritagli da non poter citare che quelli più freschi.
Omar Calabrese, semiologo, e Giampaolo Pansa (giornalista e storico) buttano oggi alle ortiche la tonaca del Partito democratico con una delusione che troverà altre, numerose e forse infinite conferme nei prossimi giorni.

Il problema non è da poco. Chi scrive sui giornali ha un sèguito non indifferente. Calabrese e Pansa non sono due blogger da nulla come il sottoscritto. Fanno opinione. Ma nello stesso tempo fanno da termometro. Il loro sfogo racconta molto della crisi della politica italiana.

Adesso le fonti ufficiali diranno che la colpa è tutta della cosiddetta «antipolitica», appoggiandosi proprio al grido di Pansa di «viva il qualunquismo, viva l'antipolitica».

Credo che la cosiddetta «antipolitica» sia soltanto l'espressione non soltanto del diffuso malessere che ormai tutti notano (anche  l'algido D'Alema), ma proprio la manifestazione di un progetto politico vero e proprio. Per far contare non i voti delle correnti dei partiti confluenti nel Partito democratico, ma i voti dei singoli cittadini. I quali hanno bisogno di respirare un'aria diversa da quella fumosa e nebbiosa delle segreterie nazionali, regionali, provinciali ed infine di quartiere. E magari di condominio.

I nostri politici di ogni colore si leggano sulla Stampa di ieri il testo di Luca Ricolfi : «Chi fa tutti i giorni il proprio dovere, ma non ha una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge, si accorge sempre più sovente che il gioco è truccato».
E su quella di oggi l'intervento di  Barbara Spinelli: «Se è veramente forte, il politico non s'indigna se criticato».

La forza del politico dovrebbe servire per cancellare la debolezza del cittadino, non per schiacciare chi non gode di «una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge».

Il discorso è molto semplice. Se i nostri politici, per gretti interessi di bottega, non lo capiranno, sì che spunteranno i fenomeni qualunquistici dell'«antipolitica». È già accaduto quando l'operazione «mani pulite» era all'inizio applaudita da quanti poi si schierarono contro di essa. Vista da alcuni come occasione per spazzare via la vecchia classe dirigente, essa si rivoltò verso di loro.

L'articolo di Ricolfi di ieri cominciava così: «Qualche politico comincia ad avere paura, altri fingono di essere preoccupati, altri ancora preferiscono minimizzare. Certo è che da qualche settimana lo spettro del 1992 ritorna ad aleggiare nei palazzi della politica».

I prossimi giorni potrebbero farci capire se quello spettro spazzerà via gli abitanti del Palazzo in preda al panico o se sarà lo spettro ad essere espulso con la precisa coscienza che occorre cambiare musica nella direzione politica del Paese. Per ascoltare le esigenze della gente comune, non le richieste dei privilegiati e dei raccomandati. Si chiede troppo ad un Paese che voglia restare (o piuttosto divenire finalmente) democratico?

 
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Elio Ferrari

Post n°240 pubblicato il 26 Maggio 2007 da monari
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Elio Ferrari, noto personaggio della vita riminese, è scomparso ad 83 anni.
Di lui ho parlato in vari miei libri, ricordando quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale.
Da quei testi propongo alcune righe per ricordare Ferrari che fu commerciante e poeta.

4 giugno 1944, presso il cimitero sammarinese di Montalbo. Quattro riminesi ed un cittadino della Repubblica del Titano, sono catturati dai fascisti. Si tratta di Decio Mercanti, Giuseppe Polazzi, Leo Casalboni, Elio Ferrari, e del sammarinese Gildo Gasperoni. Li interroga il riminese Paolo Tacchi assieme al colonnello sammarinese Marino Fattori, che dopo la Liberazione sarà fucilato nei pressi di Sondrio (stessa sorte avrà suo figlio Federico, tenente dei repubblichini).
I quattro riminesi vengono trasferiti al carcere di Forlì, dove incontrano Luigi Nicolò e Mario Capelli che saranno impiccati a Rimini il 16 agosto con Adelio Pagliarani.
I quattro si salveranno. Mercanti riesce a scappare verso la metà giugno, durante un allarme per strada, mentre veniva condotto al palazzo di Giustizia. Ferrari e Casalboni dovevano essere fucilati il 29 giugno. Si erano già scavati la fossa, quando un bombardamento mise in fuga il plotone di esecuzione. Il frate che li aveva assistiti, li aiutò ad eclissarsi. Mancano notizie su come se la sia cavata Polazzi.

Il libro mio «I giorni dell'ira» sulla guerra a Rimini, è scaricabile da internet.

 
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Cherchez la femme

Post n°239 pubblicato il 25 Maggio 2007 da monari
 
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«Cherchez la femme» sostenevano una volta (in ordine d'importanza) i commissari di Polizia e quelle vecchie zie tanto care a Leo Longanesi (il quale sperava da loro la salvezza dell'Italia) ed a Alberto Arbasino. Che ne ha fatto un punto ricorrente delle sue memorie. Per dire che, in fin dei conti, erano meglio loro delle bisnipoti di sempre. Personalmente credo che avessero ragione soltanto i commissari di Polizia.
Questa volta la scena non è quella del rimpianto politico o domestico, né quella di un delitto che richiede la ricerca di un colpevole.
Questa volta la «femme» la conosciamo prima delle indagini, non è un'immagine astratta fatta di rimpianto.
È il volto reale di una persona che s'è affacciata sulla scena politica, mandata avanti da Silvio Berlusconi a mettere il cappello sopra una sedia che potrebbe diventare la poltrona di leader politico di Forza Italia, o addirittura quella di Palazzo Chigi.
Questa «femme» apparsa nello splendore della sua bellezza e nel fascino della messaggera che parla non soltanto a titolo personale, ma addirittura per volere del suo «conducator», si chiama Michela Vittoria Brambilla, ed è diventata in breve lo spauracchio di tanta gente.
Perché ieri Luca Cordero di Montezemolo ne ha dette tante da Confindustria al punto da irritare lo stesso Cavaliere che avrebbe dovuto soltanto applaudirlo?
LCM s'è buttato nell'arena politica perché ha mangiato la foglia. Ha compreso che Silvio ha già scelto un erede fuori dal gruppo storico di Confindustria, ha scelto addirittura una donna: la signora Brambilla.
E così giù con la lista delle cose che non vanno. Mentre Silvio con saggezza epicurea rimproverava a LCM di non aver compreso che quando governava lui tutto andava benissimo, per cui Confindustria avrebbe dovuto sostenerlo e fargli rivincere le elezioni. Berlusconi ha detto, in nome di quella saggezza, che chi è causa o concausa del suo mal «pianga se stesso». Proverbio da vecchia zia, utilissimo per lanciare una pregevole nipote, la signora Brambilla, appunto.

Post scriptum.
Ringrazio quanti sono intervenuti commentando il precedente «post» sui Bulli over 40.
Prometto di ritornare sul tema. Ho letto bellissime pagine di commento.
La storia del congiuntivo è simbolica.
Per lasciarci per ora con una battuta, si potrebbe dire che molti al congiuntivo, nella classe politica in gran parte sgrammaticata che ci affligge da ambo le parti, hanno preferito l'elogio del condizionale, anzi della condizionale.

 
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Bullismo over 40

Post n°238 pubblicato il 23 Maggio 2007 da monari
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Un lettore mi ha chiesto di «spiegare» il bullismo. Non ho nessuna particolare preparazione per intervenire sul tema, se non l'esperienza personale maturata anche in un ambiente oggi al centro di non disinteressata attenzione, la scuola. Che nei tg si vuol far passare come un ricettacolo di malavitosi (in cattedra e sui banchi).

Quando avevo vent'anni (circa mezzo secolo fa) succedeva la stessa cosa. Un ragazzo scrisse una lettera al Corriere della Sera, alla pagina «Tempo dei giovani» per lamentare appunto la diffusione soltanto di cinismo, indifferenza, etc.

Ricordo che gli risposi per smentirlo, e che poi entrammo in cordiale corrispondenza privata. Lui mi scriveva da un carcere dell'Italia centrale.
Concordo con «Prussiano». I gesti e gli atti che lui elenca sono reati previsti dal Codice penale. E che come tali vanno trattati.

Condivido la sua ironia («In italiano si chiamano REATI, in inglese non saprei ...»).

Gli suggerisco di leggere sulla «Stampa» di oggi l'articolo di Alfio Caruso, che parte da questo assunto: «il crollo del congiuntivo nella lingua parlata» ha anticipato «il crollo delle piccole regole del nostro vivere quotidiano», per cui alla fine non c'è più distinzione fra le cose buone e quelle cattive.

Aggiunge Caruso:«Per acquisire la fluidità necessaria a onorare il congiuntivo da mattina a sera servivano la pazienza, la tenacia di schiere d’insegnanti e il rigore dei genitori. Finché la famiglia e la scuola hanno retto, finché ci sono stati padri e madri persuasi che l’insufficienza o la bocciatura del figlio non fosse addebitabile al malanimo dei professori e finché questi hanno creduto di esercitare una missione, non di svolgere un lavoro salariato, il congiuntivo è rimasto sulla breccia a ricordarci l’importanza della forma, la prevalenza del dovere sulla comodità».

In linea con la premessa di «Prussiano» e con le interessanti argomentazioni di Caruso, aggiungo che non c'è soltanto il bullismo scolastico, ma pure quello degli adulti over 40 ed over 50.

Un bullismo da capelli grigi, da gente che si presenta apparentemente «perbene». E che invece è molto lontana dall'immagine che essa diffonde attorno a sé.

Faccio alcuni esempi. Rigorosamente personali.

Due anni un mio sito fu chiuso dal gestore perché «qualcuno» gli fece scrivere una lettera da un legale, in cui falsamente mi si dichiarava inquisito per diffamazione in due sedi giudiziarie.

Dimostrato con atti legali che le notizie inviate al gestore erano appunto false, lo stesso gestore non ha riattivato il sito. Lo ha fatto tre mesi fa quando gli ho trasmesso foto di un giornale in cui quel «qualcuno» su nove colonne era dichiarato trasferito nelle patrie galere.

Secondo esempio. Alcune settimane fa in un blog che curo per un'istituzione pubblica locale, commento una notizia culturale in cui si dice che è stato ritrovato un antico manoscritto di cui non si avevano notizie dal 1790, etc.
Dimostro che quel manoscritto non era andato mai perduto, che se ne era parlato anche in un testo di dieci anni fa, che era registrato persino attorno alla metà dell'Ottocento in un indice tuttora esistente e consultabile su Internet.

Morale: pubblicamente sono aggredito da un funzionario del settore di cui parlo, perché avevo osato intervenire su un fatto che non è un argomento privato da amici al bar.

Infine. Qualche settimana fa ad un quotidiano locale arriva una mail segreta firmata che è pubblicata per sostenere che quanto da me scritto dieci anni fa (1997) è stato plagiato da un libro pubblicato... nel 2004. Il quotidiano rende noto soltanto lo pseudonimo del mittente, che per aver riscosso il credito della dignità della pubblicazione non dev'essere figura sconosciuta a chi ha reso nota quella mail. Spacciandola oltretutto come un libro apparso a stampa.

Ecco, questi sono atti di bullismo che conosco per esperienza personale, compiuti non da ragazzi in crisi d'identità ma da personaggi che sanno come 'lavorare' per maltrattare il prossimo, anche se poi a volte il gioco non riesce del tutto, e trovano sul loro cammino la Giustizia che li ferma almeno per un po'.

Ecco, questo bullismo da over 40 od over 50, è pericoloso quanto l'altro, ma soprattutto dimostra che la gestione delle cose pubbliche è sottoposta al vincolo mafioso dell'amicizia fra potenti. Per cui chi non partecipa al gioco (che ha pure le sue varianti da «scrivanie bollenti») è beffato e danneggiato.

 
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Leggi, poche o troppe

Post n°237 pubblicato il 19 Maggio 2007 da monari
 
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Si era sempre letto che in Italia produciamo troppe leggi. Adesso il discorso si è rovesciato. Romano Prodi ha accusato il Parlamento di lavorare poco e male. Delle 104 proposte governative, soltanto dieci sono state approvate.
Le nuove leggi nell'ultimo anno (il primo di Prodi a palazzo Chigi) sono state 38. Una ogni dieci giorni. Quando governava il centro-destra, le Camere approvavano una legge ogni 2,6 giorni.
Ma veramente abbiamo bisogno di tutte queste nuove leggi?
Ricordiamo che la sovrabbondanza di disposizioni normative era stata criticata anche dall'attuale capo dell'opposizione.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto nella questione con tutto il peso del suo ruolo.
A parte l'ovvio richiamo agli scolaretti indisciplinati (per «armonizzare i lavori dei due rami del parlamento»), ciò che più conta nella sua lettera ai presidenti delle Camere, è la tirata d'orecchie al governo, ben evidente nel passaggio sui decreti-leggi. Che una volta presentati sono soggetti a modificazioni sino a diventare un'insalata russa.
Il passo di Napolitano è questo: "L'adozione di criteri rigorosi diretti ad evitare sostanziali modificazioni del contenuto dei decreti-legge è infatti indispensabile perchè sia garantito, in tutte le fasi del procedimento il rispetto dei limiti posti dall'articolo 77 della Costituzione alla utilizzazione di una fonte normativa connotata da evidenti caratteristiche di straordinarietà e che incide su delicati profili del rapporto governo-parlamento e maggioranza-opposizione".
Ovvero non si può modificare lo "spirito" di un decreto-legge aggiungendovi in parlamento cose che c'entrano come i cavoli a merenda.
L'allusione è al testo adottato per ripianare i debiti della sanità, nel quale il governo ha inserito l'abolizione del ticket.
La tirata d'orecchie di Napolitano non fa una grinza sotto il profilo costituzionale. Ha ragione da vendere.
Il governo da parte sua potrebbe difendersi sostenendo che è una consolidata tradizione italiana, quella di inserire qualcosa «di strano» in un decreto-legge. Ed in diritto come in politica, spesso la tradizione suggerisce di percorrere la stessa strada.
Lavorare di più, per i signori deputati e senatori, non dovrebbe significare produrre leggi a getto continuo, ma cercare di capire quali sono le vere esigenze del Paese. Alle quali il parlamento sovrano dovrebbe essere attento.
Ma nel parlamento non c'è soltanto la maggioranza. In esso pure l'opposizione ha il suo ruolo. Che oggi sembra essere ridotto soltanto al conto alla rovescia sulla fine del governo Prodi.
Ma non è questo un metodo serio di lavoro parlamentare. Per il bene della democrazia. È inutile sbandierare i sondaggi, come fa di continuo Berlusconi. Che oggi dà il governo al 23%. Questa sua realtà virtuale potrà rallegrare i suoi fans, ma non serve a nulla nel cammino difficile della politica intesa come bene comune.
Come non serve a nulla la dichiarazione di Walter Veltroni. Se con Sarkosy in Francia va al governo un uomo di sinistra quale Bernard Kouchner al ministero degli esteri, ha detto il sindaco di Roma, proviamo pure noi a Roma con Gianni Letta, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Berlusconi. Non serve a nulla perché l'opposizione italiana non si accontenta di un gesto simbolico, caro Veltroni. Vuole tutto il governo.
Bernard Kouchner ha dichiarato a Le Monde di stasera le sue ragioni, «Pourquoi j'ai accepté».
Il nostro fotomontaggio (Asia Argento da Cannes fa simboliche boccacce a Prodi) è un'interpretazione arbitraria di immagini d'attualità.

 
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Tutti contenti

Post n°236 pubblicato il 05 Maggio 2007 da monari
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A Rimini il costo della vita sale, ma tutti sono contenti. Perché?
Facile, un supplemento economico di un quotidiano ha scritto che al mare le case rendono più che a Miami.
Facciamo gli americani (come diceva la canzonetta di Renato Carosone) e non ce ne frega niente dei problemi sociali che il quadro dei costi eccessivi della città comporta per quasi tutti.

 
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