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segreto custodire, in canto e danza

Post n°65 pubblicato il 22 Giugno 2011 da imagomentis

 

 

 

 

scrivere con i sensi: esordio

Sottile e smossa,
goccia di zampillo
e piacere sommesso,
dolce soffio di vento
sul viso inumidito,
una scaglia leggera
mi trascina lievissima,
col suo raggio esitante,
tra gli apici sporgenti
nella quiete attutita.

Ora è tacere,
in questo vuoto di ombre
che nella voce ampliano
due suoni impercettibili,
e nel silenzio trovo
l’arte del sottintendere
e del serbare artigiano,
come la roccia al turbine,
il salgemma sepolto
delle frasi e lo zolfo
dell’anima infuocata,
da quelle buone cose
rese amare e smentite
come ingenue carezze
che ritornano
rinnovati torpori
privi di desiderio
e lasciano la bocca
silenziosa per scelta
e pronta altrove a dire.

La consapevolezza,
tra le brume che portano
un afrore d’inferno
puro e annichilito,
guarda dritta negli occhi
l’esistenza e i ricordi,
raschiati da uno stilo
e riscritti con cura
nell’esile pergamena
di un manoscritto
increspato e friabile,
si dissolvono come
chiose perse nel nulla.



primo canto e danza

Chiuso in un serraglio di solitudine,
maschera claudicante,
intuivo ecumeniche chiose
e nel frattempo percepivo il mondo
fluidificarsi osceno
nelle frasi che a stento
in finzioni reali
afferravano ingorde
le opache disarmonie
delle cose inumane.



secondo canto e danza

Il tempo aveva smarrito efficace
la sua dimensione rassicurante
da molti e molti anni inchiodata.
Si era naturalmente sfaccettato
in piccoli graduali frammenti
che racchiudevano in sé l’enigma
del suo trascorrere deragliato,
come intarsi di un mosaico dell’anima
incastrato a caso sul pavimento
del nulla che esiste, tracciato
come un graffito visibile sul soffitto
dell’esistenza in situazioni vissute
al limite della lucidità, segnato
come un acquaforte dipinto a mano
sul muro inclinato della ragione
mai pienamente fedele e fuggitiva
alla condizione umana che si dispiega.
E con esso, nelle categorie indefinite
della consapevolezza, anche lo spazio
era in frantumi fragili , resistenti,
mescolati a caso da una coscienza
ribelle e vagabonda. Tempo e spazio,
nel vortice blasfemo del pensare emigrante,
solo a tratti mostravano la loro gabbia
dalle guglie appuntite e sembravano essere
inutili involucri di un incatenarmi a me stesso
per mantenere incerto un legame ontologico
tra le cose e gli uomini che mi passavano accanto
e restavano inerti, svuotati dalla memoria implacabile,
spingendosi come uno spiffero tiepido improvviso
dalla spaccatura della meditazione indisciplinata.



terzo canto e danza

Immagino un sole bruciato a metà
Sulla cima di un monte antico e vergine
E un lenzuolo dalle mille pieghe inclinate
E gesti trafitti dai rumori emendati
Che tracciano geroglifici inconsistenti
Su due corpi distanti e quasi sfiorati
E sommano un desiderio di carta
Ad un lampo obliquo su un bicchiere
Finalmente vicino come quelle labbra
Disarticolate in forma di cose e di frasi
Che non dicono non chiedono eppure
Hanno un silenzio di burrasca e un dito
Che gira attorno al capezzolo turgido
Umido di parole che cambia colore
Come quegli occhi attenti che girano
Tra le frasi e scappano al primo squillo
Di guerra e si nascondono in alibi
Da vagabonda con la sacca sdrucita
E quelle labbra di carne chiusa in unte
Spille di stelle nella notte e nel giorno
Tagli di scure e filo di machete scheggiato
E sorsi abbondanti di liquori forti e osceni
E bruciori in ogni millimetro della pelle
Dall’odore di giungla o di burrasca lontana
Ma il mio cuore non appartiene a nessuno
Se dicono di soli e di cieli azzurri annuvolati
È pietra lavica che si infuoca al lapillo
In un gesto di erba e si indurisce nero
Sotto il passo impudico che inciampa
Tra le parole accennate che non dirò mai
Nella loro complessa compiutezza incauta
Di rimandi e simboli rarefatti dal vento
Perché nella notte con le sue inquietudini
Fragili nella loro insistenza di marmo e sale
Io sto bene e non temo rappresaglie oblique
Di me stesso contro me stesso disabitato


quarto canto e danza

Il raggio della luna
- terzo occhio d’argento,
girotondo di nuvole,
festa di sole all’alba -
appoggiato sul mare
nella penombra, simile
al tuo sentiero semplice
di pensieri e di cose
che percorri posando
umile sulla terra
il tuo passo discreto
e la tua mente vorace
assetata di cielo
spargi nell’infinito,
quando di notte accarezzi
il viso sbalordito
di un demone divino
e passi leggermente
la mano sulla fronte
del meridiano animo
nella tua conoscenza
ostinata e flessibile
di guerriera diurna
senza armi cruente
che non si arrende
e sa ricominciare
testona e dolcissima
con la sua libertà
e la sua solitudine
che non rapina o mente,
umana e non più sola
nella lotta col mondo
e con gli uomini spenti.



epilogo: eterea nel rievocare

sei il mio piccolo sole
innocente di obliquità
che sperde piano la furia
commossa sotto le ciglia
e l’iride azzurra inzucchera
con la sua luce leggera
tra le nuvole sparse
al confine precipitoso
fra cielo e terra e mare
che vedo in un’immagine
solo un poco dischiusa
quando viene a scovarmi
dall’aria inumidita
la sera turchina che muta
in punta nuda di piedi
la rabbia antica in stupore
e mi sorprende poggiato
sui miei pensieri ondulati
che chino graffiati su pietre
deposte inquiete sull’orlo
di un calle odoroso
inciso dalle parole per te

 

 
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