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Post n°93 pubblicato il 13 Ottobre 2013 da imagomentis
e bocca lingua mani nervose e docili e ciocche scompigliate di una figlia d’eva che in silhouette carnosa dal profilo impeccabile si muove sopra il mio corpo nudo e inadempiente in un dirupo di pietra lavica per il vocio di tutto l’alcool erotto nella mia lacera memoria eretica scalfita luccicante madreperla sotto una luce bianchissima ove i simboli si raffigurano in un altrove irrisolto di mimodramma a cenni a reiterarsi allegorie riapparse sul vecchio muro tratteggiato a crepe e poca luce ad infuocarsi incerta con le lanterne tremolanti ad olio e fiamma rosseggiante dietro ad un telo che a doppia dimensione ne fa ombre e riflesso decorato ad oriente a sbirciatina a lampo di quel vuoto di lontananza di mancanza assenza e la bellezza mi racconta storie ad una immagine stordita di fiato e l’eros attende che finisca il climax del sesso arguto e forza d’incostanza cenciosi demoni al climax s’affollano come per una caparra a basso prezzo dell’immortale condonato a cenni in corpi smemorati e stropicciati a ripianare i conti con l’esistere ed è stupore quel rimasticare i resti di una foglia moribonda che nelle sue croccanti venature increspate dal tempo racchiude i resti agli imprecisi cocci del mit-sein ciarliero in carne e sangue delle movenze in talamo dopo i miei lunghi anni di chiostro e di quadrivio vissuti a gola e piena a gola arsa ad ingollare sorsate abbondanti del sé di essere e del sé di esistere con gli sguardi inebrianti e fingitori e gli occhi chiusi abbarbicati al niente solido al tocco dello scribacchiare parole su parole a penna d’oca sopra uno spazio bianco stropicciato che tra le righe senza segno alcuno ragionevole al tatto e folle al sogno incontro osceno che si ricolora nuance collosa di una rimembranza virata seppia antica o nuova all’occhio che si riscrive guercio in pergamene infradiciate di gesti a perdere di vacuità e di lessemi allo scirocco sparsi come vischiose gocciole di seme umano ricongiunte all’anca che si estende sapiente ed accurata come una chiosa illeggibile di mozart vergata frettolosa d’armonia sullo spartito antico in bianco e nero di quei miei sette chakras capomastri che d’eros e di kaos valgono a nulla in questa pantomima da guitti in fregola e un adiacente strofinio di femmina bella allo sguardo ed irrequieta al tocco di corpo in corpo a svellere l’essenza torna tra le mie cosce frettolosa ad indagare il logos ed il nus del mio lasciare segni già tracciati nella mia mente pregna di memoria che nell’altrove magico d’ebbrezza lascia orme e segnali a chi l’intende con la pazienza della ragna in tela per un orgasmo cieco indefinito 13 ottobre 2013
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Post n°92 pubblicato il 10 Ottobre 2013 da imagomentis
Ed è una ennesima storia quasi su commissione, anche e non solo da me a me stesso, che principio indolente a raccontare, tra memoria e reale, in borderline di compilazione, da io diviso e frantumato in cocci, da rappresaglia etica ed estetica, con ridondanze varie da condom lessicale e calici svuotati e di parole dilapidate in fretta.
In descrizioni accennate e narrazioni vaghe, con scornici sbucciate da riverberi almanaccanti e impuri, inadeguati indecenti e soprattutto illogici, in un mélange di eros e kaos, di logos e di nous, da fallo appeso al chiodo in comparsata apprendista, perché dal tropico milleriano in poi, gran timoniere compreso, confusione per me è solo parola usata per indicare un ordine che ancora non si capisce né è obbligatorio il farlo.
I simboli ci sono tutti, raggruppati in scompiglio, osceni e miscredenti nella loro apparenza che inganna ed indica. Come se fosse il cenno di un’aletheia sboccata un po’ baldracca.
Mancano ancora i segni.
E c’è persino uno scampolo bucherellato di memoria che circonda, come un velo mistico da boutade, quasi danzando al vertice della sostanza invisibile intorno all’occhio del mio reale impreciso, questa ennesima rappresentazione di segni corpo 11, dietro o davanti o dentro o fuori la luce bianca del foglio di falsa carta che illumina, come un’aureola empia e sacrilega.
Un calice di vino alle mandorle, denso giallino dolce da sorseggiare, la vecchia pipa accesa col suo fumo in rivolta che sale al ritmo scorticato del respiro, suono ampio barocco ridondante in cuffia a ritoccare gli estremi e un gotto sporco capovolto sul collo del j.d. a rammentare il tramonto sotto il tabacco in briciole.
Perché ciò che mi accade in oasi, malgré moi, da circa un decennio, è traboccante di simboli ribelli e pregni, quasi da aborto più o meno irriflessivo, di cose umane tra gli uomini e le femmine, in argot siculo nel pronunciare, e colmo fino all’orlo ondeggiante di rammemorazione sacra e profana, da chiostro o da bordello, da roghi in piazze anonime, di tronchi a caso affastellati come l’essere scaraventati in questo mondo assurdo e pantomimico, da decifrare e intendere perciò senza più alcuna logica, come l’esistere, come il narrare eccetera.
E c’è pure chi dice che questo sia il comunicare. Il passaggio di cose ignote e note tra due corpi, coi cinque sensi ad accogliere percorsi e pungoli, ed il sesto, la mente stropicciata, a radunare in codici, deciframenti, parafrasi o esegesi, a casaccio sempre e comunque e come geisha indocile una bianca pagina baldracca si raffigura, entraineuse persino in metafora o fuori.
Ma il ritornare in simboli e lessemi, non sempre accade.
E nel dirsi qualcosa, anche nel gesto vuoto, inefficace al primo sguardo forse, al primo tocco forse, ciò che rimane è l’identico ricomparire del già detto, del già fatto altrove, del già visto, nel qui e nell’ora o nel lì e nel dopo utopico e sperato, nel prima smemorato oppure ardente, ad arruffare, a cogliere in distanza di mani e di pensieri, sminuzzato nel via vai espressivo ad libitum in ozio disarmonico del ritentare ancora un blando ricominciamento inaffidabile, al crocevia dell’incontro, o dello scontro, nell’accennare in balbettii abboccanti un tao da condividere, magari in bianco e nero, virato seppia all’iride, che ci assomigli nel sogno e nel reale e che ci rappresenti almeno nelle intenzioni, nei tentativi, negli azzardi di silhouette di carne e sangue e seme a comprendere, di cui l’inferno ha i ciottoli ben lastricati.
E nello scrivere è peggio.
E tutto questo è memoria, è dissennata rammemorazione in dissonanza oscena, liquefatta in crogioli di pietra lavica o pomice, a fondo o a galla, che solo il segno grafico, nel mio contesto ripetitivo e ribelle di kaos libertario, raggruppa a caso ed incasella incauto ed accurato in un ordine che ancora non capisco e me ne fotto perché la logica all’esistere non mi è più utile né mi interessa all’essere, ovvero nello spazio che è ponte immaginario del mio io suddiviso, poi del comprendere, del coesistere, del narrarsi e intendersi.
Tu scrivi e dici luce sul mio corpo nudo e dormiente sul letto bianco a tre lati e stropicciato a proteggermi, io dico e scrivo i gesti del tuo corpo nudo e distante dietro gli anelli intrecciati di una tendina vecchia in controluce ad esprimersi.
Questo non è l’incipit: sta in mezzo.
Siamo in vacanza entrambi, ovvero vuoti. Io almeno. Ed il vuoto vacuo è qui l’irripetibile realtà replicata che mi raffigura, il sinonimo simbolo dell’esistere nel mio tempo a cerchio, quasi spirale, vortice, spesso interrotto ai margini della sembianza.
La prima immagine, dopo un’attesa breve, è un viso regolare, cinto da occhiali ampi, come incauto apparire di un piglio da segretaria gattamorta che legge dentro, o decifra, professionista di apparenza loquace, da carambola in buca, che spiazza il giocoliere senza arroganza, in bilico d’appartenenza e sesso.
Mi incuriosiva il due di seno, a coppa intenditrice di champagne da ingollare in un sorso, con mano a conca sorniona a titillare per render irto il bocciolo di carne.
Taxi o bus? Fu il bus ed immersione tra la gente e la chiacchiera.
Due sole ore di sonno in vacanza mi friggevano il cervello. Due ore di volo non so cosa facessero al suo.
Un’ora dopo eravamo tra le mie quattro mura.
E per tre giorni ci restammo quasi sempre, salvo per visitare la città accaldata e vuota o per cercare in agosto i pochi luoghi decenti ancora aperti dopo il tramonto in cui mangiare e bere per una cena.
Non guido da vent’anni e non posseggo una mobile auto perciò ci siamo mossi a piedi e nei dintorni.
Ma so cucinare e per il pranzo non furono problemi.
Il bere subito è facile: vai, scegli, prendi, paghi e metti in frigo o su un ripiano bottiglie e bicchieri e bevi quanto e quando ti pare. È il durante e il dopo che t’imbroglia memoria e compattezza.
Prima sull’alibus di viaggiatori colmo fu agevole il ciarlare con quella gente dall’odore umano, rassicurante a tratti se provvisorio all’occhio e temporaneo al dire.
E lei parlava, senza barriera alcuna d’insofferenza al pronunciare di circostanza che se ne fotte dell’intelligenza, il dichiarare estraneo tra sconosciuti all’esistere, dove il noi siamo è davvero il qui ed è ora, l’adesso inconsistente, da sguardo svelto.
Ed io, tra le parole strafottenti al mio comunicare da straniero di lessico sciupato ad occhi sordi, sogguardavo il suo collo e il seno un po’ più giù che di numerazione era a suo dire il due, quella seconda che enunciano le femmine intristite, come per un torneo non vittorioso all’occhiata, all’apparenza, al modello.
Mora capezzolo rosa, aveva di sé scritto una gran bella femmina vent’anni fa, quasi in ossimoro di adescamento, di seduzione all’immagine.
Ma del suo seno nudo ancora non sapevo la nuance di carne.
La brasiliana col culo docile sulla sedia del bus non era niente male, anche se paffutella di contorni cercava allegra di attaccar bottone chiedendomi di strade o di percorsi ed io l’assecondavo pourparler.
Ed ogni tanto l’insolente mio sguardo cadeva sui capelli fatti a chignon, scuri, castani, crespi acconciati ed il profilo, non della brasiliana ma di lei per scelta messa a mollo in questa storia breve che s’annunciava, sotto l’iride azzurra del mio scrivere a mente si dichiarava ellenico, il suo profilo, con bocca a taglio lusingatore, quasi impudico, all’occasione plausibilmente osceno e involontario.
Dal capolinea a casa furono passi immemori, di circostanza e indagine scambievole ed a metà fu il chiosco a dissetare e piacque.
Dal cortiletto semplice al portoncino in ferro nero e scrostato, furono invece attimi un po’ indecisi al fare. E finalmente dentro, tra le mie vecchie mura dai soffitti bassi con poca luce, che non mi fanno parte di borghesia o potere e dove è sempre facile l’entrare ed è altrettanto facile l’uscire, col mio imprimatur di smemoratezza da sveltina.
9 ottobre 2013
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Post n°91 pubblicato il 28 Luglio 2013 da imagomentis
Una volta mollata l’anima, tutto segue con assoluta certezza anche nel pieno del caos.” Henry Miller
ho imparato a graffiare sui muri ornati di trascuratezza e persino
3 febbraio 2003
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Post n°90 pubblicato il 17 Luglio 2013 da imagomentis
come un’ampolla
29 agosto 2007
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Post n°89 pubblicato il 13 Luglio 2013 da imagomentis
Attorno ad un tavolo di un'osteria c'erano quattro persone. Un uomo buffo con i baffi spioventi, una donna ottusa con le cosce allargate, una femmina acuta con le labbra attente e un uomo distratto con lo sguardo proficuo. Giocavano a carte. Il gioco era antico. Uno, se capitava la carta giusta, faceva il padrone, un altro il sotto e i due decidevano chi come quando quanto e se gli altri potevano bere il vino, in comune accordo ma col consenso ultimo del padrone, recitando frasi in dileggio. La donna ottusa mostrava le gambe ben fatte e stringeva le dita dei piedi. L'uomo buffo si toccava la patta rigonfia all'eccesso e giocava col gancio, la femmina acuta guardava tutti negli occhi e spostava la lingua tra le labbra. L'uomo distratto fumava una sigaretta senza filtro e muoveva nervose le mani. Nell'ordine sopra descritto. Il patruni ed il sutta potevano ubriacare o ubriacarsi. In ogni caso era offesa e sottomissione. Chi perdeva, alla fine del giro, pagava il vino bevuto, anche se era rimasto a guardare, con la gola asciutta e il desiderio insoddisfatto, gli altri bere. Dopo tanti bicchieri offerti e negati ci fu il putiferio. Si dissero parole volgari e si fecero gesti osceni. Coloro che videro il fatto dichiararono che la donna ottusa voleva scopare la donna acuta, l'uomo con i baffi spioventi voleva rompere urtando più volte la donna con le cosce aperte, lo sguardo dell'uomo distratto voleva con insistenza accostare al suo sesso la striscia del seno della donna dalle labbra attente, la donna con le cosce allargate voleva schiacciare, tra le sue gambe come noci ben grosse, la faccia dell'uomo coi baffi e quella dell'uomo con lo sguardo attento, osservandone i movimenti dei sessi con sguardo attento e rapito. Volarono i vetri che brillarono come piccole gocce di stelle sparse sotto la luce del misero neon, appeso sul muro abbozzato dell'osteria del paese, che batteva bianca sul tavolo messo storto nello spazio piastrellato male della stanza con poca gente. Il gestore dovette pulire con scopa efficace i cocci disseminati delle bottiglie infrante, ma ricevette una buona mancia. I mariti e le mogli dei quattro avventori fecero scattare foto implicanti e indecenti da fotografi ben appostati e ben pagati. A casa dell'uomo con i baffi spioventi furono raffigurati in quattro discinti in pose sconvenienti, mentre bevevano bottiglie raffinate in calici costosi su ricchi divani e soffici tappeti e mostravano i corpi in posizioni agili in movimento o lenti in forma di moviola e mescolavano a caso tra loro le parti scoperte e toccate. Una tonnellata di euro appena coniati sciolti a pioggia in vari conti correnti, mise a tacere l'inconveniente. La domestica di turno ripose con discrezione indumenti e drappi nella lavatrice capiente prendendoli timorosa con dita inguantate e ricevette per questo una lauta ricompensa che fu molto utile ai suoi casi ed alle sue occasioni, una delle quali pare fu un focoso dormiveglia con il cuoco, poco ristoratore ma molto appagante, nella stanza degli ospiti e in assenza dei proprietari: lavò tutto in fretta senza indugiare e non lasciò strisce equivoche del rapido magistero.
Alla fine furono tutti felici e contenti e ripresero la vita di tutti i giorni, ripulita però nell'attesa di un'altra possibile commedia.
02/02/2002 |
Inviato da: StregaM0rgause
il 31/07/2013 alle 07:33
Inviato da: StregaM0rgause
il 02/07/2013 alle 07:56
Inviato da: o3radovicka
il 01/07/2013 alle 21:32
Inviato da: manuela
il 26/04/2013 alle 12:15
Inviato da: StregaM0rgause
il 23/03/2013 alle 07:33