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« not me not me not meil mio blues dissonante ... »

la scrittura è un buco nero in un inferno azzurro

Post n°50 pubblicato il 28 Maggio 2011 da imagomentis

 

    

 

1

 

 

Getto le voci, che non penso né misuro in suoni, nel tempo errato che rimbalza a stento tra le travi olivastre di un endecasillabo morto, privo di scusa e grazie e di transumanza indecente e scrivo versi ebbri di barbarie inclinata, forse d'amore.

 

Un ramo di uomo, ubriaco di note e ricascante angolato, incide il suo coltello a lama aperta e vorace lima e non risponde al richiamo devoto, ma etereo si eclissa in duplice assassinio e rompe il cerchio che lo raccoglie in due zolle di sole spaccato a mezzo.



Ed è capienza inflessibile in cocci liquidi di stupore davanti alla luce, ed è molle blasfemia di una luna accecata da un coro di cartomanti abili nel massacro ostinato, ti dico e cambio la solitudine tre per zero per te e incido incido incido e conduco affilato un demone assurdo in questo nulla morto che si diffonde e impreca, e chiede un mastice randagio ed inesatto nel coito di un maledetto suono, che vorrei accostare e rimasticare fino a toccare il midollo spinale di un'eco.



Ahimè mi dico, tra le frasi raccolte in un fasciame liquefatto dalle cose, e cedo il passo alla sottile uccisione di piume e di catrame e bravo - mi dico ancora - continua così, ostinato nel non vacillare, e ridi ridi ridi e lascia le schegge di vetro scaglioso tra i denti, tanto la lingua è un feticcio poggiato sopra la parte marcia di un tronco.

 


Potessi smettere, in un salto esecrabile di rupe andina,  questo bruciare di sensi appesi al sogno disincantato, che scrive scrive scrive ostinato tra braci, che filtrano la dimenticanza e ne fanno cuore duro a fibrillare e vorrei riuscire a piangere ma il sale e lo zolfo sono devastazione antica della mia terra offesa, e questo giuramento che non so pronunciare mi spezzetta e mi ricompone, e morde e mastica e non digerisce, ma erutta fumoso in questo io arrogante che non comunica nulla.



Questo io di paccottiglia nobile e ruvida, questo io fugace di balzane ed effimere rappresentazioni di pietra, gettato a caso, qui semplice ed ora, tra le parole e gli uomini.

Questo mio io testardo che vorrebbe finalmente tacere, che malvivente raccoglie in immagine pura,  affrescata di rosso dalla memoria, le scarpe strette di un adolescente orgoglioso che rifiuta adombrato un dono mascherato da gioco e toglie in allegoria le scarpe sudice di una vecchia che sembrava dipinta nel vuoto concreto di un quadro infernale,  quasi errabonda e roca, e bestemmiava per un imbroglio di mercato
utile a se stesso.



Così saluto al vento seni opulenti e piccolini, come bandiera indocile in moto ondoso di nave e simbolo di teschio nero chiosato, io che non so più come frenare questa follia in essenza agitata che finalmente arriva, dopo infiniti spazi morti nel tempo d'infinita attesa, e in conclusione ormeggia in questo giorno solenne di preghiera e furore mischiati.



Nella notte che gronda liquidi segni osceni rarefatti dai sogni ho fatto voto blasfemo di un amore feroce dischiuso tra le frasi che non si lambiranno le sommità arcuate di pece né diranno ciò che non si può dire nell'ostacolo frantumato di un esistere assente anche se deve in simbiosi essere detto lontano.


Perciò sono crollato sul sagrato di una chiesa barocca.


(braxton composition 8 g nelle fessure spargevasette minuti ecinquantanove secondi di sabbia che scivolava appiccicata al sudore)

La schiena scamiciata era l'ombra genuflessa e lucida di pelle obliqua prima della preghiera sul crocevia incendiato della sua anima rarefatta e aveva il ginocchio accennato sull'asse di un legno discorsivo.

 

Poiché la vedevo nella piega zincata di quel portale accidioso, ricominciò la sete immacolata nell'incavo bordato dai sensi (nei gangli accesi le sinapsi della siccità si raddoppiano) e immaginarla di broccato fu un obbligo tinto d'azzurro .

Tenne il vino accostato alla sua gola, quando varcò la soglia straripante di brezza,  intensa come accesa da un sole ruffiano.

(mai tentennare sulla strada lastricata di una chiesa.)

 

Tornò con l'anima rattoppata da fili sboccati, la donna che ora adagiava due grani di poesia sulla mia mano scalfita dal suo pudore che gocciava sul viso appena arrossato.


(con tommy flanagan mirror perhaps sei minuti e trentanove secondi sono quasi un orgasmo di cellule su un vigneto disteso tra le sue labbra)


(nella mia gola turchese l'ultimo sorso di rosso gorgogliava legnoso un ritmo sincopato)

 

 

 

2

 

Dannatamente bella oggi la luce di un tramonto dal rubino sciolto in un bicchiere che non urla e non sbarra gli occhi.


Tace dormiente e minima questa notte ostinata e mostra un seno schiacciato sulla mia fronte.

Sposto la testa condivisa in un calice cromato da un breve cigolio quasi mistico e osceno.


Tu dici incolume che è un'esoterica intimità e che la ruga del viso è una diagonale cifrata tra il terzo occhio e la ghiandola pineale.

A me fa male la nuca e so che è il vino versato dalle tue labbra su una foglia acerba di tabacco cubano che galleggia su una conca piena del nostro liquido seminale intonato.


Resto immobile nella mia lacuna di alchimie,  quando attorcigli corpo e parole sotterrate in una gola umida, perché la nuca non ti interessa e guardi lasciva tre quarti del mio sesso inumidito.


Stanotte però ho una bottiglia vuota tra le gambe e poche parole scivolano tra le dita collose.


Piccole rare dimenticanze potrebbero, se uccise, rinunciare all'epitaffio poetico con la carne a brandelli sbocconcellati.


Così raccolgo i resti turgidi delle bottiglie svuotate che conservo, su uno scaffale alto di palissandro, come trofei dell'errore scardinato da un silenzio e goccia a goccia mescolo il liquido quasi incollato al fondo di questo bicchiere sacro di impurità e i colori inchiodati sono pezzi di bruma che si mischiano.

(ho fatto la media ed è 42,379 gradi alcolici bruciati sotto la lampadina accesa da un indice di terracotta)


Il giallo domina distillato e indecente e linee sinuose, come fieno bagnato su un copricapo straniero simile a chiosa, a poco a poco annebbiano le impronte molli sul vetro e  la luce rimbalza nel tuo sesso intimidito, perciò tracanno questa mistura incrociando a fatica le dita dei piedi perché c'è mezzadria sconfinata sul pavimento mosso tra il soffitto e il muro.

Il sapore è buono e mi sembra che l'iride cambi colore e intoni un miagolio incastrato.

Le mani a mezzaluna agganciano la tastiera e scrivono, prive di senno, che la poesia è un intruglio con scaglie di parole che colano gemmate da recipienti sbrecciati in un amplesso feroce e, solo per caso, diventano ombre minute senza sole.


La poesia non è che un buco nero otturato dal nulla, perciò, in questo inferno colorato d'azzurro, mi ritocco l'anima con le mie mani giunte nel bicchiere, colmo di vino nero addensato che cola lento dalla bocca alla gola e sembra un pianto gettato sul viso di un dio euforico che scorre magico in un nodo di preghiera e in un mistico nastro di bestemmie rosse ed è rosso il colore che amo,quello della brace che si eccita e del sole che sorge privo di me e del tramonto inciso che manca di brillio e della ferita che non si richiude e del vino che sdoppia le cose tra cielo e terra.


Niente jazz stanotte come vento sull'uscio a mulinare questi sensi accecati.


C'è un magnificat che agita impunemente questi muri soffusi dalla sapienza sorda.


Versami da bere anche dal tuo lontano,  mescola le parole nel mortaio corale di questa anima offesa e schiaccia forte la tua mano di giunco nella piena, finché non verrà fuori, ubriaco di tempo,  l'umore aspro del nulla e il tuo odore di me, nel tuo acerbo apparire che mi invento.


Senza di te divento un ritaglio minuscolo, tumido nel cristallo appiccicato agli occhi.


Sei la mia ebbra memoria nella mia storia alticcia che, sulla soglia calda di questa notte ultimata, ho lasciato rabbrividire.


Due spallate nel covo artefatto di una sindrome tonda e vedo spigoli di case, rombi di coccio,  petali secchi di baci, chicchi d'uva spremuti e muffa nell'ultimo sorso della bottiglia cinica.


Una simmetria esagerata in contro canto ottura un contrabbasso spulciato dai polpastrelli di mingus.


African freedom resta la mia dedica al sole.

 

3


Ho gli occhi appiccicati alle tue mani incerte.


Stanotte ho messo nel futuro una scatola di latta schiacciata e una bottiglia sempre vuota.


Non sono mai stato bravo nel coniugare i verbi.


Ora giriamo la testa su un piano inclinato e alitiamo sui nostri visi riflessi senza premura.


Tu puoi anche riempire il mio bicchiere assediato, io posso ancora guardare l'angolo frettoloso del tuo seno, sorpreso nell'incavo confuso dal filo imperfetto dell'alba che aspetta

 
Così mi accingo a trattenere il fiato in un bicchiere sottile di grappa di rose.


(il viso della cinesina sembrava di cartapesta e dopo il quarto bicchierino prese fuoco)


In oriente un sorriso brucia lo sguardo.


Dovrò guardare ideogrammi sui muri dopo una sbornia e una coltellata alle spalle.


Ma so che hank, tom waits o hem le avrebbero detto: drink again, babe! drink with me!


(l'odore giallo della sua pelle lo immagino colpito su un letto ad una piazza e mezzo, se il suo sesso cola su tre cuscini di piume)

The piano was be drinking, the piano was be drinking, not me, not me, not me....


Eppure stavolta un gioco distratto dai gesti stava bevendo me e la cinesina aveva un viso con colori furiosi da sussurrare al muro, da lasciare filtrare sul pavimento.


Il vino ora sembra l'inchiostro di un uomo che scrive sbirciando una pergamena e un barattolo preso a calci dal vento sulla battigia di un oceano senza memoria.


La mia mano ubriaca nel frattempo raggiunge il fondo e scava con unghie sfilate, ma dice di veleggiare tra le onde e i cirri leggeri e perciò mente.


Questo viso levato avrà lingua asciutta, questo viso staccato nella schiuma...


Tu che schiacci il pomo dorato nel rosso della poesia e lo sminuzzi per farne sangria con gin disceso da un mare amaranto non riconosci lo stupore improvviso di un racconto veloce come pietre gettate nel buco nero del respiro, in colorato flambé.

Io resto con le pupille a spillo e l'iride azzurra ben annegata in una tazza di terra stracotta da un tizzone tigrato che un demone alcolizzato e principe osceno di questa terra impaludata tiene sotto il piedistallo di un sole di ferro fuso, apparso stanotte per illuminare un profilo interrato come la vigna del paradiso terrestre, che tu sai scompaginare tra le tue ciglia distillate.

Al suono di campane sorde e ubriache, mastico le brocche del tuo seno illuminato da una carne secca e, sdoppiati, vedo due capezzoli avvinazzati come due rossi occhi acquosi madreperlati.

Non dire nulla di noi sulla terraferma, ma svuota questo calice plebeo che ti offro in segno di dedizione.

Le mani premono inconsistenti i nostri incastri slacciati e tu taci, ancora per qualche ora, come una mosca, dalle ali graffiate, impigliata nella tela ferrosa di un ragno con dodici zampe di seta turchina, dal profumo di more ingiallite nel rame.


Fuori da questa stanza scassinata, un profumo di fiori impazziti su un campo di grano putrefatto inquieta il sole che sbatte sui muri e lascia segni di chiazze gialle,  come pozzanghere di whisky annacquato, incollate sulle pareti con l'intonaco grigio incrostato da impurità indurite dagli occhi.


"La donna accanto a me si muove come un cammello eunuco e saltella tra la mia pancia e le mie ginocchia. Trema come la mano venosa di un alcolizzato.

Io cerco di tenerla ferma, ma lei è una tenaglia ruvida che si tende ad arco flessibile come preghiera o sfida appesa ad un amo di ghisa e titilla le sue corde vocali col fiato caldo, come se avesse in gola scaglie di vetro. Lei mi appare una belva che vuole incollare le nostre lingue ai sessi. Colpisce invece con la fronte la mia bocca che si spacca come uno spigolo di porcellana battuto da un lembo di un maglio ostinato. Il sangue si distende come sigillo terso e lei ride con quel viso di cuoio cucito da poco e quegli occhi che sono acque agitate dal cielo. Ora le mie labbra tumide fioriscono e gocciano come il suo sesso muschiato e siamo entrambi in bilico su noi stessi, quando prendo la mia bottiglia loquace e verso il liquore giallo che brucia sulla mia carne stracciata dal suo gesto. Lei si stringe al cuscino ed il suo corpo è una conca latte perlato da bachi rosa. Bevo come un agnello da svezzare succhia, prima del sacrificio sulla pietra, il latte impuro da una mammella ovina, ignaro della lama che taglierà la sua gola. Nessuno è innocente. Nessuno è colpevole. Fammi dimenticare, finché con te speculare sono ancora vivo, dico opaco a me stesso mentre uso il lenzuolo per nettare le macchie di un'altra notte stanca del suo stupore."

 

 
Rispondi al commento:
StregaM0rgause
StregaM0rgause il 29/05/11 alle 07:33 via WEB
sontuosa e visionaria composizione letteraria; affascinata mi inchino. Buona domenica Lore, a presto
p.s. bella foto:-)!!!
 
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