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Post n°73 pubblicato il 07 Luglio 2011 da imagomentis
minchia però questa casa come quel pane mistico spezzato avrai la tua consistenza di battigia schiumosa per una settimana perciò lasciamo che tra di noi ci sia
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Post n°72 pubblicato il 04 Luglio 2011 da imagomentis
c’è stato il tempo in cui, al bar del vino, dopo un buon piatto di formaggi e salumi e una bottiglia di rosso docile al palato, lei mi portava un trittico di grappe che sceglieva solo guardandomi il viso e mi diceva pure in quale ordine bisognava sorseggiarle
ed io, stranamente docile, ubbidivo, forse per gioco oppure perché mi fidavo del suo gusto e della sua intelligenza, accompagnata da un corpo niente male e da uno sguardo di popolo sapiente, che alla battaglia è sempre in prima linea, col disincanto nella giusta dose e, nel suo caso, con l’ideologia, simile alla mia, tradita dalla gente e dal tempo una era fruttata, l’altra pastosa e forte, la terza secca
i nomi non li ricordo, ne ho bevute tante e poi, per i liquori e i libri, ho poca memoria probabilmente in questo modo mi difendo dall’eccesso, e lo attutisco sarà perché li ho frequentati troppo?
lei indovinava sempre il mio stato d’animo se ero inquieto, la composizione alcolica era accostata in forte secca fruttata, per darmi il tempo di abituarmi al dolce, e rappacificarmi con il mondo e con gli uomini se invece ero irritato, fruttato secco forte, ed il torpore vigile arrivava
me ne stavo seduto al mio tavolo di legno, proprio sotto una raffigurazione africana, a bere i miei bicchieri, gettando lo sguardo su cose e persone, in silenzio, cercando di attutire la lontananza con il mio amore in india, e non ricordarmi della sua reale malattia mortale, assurda, ingiusta, disumana, e nello stesso tempo tenerla viva almeno col pensiero, evocando demoni, divinità, e tutto il possibile del non umano, per toglierle quel suo male intollerabile e prenderlo in me, fare un cambio di vita, io che avevo già vissuto abbastanza
e qualche volta lei si sedeva di fronte per scambiare due chiacchiere di tanto in tanto la sua espressione era simile alla mia, combaciava in intenti, in accordi semantici, di sinonimi muti, e le parole si accostavano quiete e remissive e allora la vicinanza temperava l’istinto e mi venivano fuori frasi divertite o pensose
altre volte erano lontane, sorde, esuli nel loro altrove simbolico, figurativo ma ci piaceva sentirle lo stesso, nel loro mitigare la nostra solitudine diversa, io nel mio mondo immaginato e infitto nel reale, lei nel suo mondo reale spinto all'interno dell’immaginario e insieme, separati, accolti a tratti nell’assurdo insistere ai sogni, disincantati e pronti ad incantarci ancora
più di una volta ho immaginato di sfiorarle la mano, il viso, ma era piacevole vederla lì, a poca distanza, a dire e a sorseggiare anche lei qualcosa di buono, fumando la sua sigaretta accesa col mio accendino rosso, e tra i sorsi perdere un po’ di sé stessa, a raccontarsi perché allora sciupare, per inseguire un gesto probabilmente inutile alla sua narrazione, quel sortilegio in forma di visione?
quando voleva starsene da sola, rispondeva al saluto da dietro il bancone, seduta su uno sgabello di legno, sotto bottiglie allineate e calici sospesi, con il volto pensoso e rarefatto a leggere i suoi libri, e in quel momento avrei potuto persino innamorarmi della sua indifferenza imperfetta agli avventori, e soprattutto a me
una sera o una notte, con qualche bicchiere di troppo, incominciai a parlare a ruota libera, non so di cosa, forse del tempo che ci hanno rubato, dei sogni rapitati e delle idee che resistono ancora nella mente, ma non si raccontano più, se non dopo molti boccali
ma lo si fa con ironia, perché non è il momento della rabbia, quella è una cosa per intelletti giovani e corpi acerbi che si cercano l’anima, alla mia età sarebbe una cosa buffa e grottesca, meglio riderci sopra, un bel po’ ebbri, da gente libera e divertita ancora, a sfottere le persone serie
in quella notte con parole a valanga, lei non disse nulla, forse si limitò ad ascoltarmi, non ricordo
ricordo però il barbaglio rarefatto di un lampioncino lontano, il fondo sgombro dei bicchieri vuoti che emanavano un bagliore turchese, un vecchio olivo un po’ spaccato, scavato dal tempo, privo di frutti, con poche foglie povere e rami discostati, uno sguardo estraneo cadermi addosso pieno di stupore e di vergogna, e il mio occhio che scrive che sentiva sempre di più la mancanza di una tastiera, per riversare a fiotti “lu sangu pacciu” sul mondo truffatore, contrabbandiere, per renderlo, perlomeno in scrittura, forse più umano, meno posticcio e artefatto
quando incomincio a dire, a raccontare a voce, non è facile tenermi a morso, mettermi la cavezza, rabbonirmi, farmi tacere è molto più semplice dirmi vaffanculo e andarsene, e forse è quello che davvero cerco, restare solo, a far marcire l’anima
ma non si può, perché c’è sempre una femmina che ostinata vuole rintracciarmi nel mio io suddiviso, a grappoli, ad ammassi, sparso ovunque, in frammenti che lascio ammonticchiati in giro, fino a scordarli altrove
forse perché prima o poi fa il confronto tra il suo bel mondo di cartapesta e porcellana e il mio piccolo spazio brusco di pietra lavica e terraglia, e sente urgenza irrequieta di affascinare le frasi e di sedurle, senza smanceria alcuna, senza adulazione
io nel mio kaos sto bene e quando torno a casa, tra le mie mura stinte dagli intervalli incerti della ragione, spengo il cervello e gioco con la memoria a togliere l’immaginario al reale, per mescolarli tra i fogli, troppo vicini ai bicchieri, alla musica
in una di quelle notti m’invitò a casa sua, ma questa è ancora un’altra storia
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Post n°71 pubblicato il 02 Luglio 2011 da imagomentis
come un vulcano erutta il magma incandescente nel cervello s'espande il ricordo improvviso ed è l’assenza che mastica ciò che resta del cuore perciò mi guardo attorno e c’è una bottiglia nuova, di jd, a sostare sul tavolo, tra i libri sparsi e i fogli l’acchiappo svelto e torno alla tastiera per scrivere minchiate con un altro nick il blues fa il suo dovere e la bottiglia si spoglia del suo giallo ambrato il tempo scorre senza una logica che non sia quella dell’ebbrezza e nella mia solitudine, in questa stanza manchevole di femmine, non ho da dare conto a nessuno i pensieri diventano parole scritte, innocue, fatte a pezzi da una rabbia attutita, smorzata a tratti dall’ironia solitaria che mi calma fuori fa un po’ di freddo inusuale e l’alcool, allegramente, lo attenua in questo fluire matto, senza clessidra, un amico mi chiama e decidiamo di andare a bere in centro per strada dico di voler rivedere un culo da collezione lui accetta, perciò ci incamminiamo verso il locale gli parlo un po’ di un mio innamoramento trasversale, nuovo di zecca, fatto però di cenni divertiti agli occhi e di rimandi smorzati alle parole e ai gesti, senza quel privilegio muto del toccarsi ma lei è una sposa con un figlio e un marito ed io non sono abituato a fottermene della morale, eppure c’è un po' di roba anarchica che vortica nella mia testa di comunista eretico lui se la ride perché ci è già passato così, ciarlando ironici, giungiamo al bar del vino saluti ai conoscenti e battutacce a iosa prima di accomodarci a un tavolino con le nostre birracce fresche e alla spina e due porzioni di bruschetta al pomodoro e all’aglio a fare da cornice dal fondo di quel vicolo alberato lei finalmente arriva, ma non di spalle ed il suo culo non si fa vedere il mio amico sornione le dice che sono innamorato e lei si siede al nostro tavolo poggiando sul ripiano il suo pacchetto di sigarette e invita una sua amica con un cane a chiacchierare con noi le guardo il viso e gli occhi, agili e vispi, ora disabitati dall’inquietudine, e tuttavia ribelli, ed il suo corpo, minuto e snello me la rammento, irrequieta, a bere e a dire di sé stessa senza pudore a me che, frantumato dai bicchieri vuotati, l’ascoltavo insinuare tra le parole tutto il suo essere madre e donna separata, in rivolta col mondo e compagna, come il mio amico ed io le accenno alla faccenda, una storia abbozzata non concreta, agli inizi, un po’ opaca, con questa femmina, che mi asserraglia perché ad un poco di valore etico ci tengo e mi risponde che all’amore ho già dato, che non ho nulla da perdere, che un’amante è meglio di una moglie, che un amante ha dell’amante i suoi momenti migliori,che non la devo sopportare tutto il tempo e se una donna ci sta è solo perché lascia passare un altro nel suo mondo io le rispondo che la morale è come l’anima, una volta mollata tutto prosegue come nell’entropia poi dà al mio amico chiavi e libretto della sua macchina e ci invita a raggiungerle in un locale dove si suona jazz si allontana e finalmente posso adocchiarle il culo guardo il mio amico che si diverte a vedere la mia faccia sorpresa da quel tempismo imprevisto delle sue risposte e mi dice che finalmente un po’ d’umanità traspare dal mio esistere così finiamo i due boccali di birra e andiamo a prendere la macchina il locale è nei pressi di una piazza con un castello normanno che la sovrasta entriamo e un sax fa uscire le sue note acute sbircio il bancone e noto buone bottiglie e questo mi rassicura ci fanno segno e ci avviciniamo sul tavolino ci sono due bicchieri di un ottimo valpolicella ordino una bottiglia dello stesso vino e mi avvicino al bancone c’è un buon torbato il bushmills e ne prendo un bicchiere ne offro un po’ a quella femmina e lei mi dice che non vuole mischiare ma mi lascia bere in pace senza storcere il naso il cane è un trovatello un po’ vecchiotto e facciamo subito amicizia il mio amico chiacchiera e ride e si scola il suo vino finisco il torbato e riempio un calice di valpolicella e chiacchiero guardando quella gran bella femmina con stupore ha gli occhi agili e scuri i gesti nervosi e la risposta pronta del suo culo ho già detto del seno piccolino e sodo no, lo dico ora domani penso avrò un’altra cena lucida dove tra gli altri ritroverò una donna che conterà i miei bicchieri questa se ne strafotte perché è una donna libera che paga le sue scelte l’altra vorrebbe esserlo ma è imbrogliata in una gabbia nido che la protegge, eppure tutte e due sono donne inquiete usciamo in strada a fumare le nostre sigarette e a ridere di noi ed al ritorno nel locale mi scolo un altro bushmille e mi siedo accanto a questa femmina nervosa vorrei cingerle il corpo con il mio braccio e sorriderle per sconciarla un po’ ripenso alle mie storie e non ricordo come siano iniziate, chi ha fatto il primo gesto quello che appiccica i corpi, perciò scaccio il toccarsi sono un po’ sbronzo quando ritorno a casa a notte fonda e le due donne si sovrappongono nell’iride disgiunta al mio pensare meglio così mi dico, dopo anni di sentimento dissolto nel reale torna di nuovo una femmina a porsi accanto al mio io ma prima di dormire punto la sveglia per il mio urto col mondo l’indomani questa notte però me ne strafotto e voglio dedicarla ai miei pensieri quasi mai innamorati e per portare a compimento il gioco, dalla bottiglia mi scolo un sorso di jack daniels, e per un po’ la memoria si placa poi m’addormento col lato destro del mio letto vuoto
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Post n°70 pubblicato il 01 Luglio 2011 da imagomentis
non fu difficile arrivare al bar del vino, piccolo e legnoso come una cantina d’altri tempi e conficcato in una strada alberata di una via principale dal nome mitologico, al centro storico della città
il mio amico mi aspettava vicino ad un chioschetto, ad un paio di chilometri dal bar, e lì, in una tarda serata con la brezza fredda appiccicata alle gote, ci scolammo un miscuglio di limone spremuto, seltz, sciroppo di agrumi e un pizzico di bicarbonato, chiamato digestivo dall’inventore ottantenne che cinquanta anni prima l’aveva ideato e che gestiva ancora il suo chiosco da tempo immemorabile, in mezzo alla piazza che in quel momento era quasi vuota
erano le dieci di sera ed era un’ora cortese per passeggiare in una città siciliana la donna del bar del vino era una minuta trentacinquenne, bruna dalla carnagione pulita, coi seni piccoli ed il corpo nervoso e accogliente, e un culo da collezione che ti guardava dritto negli occhi, quando parlava con te
qualche settimana prima avevo accettato la proposta del mio amico di partecipare come ascoltatore di una lettura di poesie, all’interno del bar o sui tavoli esterni poggiati su un marciapiede isola pedonale, poeti e poetesse a recitare le loro frasi, a leggere i loro versi c’ero andato anche io ma non avevo letto niente di mio, avevo solo bevuto e ascoltato
una volta sola, verso la fine della figurazione, ero sbottato esclamando: “queste sono minchiate cu lu bottu a bumma”
era stato davvero troppo sentire da una giovane voce in foggia di penna fragile e accasciata su una forma improbabile di scrittura che si rifletteva nei suoi gesti consunti “tre quarti della poesia sono nati dal dolore “
e aveva appena letto una poesia che recitava più o meno questi versi che trascrivo a memoria:
“tu sei il mio amore che mi spezza il cuore e quando non sei vicino a me il mio conforto al dolore è scrivere questi versi per te”
era con tutto ciò una bella femmina e mi guardò incazzata aveva una bocca come due spesse ciliegie appena schiacciate dalle dita e non continuai il discorso, forse afferrato dalla percossa dello sguardo, come un pescespada infiocinato da un esperto uomo di mare
la femmina del bar del vino però si abbassò dietro il banco e iniziò a ridere sbirciandomi attraverso il vetro colorato di un bicchiere ripresi a bere un eccellente nero d’avola che appesantiva i miei gomiti appoggiati all’angolo del bancone mentre guardavo l’incavo di un seno appiccicato alla maglietta leggera e lo vedevo alla mia destra mischiato fra tante bottiglie, mentre alla mia sinistra stavano a galla il mio amico ironico, le poetesse e i poeti, chi ascoltava giocondo seduto al tavolo con una faccia borbottata di noia e di compiacenza
qualcuno mi guardò male, la tizia del dolore e della poesia mi commutò in una camurria ignorante, io continuai a bere con la mia strafottenza versata nel bicchiere di rosso, sbirciando complice la femmina divertita dietro il banco ed ogni tanto il suo culo, e tutto finì lì
e almeno per quella sera la poesia addolorata smise di scassarmi la minchia e rimase in silenzio
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Post n°69 pubblicato il 29 Giugno 2011 da imagomentis
l’oro: cadono
la lana: che posso dirti mio piccolo sole?
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Inviato da: StregaM0rgause
il 31/07/2013 alle 07:33
Inviato da: StregaM0rgause
il 02/07/2013 alle 07:56
Inviato da: o3radovicka
il 01/07/2013 alle 21:32
Inviato da: manuela
il 26/04/2013 alle 12:15
Inviato da: StregaM0rgause
il 23/03/2013 alle 07:33