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Appuntamento futuro (Racconto a puntate)

Post n°1 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da gcl_ge_1
 

Il piano
Erano le otto del mattino, la luce che filtrava dalle persiane faceva intuire una bella giornata. Paolo si era svegliato calmo e tranquillo dopo aver dormito tutta la notte. “”Strano” pensò “con tutti i problemi che ho dovrei soffrire d’insonnia.” Essendo domenica restò come il solito a sonnecchiare nel letto e la mente cominciò a lavorare intorno agli ultimi avvenimenti che avevano in parte sconvolto la sua tranquilla esistenza. Il problema principale era non fare del male a Maria, non se lo meritava, non era colpa sua se lui non l’amava più. Doveva trovare un sistema per lasciarla senza traumi, se era possibile. Intanto doveva trovare una scusa per non averle telefonato la sera precedente e per avere avuto il cellulare spento. Si, doveva essere sincero con Maria, dirle la verità, senza essere molto preciso, ma dirle la verità. Dirle che si era innamorato di un’altra donna. Non è una cosa eccezionale, è capitato a molti essere umani. Certo non doveva dirle chi era il nuovo amore e come mai era accaduto. No, aveva troppa vergogna di Maria. Avrebbe dovuto ammettere che tutti i suoi principi, tutte le sue regole di vita erano saltate perché “al cuor non si comanda”. Lui che aveva sempre preso in giro gli innamorati sdolcinati, i colpi di fulmine, gli uomini con l’amante, chi s’innamorava facilmente. La sua razionalità, la sua fredda analisi dei fenomeni di sentimento, il suo considerare ridicoli gli uomini mossi dalla passione: era tutto sparito! Eppure, era successo ed ancora gli sembrava stesse accadendo ad un altro, di assistere ad un film o di essere immerso nella lettura di un romanzo. In ogni caso ora era in ballo e doveva continuare, con un po’ di fortuna avrebbe finalmente avuto un buon lavoro. Che importanza aveva come se lo era procurato? Sarebbe stato in grado di dimostrare quanto valeva ed apprezzato per le sue qualità professionali. Si fidava molto di se stesso, all’Università aveva sempre avuto ottimi riscontri delle proprie qualità sia nelle votazioni sia nei confronti di molti suoi compagni. Quello che non poteva digerire era vedere degli ex compagni che non capivano niente, atteggiarsi a professionisti affermarti, solo perché il loro 'paparino' era un avvocato di fama, ereditata magari a sua volta da un genitore. Del resto si sa, quando uno studio è conosciuto ha sempre una clientela importante, e più cause si affrontano più esperienza ne deriva. E lui invece? figlio di un impiegato comunale e di una maestra in pensione cosa poteva sperare per la sua carriera? Fare il tirapiedi e portaborse in qualche grande studio dove ti fanno sgobbare, ti pagano poco e non ti lasciano far carriera. No, lui l’aveva pensata bene. Entrare nello studio legale di una società e specializzarsi in diritto societario possibilmente internazionale, sarebbe stato un ottimo trampolino di lancio. Sarebbe stato facile farsi poi conoscere ed avere la possibilità di esercitare la libera professione in seguito, con uno studio proprio. Ma tutte le lettere inviate per trovare un posto di lavoro erano state inutili, anche se qualcuno aveva risposto gentilmente che avrebbe tenuto in considerazione la richiesta per un futuro. A lui però interessava il presente, dopo anni di studio durante i quali il massimo del divertimento era stata una vacanza di sette giorni a Londra. Per il resto, la sua vita era trascorsa all’insegna dell’economia. Ora doveva arrivare il momento della ricompensa per i sacrifici fatti. I pochi soldi che gli elargivano i genitori servivano appena per la mensa universitaria e qualche film al cineclub. Paolo non aveva mai sofferto per la mancanza di soldi, lui si accontentava di una gita in riviera con Maria, due panini al sacco ed un gelato sulla strada del ritorno. A volte suo padre gli prestava la vecchia auto e possedeva anche un ciclomotore che, se pure vecchio e scassato riusciva a portarlo all’università, dove non correva nemmeno il rischio di essere rubato al parcheggio. Ma ora con una laurea a pieni voti e senza l’alibi di essere uno studente senza un lavoro si sentiva un fallito. Era giusto che anche lui potesse avere una vita più brillante e gratificante: lavorando e guadagnando. A dire il vero lui un colpo di fortuna già l’aveva avuto nella vita: aveva addirittura ereditato! Sua zia Clotilde, morendo, aveva lasciato i suoi risparmi ai nipoti, che però erano tanti, quindi a Paolo spettarono solo dieci milioni. A lui erano parsi una fortuna ed aveva già deciso di comprarsi un’auto usata, ma suo padre lo convinse a non farlo. E come al solito aveva ragione, c’era già una vecchia auto in famiglia, un’altra sarebbe stata solo di peso in termini di costi di manutenzione. Il padre consigliò invece a Paolo di investire il suo capitale in un BOT, così non sarebbe stato tentato di spenderlo in cose di poco valore ed un domani lo avrebbe trovato un poco più consistente e utile per qualcosa di valido. “Ecco” pensò Paolo nel tentativo di dare a sé stesso un alibi “la colpa è stata di quel consiglio, se non avessi avuto quel capitale non avrei messo in atto il mio piano, e sarei ancora uno spensierato disoccupato!”. Ma non ne era convinto, in fondo. No, lui non poteva rimanere inerme, fare come alcuni compagni nella sua condizione che accettavano lavori di tutti i tipi. Non sarebbe andato a fare il cameriere o l’uomo delle pulizie come un immigrato arrivato in Italia da pochi giorni. Non che fosse razzista, anzi sapeva che era giusto aiutare tutti quei poveretti che arrivavano. Ma sentiva di non essere nato per una vita umile ed il suo amor proprio non gli consentiva di sottoccuparsi. Certo non poteva nemmeno, dopo più di un anno dalla laurea, continuare a gravare sui genitori trascorrendo giornate in internet per poi sentire suo padre che si lamentava dei costi. Com’era possibile che lui, così intelligente, non riuscisse a trovare un’idea per trovare un posto di lavoro ed essere come tanti altri ragazzi della sua età? Sognava una vita da scapolo gaudente per qualche anno e poi avrebbe pensato a costruirsi una famiglia . Certo, Maria l’avrebbe sposato anche se avesse fatto l’operaio; lei non dava importanza alle cose materiali ma alla sostanza della persona. Forse però nel futuro, con tre figli, uno stipendio modesto e l’inevitabile conseguenza di un abbrutimento fisico e spirituale, anche lei sarebbe cambiata e gli avrebbe rinfacciato la vita squallida che le aveva fatto passare. Poi, finalmente, pensa e ripensa, l’idea gli venne! Accadde grazie ai racconti del suo amico Pietro, un gran chiacchierone che preferiva parlare dei fatti altrui che affrontare i propri. E così nelle serate trascorse al circolo ARCI tra una birra ed una partita a carte, l’amico raccontava del suo principale, il proprietario, direttore e presidente della società dove egli lavorava. Il tono di Pietro, in queste circostanze, era sempre un po’ critico, ma Paolo sospettava che sotto sotto l’amico ammirasse ed invidiasse il suo capo. Si, il Dottor Bianchi era proprio un riccone, aveva varie società ed in ciascuna era lui che comandava e dirigeva gli affari. Non era un “self made man”; suo padre era un ricco imprenditore all’antica che aveva allevato il figlio a pane, lavoro e studio come di solito diceva lui. Pane, perché non gli aveva mai messo a disposizione molto denaro e lo aveva fatto vivere semplicemente come la maggior parte dei i ragazzi della sua età; lavoro, perché nei mesi di vacanza estivi lo faceva lavorare nella sua società concedendogli un mese di riposo e di svago; studio, perché per capitanare un’azienda si doveva essere istruiti e preparati. Per questo forse Carlo Bianchi non era il solito sperperatore di patrimoni, era anzi un vero capitano d’industria, subentrato al padre quando questi era ancora in vita. Sotto la sua attenta guida aveva mosso i primi passi nel mondo imprenditoriale e alla morte del padre era riuscito ad ampliare la sfera di mercato della società, rilevandone altre in cattive acque e risollevandole in poco tempo. Certo aveva i suoi deboli come tutti gli esseri umani. <> diceva Pietro con lo stesso il piacere con cui nel medioevo i popolani raccontavano i fasti dei propri nobili signori <>. Ma a Pietro soprattutto piaceva raccontarci della passione per le donne e per le auto. Lo magnificava con l’orgoglio di chi sapeva di avere il feudatario più ricco e sontuoso. Fu così che Paolo venne a sapere che il Dottor Bianchi della BCI S.p.A. era un appassionato di giovani e belle ragazze. Si diceva che ne avesse assunte molte perché erano state carine con lui e che fosse stato invece duro con altre che gli avevano promesso il paradiso

 
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