Creato da TconZERO il 07/06/2009

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( l'agonia dell'irrequietezza )

 

 

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di memoria in memoria

Post n°49 pubblicato il 04 Febbraio 2010 da TconZERO

Leggendo l'ultimo post di marcie, tratto chissà da dove (mi chiedo, perché cazzo non citi mai le fonti?), mi è tornato alla memoria il passo di qualcosa che lessi un pò di tempo fa. Lo ripropongo... e lo lascio a futura memoria.

<<... Soltanto alle nostre radici possiamo sperare in un rinnovamento. Gli aborigeni australiani vanno errando durante tutto l'anno ma tornano ad intervalli stagionali nei loro luoghi sacri per riprendere contatto con le radici ancestrali, fondate nel "tempo del sogno". E una volta ho conosciuto un uomo che si comportava allo stesso modo.
Mi ero sentito estraniato dai miei amici e amavo la compagnia di un uomo molto vecchio ed esperto di dottrine islamiche, che era anche addetto commerciale di un'ambasciata del Medio Oriente. Una sera venne a casa sua, nella zona della Victoria Station, un inglese sui cinquantacinque anni, dall'aria perfettamente serena. Non aveva una ruga. Sembrava appartenere a quella specie pressoché estinta - l'uomo felice. Non era una persona chiusa in se stessa, fuori dal mondo, ma tutto il contrario. Eppure faceva una vita che porterebbe la maggior parte di noi al collasso nervoso. Era il rappresentate di una ditta di macchine da scrivere e ogni tre mesi visitava in aeroplano quasi tutti i paesi dell'Africa. Non aveva parenti né legami. Tutto ciò che gli occorreva era contenuto in una valigia: una valigia abbastanza piccola da stare sotto il sedile di un aereo come bagaglio a mano. Quando passava da Londra, rinnovava tutto, valigia e vestiti. Sembrava non possedere nient'altro, ma alle mie insistenze ammise di avere una certa cassetta di cui non desiderava parlare. Lo avrei preso in giro, disse. Promisi di non ridere, e mi raccontò che nella cassaforte dell'ufficio teneva una cassetta di latta, di quelle usate dai procuratori legali per i documenti. Dentro c'erano le sue "cose". Quattro volte all'anno, quando tornava a Londra, dormiva nella stanza a cuccette che la ditta riservava ai suoi commessi viaggiatori. Per mezz'ora chiudeva a chiave la porta, toglieva le cose dalla cassetta e le spargeva sulla cuccetta. Erano il vario bric-à-brac di una vita piccolo borghese inglese: l'orsacchiotto di pezza, la fotografia del padre caduto nella prima guerra mondiale, la sua medaglia, la lettera del re, alcuni ninnoli della madre, un trofeo di nuoto, un portacenere omaggio. Ma ogni volta riportava dall'Africa un oggetto nuovo, e buttava un oggetto vecchio che aveva perso significato. "So che sempra sciocco," disse "ma quelle sono le mie radici". E' la sola persona, fra quante ne ho conosciute, che abbia risolto la difficile equazione tra cose e libertà. La cassetta era il perno della sua orbita migratoria, il punto fisso territoriale in cui egli poteva rinnovare la propria identità. E senza di essa si sarebbe sentito letteralmente sbalestrato...>>.

(Tratto da La moralità delle cose, di B. Chatwin)

 
 
 
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