Creato da TconZERO il 07/06/2009

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( l'agonia dell'irrequietezza )

 

 

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inverno

Post n°99 pubblicato il 14 Maggio 2010 da TconZERO


Quel mattino lo svegliò il silenzio. M. si tirò su dal letto col senso di qualcosa di strano nell'aria. Non capiva che ora era, la luce tra le stecche delle persiane era diversa da quella di tutte le ore del giorno e della notte. Aperse la finestra: la città non c'era più, era stata sostituita da un foglio bianco. Aguzzando lo sguardo, distinse, in mezzo al bianco, alcune linee quasi cancellate, che corrispondevano a quelle della vista abituale: le finestre e i tetti e i lampioni lì intorno, ma perdute sotto tutta la neve che c'era calata sopra la notte.
- La neve! - gridò M. alla moglie, ossia fece per gridare, ma la voce gli uscì attutita. Come sulle linee e sui colori e sulle prospettive, la neve era caduta sui rumori, anzi sulla possibilità stessa di far rumore; i suoni, in uno spazio imbottito, non vibrano.
Andò a lavoro a piedi; i tram erano fermi per la neve. Per strada, aprendosi lui stesso la pista, si sentì libero come non s'era mai sentito. Nelle vie cittadine ogni differenza tra marciapiede e carreggiata era scomparsa, veicoli non ne potevano passare, e M., anche se affondava fino a mezza gamba ad ogni passo e si sentiva infiltrare la neve nelle calze, era diventato padrone di camminare in mezzo alla strada, di calpestare le aiuole, d'attraversare fuori le linee prescritte, di andare a zig-zag.
Le vie e i corsi s'aprivano sterminate e deserte come candide gole tra rocce di montagne. La città nascosta sotto quel mantello chissà se era sempre la stessa o se la notte l'avevano cambiata con un'altra? Chissà se sotto quei monticelli bianchi c'erano ancora le pompe della benzina, le edicole, le fermate dei tram o se non c'erano che sacchi e sacchi di neve? M. camminando sognava di perdersi in una città diversa: invece i suoi passi lo riportavano proprio al suo posto di lavoro di tutti i giorni, il solito magazzino, e, varcata la soglia, il manovale stupì di ritrovarsi tra quelle mura sempre uguali, come se il cambiamento che aveva annullato il mondo di fuori avesse risparmiato solo la sua ditta.
Lì ad aspettarlo, c'era una pala, alta più di lui. (...) Prese la pala, soprattutto per scaldarsi, e si mise al lavoro nel cortile. Aveva uno starnuto che s'era fermato in cima al naso, stava lì lì, e non si decideva a saltar fuori. M. spalava, con gli occhi semichiusi, e lo starnuto restava sempre appollaiato in cima al suo naso. Tutt'a un tratto: l' <Aaaah...>, fu quasi un boato, e il: <<... ciù!>> fu più forte che lo scoppio di una mina. Per lo spostamento d'aria, M. fu sbatacchiato contro il muro.
Altro che spostamento: era una vera tromba d'aria che lo starnuto aveva provocato. tutta la neve del cortile si sollevò, vorticò come in una tormenta, e fu risucchiata in su, polverizzandosi nel cielo.
Quando M. riaperse gli occhi dal suo stordimento, il cortile era completamente sgombro, senza neppure un fiocco di neve. E agli occhi di M. si ripresentò il cortile di sempre, i grigi muri, le casse del magazzino, le cose di tutti i giorni spigolose e ostili.

[da Marcovaldo, ovvero le stagioni in città - Inverno (4). La città smarrita nella neve]

 
 
 
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