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Ferro battuto (secondo capitolo)

Post n°2 pubblicato il 23 Maggio 2012 da ocsurte


Margherita è una donna serena. L'impiego come infermiera è per lei lavoro di soddisfazione e ben presto diviene responsabile di sala operatoria. Certo, il lavoro è impegnativo e delicato. Deve  fare in modo che il lavoro dei chirurghi si svolga senza problemi di sorta. Ne va della sicurezza e anche della vita dei pazienti che ogni giorno affrontano  un intervento più o meno delicato. Poi lei deve conciliare l'impegno professionale con il suo ruolo di giovane mamma, nel crescere il piccolo Marco.  La vita, per lei, scorre serena e densa di soddisfazioni se non fosse per quell'unico cruccio di vedere Ruggero privo di quella carica di entusiasmo che almeno in minima parte ti deve assistere, nel lavoro che svolgi, altrimenti ne rimani succube e ti logori, consapevole di aver forse fatto scelte sbagliate. Ruggero non ebbe mai a lamentarsi, con Margherita, del fatto che il suo lavoro non fosse mai riuscito a procurargli stimoli ed interesse. Soprattutto non gliene fece mai una colpa se lui si trovava impiegato come infermiere per aver scelto di stare vicino a lei  quando questa, con entusiasmo, si iscrisse alla scuola e iniziò il tirocinio.  Ruggero il suo lavoro lo svolgeva comunque con coscienza, perché si trattava di un lavoro che lo portava a contatto con la sofferenza e il disagio di tante persone. A queste persone era dovuto rispetto e umanità. Di questo Ruggero era ben consapevole. Tra le sue maggiori consolazioni c'era il dedicarsi al figlio Marco di cui seguiva l'educazione con grande affetto, intelligenza e devozione. Di questo Margherita era contenta e finì  per non accorgersi più che a Ruggero continuava a mancare uno spazio suo, dove potesse esprimersi, dove potesse realizzarsi.  Nel piccolo paese rurale ormai assediato dai capannoni industriali e dai magazzini di smistamento del porto che si estendevano nell'entroterra, Ruggero divenne quasi una leggenda, per come era capace di addestrare i suoi cani da caccia. I suoi setter irlandesi pareva che li guidasse con il pensiero. Quegli splendidi animali bucavano il cannellaio e i campi incolti dove un falasco intricato e tagliente la faceva da padrone,  a testa alta e con portamento maestoso. Avendo sempre la percezione della posizione del proprio adorato conduttore e svolgendo un lavoro egregio nello scovare, "fermare" in posa plastica e statuaria e infine  involare i selvatici. I suoi cani sono animali superbi e pienamente realizzati. Non come certi cagnolini da salotto di cui ci circondiamo negli appartamenti e nei giardini e che trasformiamo in giocattoli, snaturandoli e plagiandoli.  Non ci dovremmo permettere di intervenire sulla naturale essenza delle cose come ci sembra meglio, anche in buona fede.  Come quando sterilizziamo un gatto.  Ne faremo un pacifico giocattolo che ha le sembianze di un gatto e sicuramente è adatto a vivere nei nostri appartamenti.  Avrà irrimediabilmente perso la fierezza di carattere e di istinto dell'animale che è stato.  Nelle sue giornate libere dal lavoro e dagli impegni famigliari, nei paduli contigui al fiume Tora o a perlustrare granturchi e macchie basse di leccio, dove pungitopo e agrifoglio costituiscono un mare duro e rigoglioso,  Ruggero condivide la sua passione per la vita all'aria aperta con i suoi animali e con i suoi amici di sempre. Proprio in giorni come questi, nella bruma di quei mattini guazzosi, tra l'odore aspro del  fieno marcito o nelle faticose avanzate a rastrellare  acquitrini con gli stivali a coscia nelle anse di esondazione, con i cani a divorare rovi e cannellaio, che egli prende a frequentare Martino, architetto rampollo di una famiglia di architetti.  Ruggero e Martino si intendono a pelle. Ne nasce un rapporto di stima reciproca e si cercano,  i due,  per condividere quelle uscite negli autunni nebbiosi o negli inverni rigidi.  Percorrere chilometri di una sana immersione in una natura amica se pur non addomesticata. La fatica e l'accompagnarsi costante degli elementi mutevoli. Il sole cocente, la pioggia persistente, l'umidità e la nebbia compagni di avventura di una vita gustata a pieno nella sua essenza, allontanandosi dai paesaggi artificiali e di comodo che l'uomo tende a costruirsi con le proprie mani. Godere della bruma delle albe in mattinate imbiancate dalla brina, aspettare notte fonda ai margini del bosco per incontrare le creature selvatiche. Nient'altro che una  forma d'amore e di rispetto per la natura e per il  superiore, arcano ordine  naturale delle cose, troppo spesso fatto a brandelli da una antropizzazione scellerata. Nelle ore trascorse insieme all'amico, Martino parla del lavoro suo e della sua famiglia, architetti di chiara  fama nel progettare ristrutturazioni conservative di antichi casali e costruzioni di ville di alto pregio per una borghesia non priva di disponibilità economica che ama circondarsi di bellezza autentica. Queste conversazioni, nelle colazioni all'ombra di un leccio o alla sera quando i due si incontrano a cena con le rispettive famiglie per godere della reciproca sincera amicizia, ravvivano la primordiale brace della passione per l'arte del ferro battuto che il nostro non ha mai sopito sotto la cenere delle altre scelte che la vita lo ha indotto a fare. Una domenica pomeriggio, dopo la caccia, gli amici sono tutti a casa di Ruggero e da una vecchia stalla in disuso, contigua alla abitazione, viene riesumata l'antica forgia che fu del nonno di Margherita e dalla quale Ruggero si accorse di non aver mai staccato il suo cuore di bambino. La potenza della passione che suscita meraviglia autentica, quel ragazzo antico che un vero fabbro non lo è mai stato, trascorre le notti e tutte le ore libere dal lavoro nella stalla a ravvivare carbone e battere il ferro con gli arnesi rudimentali del suo arcaico mentore, che lo accoglieva nella sua scura bottega quando questi era solo un bambino. Chino su di un disegno che gli ha passato l'amico Martino, abbraccia  ferri in forme essenziali ed eleganti. Ci mette l'anima, in quelle strutture poderose e lineari che dal metallo scuro e grezzo andranno a dar vita ad un pesante cancello di una villa importante. Occorrono mesi e l'opera prende forma dalle mani e dalla passione. Dal cuore di quello stesso bambino che si struggeva a soffiare il mantice nella fucina del vecchio fabbro. Meraviglia di passione e di cuore che mette arte e mestiere in mani inesperte, l'opera è pronta ed è prodigiosa. Ha una vita sua, dentro. Racconta la storia di un bambino che si aggrappava alla grande ruota per azionare una pesante mola che lo trascinava con se, come su di una immaginaria arcana giostra. C'è una luce nuova, negli occhi di Ruggero.  Gli amici, Margherita, la scorgono. Ne provano tutti una sincera felicità. L'amico Martino è commosso. Gli stacca un assegno di ventimila euro. (continua)

                        Stefano C.

 

 

 
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