Creato da Ruth_Arrimbuda il 20/10/2006

Poesia

Sono nato a Borgosesia (VC) nel 1970. Dall'88 al '91 ho pubblicato varie poesie su riviste minori e ho fatto parte del Laboratorio di Scrittura Creativa di Marco Conti a Biella.Finalista al concorso nazionale "La Rocca" di Torino e segnalato al Premio internaz "Nosside" di R.Calabria. Nel 2002 sono alla Scuola di Poesia di Nicola Gardini a Milano.

 

 

VIVIAN LAMARQUE

Post n°8 pubblicato il 11 Novembre 2006 da Ruth_Arrimbuda
Foto di Ruth_Arrimbuda

Non tragga in inganno la disarmante semplicità dei versi di Vivian Lamarque; essa usa la spontaneità come grimaldello per aprire le porte dell'anima. E stupisce la straordinaria leggerezza con cui nelle sue poesie ci troviamo di fronte ai drammi della vita o alle pene d'amore. Come in questa poesia in "quasi-milanese"; chi preferisce, e non ha alcuna dimestichezza con il milanese, può leggerla nella traduzione italiana, ma io consiglio una lettura in originale: ci sono sfumature intraducibili che ci conducono nei luoghi della memoria della poetessa, nella sua infanzia probabilmente. Vivian Lamarque ci fa fare un doppio viaggio: nell'anima in pena che attende una telefonata; ma è soprattutto un viaggio nel tempo: nell'arco di una giornata la velocità del tempo subisce drastiche modifiche: si passa dall'attesa che non passa mai, a quando effettivamente questa conversazione ha luogo e il tempo sembra subire un'improvvisa accelerazione, è tanta l'ansia e l'emozione che i minuti corrono troppo e ne esce una situazione paradossale in cui ci si racconta di tutto meno quello che si vorrebbe...

 

Pèss fritt

 

L'è tutt el dì che sun chì a spettà la tua telefunada

stu chì me moevi no stu chì inciudada

a pensà ai robb de ditt

a tutti i drin fu 'n salt ma l'è la mamma

la zia 'l diavol la cugnada te set mai tì.

Inscì a pensà ai robb de ditt u passà la mattina

'l dopomessdì la sera

e adèss che gh'è foera la luna

adèss ghe la fu pù e allora allora

salti sù in pè sul tavulin

me mètti a fà mì fort fort drin drin

pussè fort driin come 'na disperada

e poeu disi pronto pronto e varda

te set propi tì che te me diset come la va?

ste me cuntet de bèll?

e allora tutt'a'trat

me desmenteghi tutt quèll che te vurevi dì

de tutt quei robb me ven in ment più nient de nient

ma devi truvà subit 'n quaicoss

subit se no tì te diset bè ciau e te tachet sù

devi devi truvà 'quaicoss subit ecco te disi

ier u cumprà di bei pèss d'un culurin azzurrit ciar

e gh'u tajà via 'l cu puarètt la cua

gh'u dervì la panscia poeu i u lavà ben ben

i u passà nella farina bianca i u fà fritt puarètt

fritt.

Ti te diset "ah si, fritt?"

e poeu te diset pù nient de nient

e anca mì disi pù nient resti lì imbambulada

come i pèss fritt, azzurrit. 

 

 

 
 
 

ATTILIO BERTOLUCCI...

Post n°7 pubblicato il 25 Ottobre 2006 da Ruth_Arrimbuda
Foto di Ruth_Arrimbuda

PAGINA DI DIARIO

 

A Bologna, alla Fontanina,

Un cameriere furbo e liso

Senza parlare, con un sorriso

Aprì per noi una porticina.

 

La stanza vuota e assolata dava

Su un canale

Per cui silenziosa, uguale,

Una flotta d'anatre navigava.

 

Un vino d'oro splendeva nei bicchieri

Che ci inebriò,

L'amore, nei tuoi occhi neri,

Fuoco in una radura, s'incendiò.

 

Attilio Bertolucci

Tre quartine per Bertolucci in questa famosa poesia...le prime due a rime incrociate (ABBA- ABBA); l'ultima a rime alternate (ABAB); la prima quartina è metricamente rigorosissima e formata di quattro novenari(verso di nove sillabe) che danno il tempo alla composizione...il primo verso mi pare sia un novenario trocaico(con gli accenti principali sulla terza e ottava sillaba) ma non mi azzarderei oltre, la mia competenza è limitata e la memoria è quello che è....(e poi mi sta salendo il caffè....!!). (Sto bevendo il caffè...). Al di là della mera disquisizione tecnica, non è suggestiva l'immagine che il poeta ci da..?!? Un cameriere liso, una stanza vuota e assolata, la "flotta" di anatre....Chiudo gli occhi e mi sembra di sentire il sapore di quel vino bianco (d'oro), nell'aria il profumo della primavera e nei tuoi occhi neri la passione che si accende......... 

 
 
 

LA FINE E L'INIZIO_ WISLAWA SZIMBORSKA

Post n°6 pubblicato il 24 Ottobre 2006 da Ruth_Arrimbuda

AD ALCUNI PIACE LA POESIA

 

Ad alcuni-

cioè non a tutti.

E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.

Senza contare le scuole, dove è un obbligo,

e i poeti stessi,

ce ne saranno forse due su mille.

 

Piace-

ma piace anche la pasta in brodo,

piacciono i complimenti e il colore azzurro,

piace una vecchia sciarpa,

piace averla vinta,

piace accarezzare un cane.

 

La poesia-

ma cos'è mai la poesia?

Più d'una risposta incerta

è stata già data in proposito.

Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo

come alla salvezza di un corrimano.

 

Wislawa Szimborska (da La fine e l'inizio)

Premio Nobel per la letteratura nel 1996

 
 
 

SANDRO PENNA: DALLA "CONDANNA" A POETA MINORE LA PROVA CHE FU GRANDE

Post n°5 pubblicato il 23 Ottobre 2006 da Ruth_Arrimbuda
Foto di Ruth_Arrimbuda

I versi di Sandro Penna sono ancor oggi considerati fra i più limpidi e puri dell'intero panorama poetico italiano del novecento, a prescindere dal fatto che il poeta fu poi marchiato con l'etichetta di "minore"; anzi, paradossalmente il fatto che egli non abbia mai raggiunto l'Olimpo dei grandi è soprattutto motivo d'orgoglio per chi vuol vedere in lui il grande incompreso. La sua schiettezza, l'apatia, la naturale avversione al conformismo e al perbenismo regnanti in ambienti che egli fu quasi costretto a frequentare e quel ruolo di personaggio scomodo che troppo presto gli fu affibbiato, relegarono lui e la sua poesia ad una marginalità immeritata. Ma la bellezza di alcune sue soluzioni ritmiche e sintattiche ha davvero poco da invidiare a quella dei contemporanei ( Ungaretti, Montale, Saba che peraltro ebbero sempre per lui parole di elogio e di sostegno). Sono versi, quelli del poeta perugino, impregnati di solitudini struggenti e sottili malinconie , saturi dell'insostenibile pesantezza dell'esistere e tuttavia dotati di una solarità cui affidare la consacrazione della propria emarginazione: "io muovo incontro al sole/ cauto coi miei calzoni" recita in quel suo stile epigrammatico e vagamente dimesso che lo caratterizzarono per l'intera durata della vita. Ma questa strabiliante esattezza lirica stupisce ancor più per l'inopinata semplicità di alcuni archetipi che frequentemente ricorrono nei suoi versi: i temi della poesia penniana sono fondamentalmente l'amore-omosessualità, la solitudine e l'emarginazione.

"Come è forte il rumore dell'alba!

 Fatto di cose più che di persone.

 Lo precede talvolta un fischio breve,

 una voce che lieta sfida il giorno.

 Ma poi nella città tutto è sommerso.

E la mia stella è quella stella scialba

 Mia lenta morte senza disperazione."

 In questa composizione sono presenti alcuni di questi temi fondamentali. Sin troppo espliciti appaiono a tal proposito riferimenti per cui il "...rumore dell'alba..." è "Fatto di cose più che di persone" e la sua "morte" è "...lenta" e "...senza disperazione". Discreta mestizia e solitudine percorrono il terzo e quarto verso nei quali immagini come "..un fischio breve,/una voce che lieta sfida il giorno", di per sè non particolarmente tristi e malinconiche, nel contesto in cui vengono poste acquistano un significato di segno quasi opposto grazie al verso che segue che recita: "Ma poi nella città tutto è sommerso". Sono parole queste che interrompono bruscamente l'apparente armonia della prima parte e che conducono e introducono alla chiusura degli ultimi due versi, dai quali traspare ciò a cui è necessario ricondursi per capire l'intero senso della composizione. Dunque lo schema che caratterizza questa poesia (come molte altre del poeta) è molto semplice e sintetizzabile in questo modo: una prima fase di "ingorgo" (4 versi) in cui Penna ci da alcune immagini di gaiezza e pacata serenità (il giorno che inizia, la "voce lieta") solo e unicamente per dare maggior risalto alla seconda fase che chiameremo "sfogo", di segno praticamente opposto che inizia al quinto verso per culminare negli ultimi due.

Il circolo entro cui si racchiudono i temi penniani è dunque chiuso e naturalmente senza vie di uscita. L'amore e l'immensa sensibilità entro cui il poeta si muove conducono ad un processo ineluttabile che contempla lo scotto di un prezzo troppo caro da pagare ma che egli conosce a perfezione: con l'emarginazione come diretta conseguenza della solitudine in cui egli si viene a trovare a causa della sua "diversità", il cerchio si chiude e la poesia consegna a sè stessa e alla sua storia un altro piccolo grande uomo, nel rispetto di un copione sin troppo noto in cui per il poeta la vera vittoria è l'essere perdente. E la sacralità del vizio atroce entro cui questi personaggi si muovono è qui evidenziata a dismisura; è il bene e il male che si incontrano, è l'inizio e la fine che si confondono.

 
 
 

UNA STRANA GIOIA DI VIVERE

Post n°4 pubblicato il 23 Ottobre 2006 da Ruth_Arrimbuda

La vita...è ricordarsi di un risveglio

triste in un treno all'alba: aver veduto

fuori la luce incerta: aver sentito

nel corpo rotto la malinconia

vergine e aspra dell'aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione

improvvisa è più dolce: a me vicino

un marinaio giovane: l'azzurro

e il bianco della sua divisa, e fuori

un mare tutto fresco di colore.

Sandro Penna

Donna in tram

Vuoi baciare il tuo bimbo che non vuole:

ama guardare la vita, di fuori.

Tu sei delusa allora, ma sorridi:

non è l'angoscia della gelosia

anche se già somiglia egli all'altr'uomo

che per "guardare la vita, di fuori"

ti ha lasciata così...

Sandro Penna (da Croce e delizia)

XVIII

E' l'ora in cui si baciano i marmocchi

assonnati sui caldi ginocchi.

Ma io, per lunghe strade, coi miei occhi

inutilmente. Io, mostro da niente.

IV

Come è bello seguirti

o giovine che ondeggi

calmo nella città notturna.

Se ti fermi in un angolo, lontano

io resterò, lontano

dalla tua pace,- o ardente

solitudine mia.

VII

Era la vita tua lieta e gentile.

Quando a un tratto arrivò, gonfio d'amore,

un lombrico vestito da signore.

E' quieta la tua vita e senza stile.

II

Oh, non ti dare arie

di superiorità.

Solo uno sguardo io vidi

degno di questa. Era

un bambino annoiato in una festa.

Sandro Penna (da Una strana gioia di vivere)

"Sandro Penna è uno dei più grandi poeti italiani del Novecento: non dico il più grande, solo perchè non amo le graduatorie." Così diceva Cesare Garboli nell'introduzione alle "Poesie" di Penna edito da Garzanti. Io sono d'accordo con lui...Segue un mio modesto omaggio al poeta perugino...(mess. n° 5)

 
 
 

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