Il VENTO e il LEONEIl guaio è che gli uomini hanno una particolare abilità nello scegliere proprio le cose peggiori per loro (J. K. Rowling) |
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IL CANTO DEL DERVISCIO
L'uomo è un flauto di canna, sospeso sugli abissi. E invoca la sua origine, cui vorrebbe tornare, tra i lamenti. Poiché è la strada di casa che ha smarrito, e la cerca. Udendolo, il mio cuore è mosso a pietà. E vorrebbe aiutarlo, ma non osa, perché sa che il compito è suo, di lui solo. E l'amore è una dolce follia, che riesce a guarirci dal peccato. Gli innamorati si incontrano, senza parlare, e ciascuno di essi dice proprio ciò che deve dire, ciò che l'altro s'aspetta. Mosè perse i sensi, alla vista del Divino. E così l'amante, che rincorre l'amato. E lo scorge dappertutto, avvolto in mille veli. Che gliene annunciano l'onnipresente esistenza. E quando l'incontro ha luogo, è una dolce ebbrezza, nel delirio, a imporsi. Queste storie si aprono al mondo. Esse sono rivolte agli amici, affinché imparino a guardare. E intraprendano il cammino, se già non si sono messi in viaggio.
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. Mi disturba questo passo che risuona, questo ticchettio di falcata lussuriosa, irriverente. Nello specchio d’angolo nascosto brilli di riflesso sui capelli, archi di luna argento vivo, pieghe di tessuto plissettato fra le mani. Ogni notte il corridoio è popolato di figure, sguardi cupi di giudizio, blande passioni d’altra età; ogni accenno di saluto sfuma delicato sul finale, rosario blasfemo di vergogna, icona di mancata sobrietà. Te ne vieni con la vita sul sorriso, con l’amarezza di chi abbandona pezzi d’anima colpo a colpo. Hai addosso un alfabeto di follia, incomprensioni che fanno a pugni col rispetto, ma le mani sono abili al saluto, sicure al primo tatto; eppure d’ogni fasto di bellezza intarsiato sul tuo volto, non serbo traccia fra i ricordi o desiderio di futuro. Solo questo pigro andirivieni, quotidiano amplesso di giocosa umanità; solo questo semplice apparire con trascurata sciolta nostalgia. Mi balocca questo portarti in palmo di santi peccatori, ingenua debolezza infranta sugli altari; ma di carne e sangue questo piatto è prelibato, di turpe ingratitudine e sollazzo, e il giorno sempre troppo lungo, sempre troppo pesante da smaltire. Prenditi il fardello d’aspettarti ogni notte, d’ascoltare una falsa indifferenza fra lingue calde e cosce aperte. Prenditi questa noia che mi assale quando sollevi parole di borgata, idioma di riguardo e di lavoro. Prenditi pure tutto quanto. Nel buio, il volto in ombra, solo io so di quelle lacrime. So di quanti sogni chiusi fra i corsetti, mezzibusti di languore, ballerini di flamenco. Calca quel cappello: la freschezza se ne va! Eppure, in questo pianto, non sei mai stata così bella. Ed io t’ho atteso tanto … sino a vederti scomparire. |
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