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La morte di Milosevic

Post n°52 pubblicato il 27 Marzo 2006 da Massimiliano_Kosovo

La morte di Slobodan Milosevic e la sua eredità

Questo inizio di 2006 continua a sorprendere, non tanto per i passi in avanti fatti nei negoziati, quanto per la scomparsa di alcune figure chiave che, nel bene e nel male, hanno determinato la storia del Kosovo. Il 20 gennaio muore Ibrahim Rugova, Presidente del Kosovo; l’11 marzo Slobodan Milosevic, ex-Presidente della Serbia. Il primo, definito “Ghandi dei Balcani”, viene rimpianto da tutti i Kosovari albanesi, che ritrovano coesione alla morte della loro guida. Il secondo, detto “Hitler dei Balcani”, “macellaio”, ma anche “salvatore della Serbia”, lascia un’eredità più pesante e divide il paese tra coloro che lo considerano un criminale e altri che vedono in lui un eroe e un martire.

Le cause della sua morte, avvenuta all’Aja, nella cella dove era custodito nel corso del processo del Tribunale Speciale ONU per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia, sono riconducibili ad un infarto (Milosevic aveva da lungo tempo problemi cardiaci), ma non sono mancate nella settimana anche altre teorie (suicidio e avvelenamento). La mia intenzione in questo articolo è quella di dare prima una breve rappresentazione della vita e delle “opere” di Milosevic, cercando poi di descrivere gli stati d’animo dei Kosovari albanesi alla notizia della scomparsa del loro odiato nemico.

Slobodan Milosevic nasce in Serbia nel 1941. Durante i primi anni della sua vita si suicidano, uno dopo l’altro, il padre, la madre e uno zio, lasciando un segno profondo sul giovane, che si getta nello studio (laurea in Giurisprudenza) e in politica (tra le file del partito comunista), per far carriera nella Jugoslavia di Tito. Negli anni 80 accresce il suo potere sempre di più, fonda il Partito Socialista Serbo, fino a divenire Presidente della Serbia nel 1989, anno in cui chiarisce anche il suo piano politico: riunificate tutti i Serbi dei Balcani in una “Grande Serbia”, combattendo contro tutte le altre etnie e minoranze per raggiungere questo scopo. Nei 10 anni successivi Milosevic tenta in tutti i modi di passare dalla teoria ai fatti, cominciando una guerra dopo l’altra e perdendole tutte. Prima in Slovenia nel 1991, poi in Croazia e in Bosnia fino al 1995, l’ex Jugoslavia si sgretola e il nazionalismo estremo (rappresentato non solo da Milosevic e dai Serbi, ma anche dai Croati e dai Bosniaci musulmani) trascina l’intera area in una guerra infinita, dove muoiono in totale più di 200.000 persone, ci sono centinaia di migliaia di profughi, pulizia etnica, stupri, violenze di ogni tipo, oltre che danni economici per decine di miliardi di dollari. Leggendo dei libri o guardando dei filmati sulle guerre dei Balcani negli Anni 90 sembra di trovarsi di fronte ad una storia dell’orrore, dove ogni volta che l’incubo sembra finire, si precipita in uno ancora peggiore. L’ultimo capitolo bellico della storia si sviluppa tra il 1998 e il 1999 in Kosovo e si conclude con l’attacco Nato a Belgrado che piega una volta per tutte l’esercito serbo.

Milosevic non è stato l’unico responsabile di questa immensa tragedia, ma sicuramente uno dei più spietati e infidi: ha alternato nella sua politica un nazionalismo estremo ad un finto pacifismo (durante la serie infinita di incontri per risolvere la “questione dei Balcani”, il vittimismo allo sterminio spietato dei suoi oppositori politici e dei nemici di guerra (avallando la pulizia etnica portata avanti dai suoi generali). Ha fatto sprofondare il suo paese in una situazione economica drammatica, a causa dei lunghi anni di embargo e di sanzioni avute dall’ONU. Ha illuso giovani e vecchi con l’arma del nazionalismo, servendosi di una propaganda fittizia che ha sempre mascherato la realtà di una guerra sporca fatta per interessi economici di un gruppo ristretto.

Dopo 10 anni di guerre, nel 2000 ci sono state le nuove elezioni politiche e il Milosevic ha perso nettamente. Nonostante questo, non voleva lasciare il potere: come risposta mezzo milione di persone, soprattutto giovani, sono scese in piazza e hanno dato l’assalto al Parlamento, costringendo il dittatore a lasciare il potere. Consegnato nel 2001 al Tribunale dell’Aja, nel 2002 è cominciato un processo contro di lui con ben 66 imputazioni (tra cui genocidio e crimini contro l’umanità), Milosevic non ha mai riconosciuto il tribunale e si è sempre dichiarato innocente; negli ultimi due anni il processo si è praticamente fermato a causa delle sue pessime condizioni di salute e non era stato ancora enunciato il verdetto di colpevolezza, dato comunque per scontato.

La sua morte ha provocato reazioni ben diverse nei vari paesi dell’area: in Bosnia, Croazia e Kosovo le famiglie delle vittime della guerra provano allo stesso tempo sollievo e delusione: il loro grande nemico è morto e nessuno lo rimpiange; molti, però, avrebbero voluto vederlo condannato dal tribunale dell’Aja. Ciò che dà più fastidio ai Kosovari è osservare la reazione di una parte della popolazione serba, che si è riunita per piangere il suo capo in occasione della camera ardente allestita a Belgrado e dei funerali che si sono tenuti nella città d’origine di Milosevic. Decine di migliaia di persone hanno pregato per lui, lodandolo come “il migliore dei Serbi”, e sembrando ignorare tutti i crimini da lui commessi. La posizione tenuta dal governo serbo è stata impacciata: non ha concesso funerali di stato per non scatenare le critiche internazionali, ma ha permesso ai manifestanti di riunirsi per non perdere l’appoggio del Partito Socialista (il partito fondato da Milosevic che ancora adesso fa parte della coalizione di governo). Per completezza è necessario e bello poter dire che c’è stata anche una contromanifestazione a Belgrado, durante la quale molte persone, soprattutto i giovani, si sono riunite per ricordare i crimini di Milosevic e fare in modo che la storia non si ripeta.

Infine, bisogna ricordare che anche nelle enclaves serbe in Kosovo ci sono state veglie funebri e incontri per ricordare il “grande Milosevic”: i Serbi rimasti capiscono che un altro legame con la madrepatria è andato perso e si sentono sempre più abbandonati al loro destino. Le ferite della guerra, però, sono ancora troppo aperte nei cuori dei Kosovari albanesi che, di fronte a queste reazioni nazionalistiche serbe, rinnovano il loro odio verso i nemici di una guerra mai veramente finita. Un quotidiano del Kosovo, il giorno dopo la morte di Milosevic, titolava eloquentemente: “All’inferno!”. Penso che Serbi e Kosovari si rivolgano spesso questo augurio: ciò non aiuta la pace, la collaborazione e la stabilità, ma la morte di Milosevic più che unire, sembra dividere ulteriormente i due popoli. In questa situazione i negoziati per il futuro del Kosovo continuano…

 
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