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Utopia della Storia (Dopo Piazza Fontana)

Post n°8 pubblicato il 12 Dicembre 2014 da rudiger666

 

 

Il mondo libero non è il mondo buono o perfetto.
E’ il mondo dove si fanno anche le porcherie.

Ma almeno se ne discute.





Viva Mao, viva Ho Ci Min, viva Cuba, viva il Che.
In Italia operai e studenti si sgolavano nei cortei inneggiando ed invocando questi paladini della democrazia.
Che importava loro se sia Mao che Ho Ci Min, che il generale Giap e Van Thieu o Cao Ki, appartenevano tutti alla stessa Casta Nobile dei Patrizi Nguyèn?
Chi mai aveva spiegato loro che quella guerra rivoluzionaria che durava da cinquanta anni non era altri che una lotta per la supremazia feudataria su un territorio conteso da secoli dalle loro famiglie patrizie?
Chi mai aveva spiegato loro che Castro, il ricco Hidalgo Fidel Castro Ruiz, era il più grosso proprietario terriero di Cuba, e che in poco tempo sarebbe diventato uno dei cento uomini più ricchi al mondo? Cuba era il suo stato personale, di tipo feudale.
I figli dei borghesi vendevano ‘Stellarossa’ ai bordi delle strade, credendo di migliorare la società, ma altri ‘miglioratori’ cominciarono a sparare a giornalisti colpevoli solo di averli definiti ‘teppisti’. Altri ‘miglioratori’ si dedicavano agli espropri proletari nei supermercati, facendo incetta di salmone caviale e champagne.
Sia che fossero di matrice comunista o di matrice fascista erano solo vandali sociali, barbari e prepotenti, ed erano cresciuti per l’inefficenza dei governi che si succedevano uno dietro l’altro, incapaci di governare veramente, impastoiati dai ricatti politici delle coalizioni e lontani dal paese reale.
In Italia il proletariato non esisteva più, anche se qualcuno se ne riempiva la bocca. Il proletario era forse quello che viaggiava in ‘cinquecento’, e si vestiva Marzotto o Lebole alla domenica, mentre i giorni feriali metteva gli stessi ‘Levis’ che si metteva l’Avvocato Agnelli, e andava in ferie a Rimini e beveva coca cola e fumava Marlboro.
Dopo Yalta, nessun partito comunista avrebbe potuto governare in occidente, ed i Russi erano i primi a rispettare i patti.
Per quanto riguarda il fascismo, nessun analista politico serio ha mai preso in considerazione la possibilità di un tale rigurgito in Europa. Un’ovvia assurdità.


Passai per via Fatebenefratelli, per vedere che aria tirava. C’era il solito capannello di anarchici in strada. Stazionavano là davanti da quando uno di loro, prima di Natale, era stato ‘defenestrato’, (come dicevano loro) dall’alto dell’ufficio politico. Entrai nel mucchio, salutando quelli che conoscevo, per far cessare gli sguardi sospettosi, e mi avvicinai all’ ometto al centro del gruppo. L’anziano ometto altri non era che il padre dell’anarchico “defenestrato”, e manco lui sapeva perché era lì. Sapeva solo che aveva perso un figlio, un soldo di cacio come lui che il redattore della Notte aveva identificato come “ alto, superiore alla media ”, quando a malapena arrivava al metro e sessantasette, e che tutte quelle persone intorno a lui, le aveva intorno solo in memoria di quello sciagurato figliolo. L’ometto, affogato nella calca più alta di lui, mi guardò con quei suoi occhi celesti, piagnucolosi e stupiti, e si portò la cicca alla bocca, stretta come una fessura orizzontale, a malapena visibile tra le rughe del suo volto. Qualcuno aveva rimediato una sedia, sulla quale sedeva compostamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, stare seduto in mezzo ad un branco d’anarchici incazzati. Ci fissammo negli occhi senza parlare.
Non che ci fosse molto da dire, a quel punto.
Era stato detto tutto ed il contrario di tutto, come sempre del resto.
Un ragazzo biondo e dagli occhi azzurri, benvestito, bello e dai modi così delicati e gentili da sembrare quasi effeminato, lo avvicinò con fare protettivo. Lo riconobbi subito. Lettere e filosofia dal lunedì al venerdì, addetto al guardaroba d'un locale alla moda dove si cenava e si faceva del jazz, nella fine settimana. Era un ragazzo di buona famiglia e veniva dalla stessa mia città toscana. Un anarchico di quelli che ti lasciano stupito ed imbrogliato, un ragazzo fuori tempo o fuori dal tempo.
Il biondino parlò all’ometto in un orecchio, abbracciandone le spalle, come se ne fosse il figlio. L’ometto evitò di guardarmi, mentre gli rispondeva nella stessa maniera. Parlavano di me. Poco male, perché tanto l’indomani, sarei sparito come neve al sole. Mi accertai, tastando nella tasca, di avere ancora il biglietto ferroviario. Sembravano tutti bravi ragazzi e forse in fondo lo erano davvero, ma non si sa mai fino a che punto. Ebbi un brivido, di freddo o di timore, non lo sapevo proprio, ma me n’andai alla svelta dalla calca, per trovarmi un tetto, una copertura.
Una copertura, proprio così, di quelle non ce n’era mai abbastanza.

 
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