Penombra nella stanza. 20 gradi, gradevole temperatura dopo una giornata trascorsa in giro, per le strade della città, per i corridoi della fabbrica, tra le pozze di acqua e ferro, tra gli odori estremi di quelli che annusi in un prato in primavera. Ed eccolo seduto li con un bicchiere in mano, una sigaretta accesa e mai fumata e lo sguardo perso verso un vetro illuminato. Dietro di esso un micromondo, un piccolo ecosistima fatto di pesci e lattughine sommerse, di pietre, anfore, di un vascello affondato, di una statua greca che rappresenta Poseidone. Lui fissa tutto questo lasciando che il tempo diventi lontano parente di quello del giorno, quello frenetico e a volte convulso. Guarda i pesci mangiare, nuotare, rincorrersi tra le colonne di bolle d'aria che dal fondo sembrano imitare i respiri dei fondali oceanici. Gli parla, gli ha dato un nome, nomi familiari di persone scomparse dati proprio per non dimenticarle mai. Ma parla più che altro con se stesso, come se fosse facile farlo attraverso un mondo a se che magari davanti allo specchio, con uno sguardo fisso e grave che ti ascolta e che sembra giudicarti senza distogliere mai la presenza sulle proprie labbra. Passano gli istanti e il silenzio detta risposte e sentenze.
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