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« Jacques Prévert, la canz...Foresta »

La cavallina

Post n°18 pubblicato il 25 Giugno 2015 da laccio8

Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo. Parte I, capitolo V 

Ed ecco fece questo sogno: lui e il padre vanno per la strada verso il cimitero e passano davanti all’osteria; egli tiene il padre per mano e si volta spaventato a guardar l’osteria. Una circostanza speciale attrae la sua attenzione: questa volta pare ci sia lí una festa, una folla di mogli d’artigiani agghindate e di contadine coi loro mariti e ogni sorta di gente. Tutti sono ubriachi, tutti cantano canzoni, e vicino all’entrata dell’osteria sta una telega, una telega strana. È uno di quei gran carri a cui si attaccano le grosse bestie da tiro e coi quali si trasportano mercanzie e botti di vino. A lui piaceva sempre guardare quegli enormi cavalli da tiro, dalle lunghe criniere e dalle zampe massicce, che andavano tranquilli, con passo misurato, e tiravano dietro di sé un’intera montagna di roba, per nulla sfiancati, come se col carico si sentissero perfin meglio che senza. Ma ora, fatto strano, a una cosi grossa telega era attaccata una piccola, scarna rozza da contadini, di color lupino, una di quelle che egli aveva spesso veduto slombarsi a tirare un alto carico di legna o di fieno, specialmente se il carro s’era affondato nella mota o in un solco della strada, mentre i contadini le picchiavano sempre tanto forte, tanto forte con la frusta, talvolta perfin sul muso e sugli occhi, e lui ne provava una gran pena, cosi grande che per poco non piangeva e la mamma doveva sempre tirarlo via dalla finestra. Ma ecco improvvisamente un baccano: dall’osteria escono gridando e cantando, con le balalaiche, ubriachi fradici, certi contadini di alta statura in camiciotto rosso e azzurro, col gabbano sulle spalle: – Montate, montate tutti! – grida uno, giovane ancora, dal collo taurino e dalla faccia carnosa, rossa come una carota, – vi porterò tutti, sedetevi –. E subito echeggiavano risate ed esclamazioni:

– Una simile brenna, sí che ci porta!

– Ma tu, Mikolka, hai la testa a segno? Attaccare un cavalluccio cosi a una telega come questa!

– Questa bestia avrà di sicuro vent’anni, ragazzi!

– Montate, vi porto tutti! – grida di nuovo Mikolka, saltando per il primo nella telega, poi prende le redini e si pianta in piedi sul davanti del carro. – Il baio è andato via l’altro giorno con Matvèj, – grida dalla telega, – e questa cavallina, ragazzi, mi strazia soltanto il cuore: sarei capace di ammazzarla, mangia solo il pane a ufo. Montate, vi dico! La metterò al galoppo! Andrà di galoppo! Andrà di galoppo! – E piglia in mano la frusta, preparandosi con voluttà a picchiare la bestia.

– Ma montate dunque! – sghignazzano nella folla. – Sentite, andrà di galoppo.

– Son già dieci anni che non galoppa.

– Galopperà!

– Non risparmiatela, ragazzi, ognuno pigli la frusta, pronti!

– Cosi! Frustala!

Tutti salgono sulla telega di Mikolka tra risate e facezie. Sono salite sei persone e ce ne stanno ancora. Prendono con sé una contadina, grossa e rubiconda. Ha una veste rossa di cotone, una cuffia con perline di vetro, nei piedi gli zoccoli, schiaccia nocciole coi denti e ridacchia. Nella folla intorno si ride pure, e in verità, come non ridere? una cavallina cosi misera che porterà al galoppo un peso simile! Due giovanotti nella telega prendono subito una frusta ciascuno per aiutare Mikolka. Si sente un “via!” e la rozza, pur tirando con tutte le sue forze, non soltanto non va di galoppo, ma anche al passo ce la può fare appena appena, e non fa che agitare le zampe, gemere e rattrappirsi sotto i colpi delle tre fruste che le cadono addosso come una gragnuola. Le risate nella telega e nella folla raddoppiano, ma Mikolka si arrabbia e, nel suo furore, mena colpi sempre più fitti sulla cavallina, come se credesse davvero che può andar di galoppo.

– Lasciate venire anche me, ragazzi, – grida un contadinotto dalla folla, inuzzolito.

– Monta! Montate tutti! – grida Mikolka, – vi porterà tutti. La frusterò a morte –. E frusta, frusta, e non sa più con che cosa percuoterla, tanto s’è accanito.

– Babbo, babbo, – egli grida al padre, – babbo che cosa fanno? Babbo, picchiano il povero cavallino!

– Andiamo, andiamo! – dice il padre, – sono ubriachi, scherzano, quegli stupidi; andiamo, non guardare! – e vuol condurlo via, ma egli si strappa dalle sue braccia e, fuori di sé, corre verso il cavallino. Ma il povero cavallo è ormai in cattive condizioni. Ansa, si ferma, tira di nuovo, per poco non cade.

– Frustala a morte! – grida Mikolka, – ormai ci siamo. La finirò!

– Ma che non sei cristiano, eh? boia! – grida un vecchio dalla folla.

– S’è mai visto che un cavalluccio cosi tiri un peso simile? – soggiunge un altro.

– L’ammazzerai! – grida un terzo.

– Non toccare! È roba mia! Faccio quel che voglio! Montate ancora! Montate tutti! Voglio assolutamente che vada di galoppo!...

A un tratto echeggia una salva di risate e copre ogni voce: la cavallina non ha resistito ai colpi sempre più fitti e s’è messa a ricalcitrare, impotente. Perfino il vecchio non ha potuto reggere e sorride! E davvero: è una cavallina cosi misera, e spara ancora dei calci!

Due contadinotti della folla si procurano anch’essi una frusta e corrono verso il cavallino per picchiarlo sui fianchi. Uno corre da una parte e l’altro dall’altra.

– Frustala sul muso, sugli occhi, sugli occhi! – grida Mikolka.

– Una canzone, ragazzi! – grida qualcuno dal carro, e tutti sul carro attaccano in coro. Echeggia una canzone scapigliata, un tamburello tintinna, ai ritornelli si accompagna il fischio. La contadina schiaccia nocciole e ridacchia.

[...] Egli corre accanto al cavallino, corre avanti, vede come lo frustano sugli occhi, perfino sugli occhi! Piange. Il suo cuore si solleva, le lacrime gli colano giú. Uno dei percuotitori lo urta nel viso; egli non sente, si torce le mani, grida, si getta verso il vecchio canuto dalla barba brizzolata che crolla il capo e biasima tutto ciò. Una donna lo prende per un braccio e vuol condurlo via; ma egli si divincola e corre di nuovo verso il cavallino. Quello è già ai suoi ultimi sforzi, ma ancora una volta comincia a ricalcitrare.

– Ah, carogna, che ti possano!... – urla furioso Mikolka. Getta la frusta, si china e tira fuori dal fondo della telega una lunga e grossa stanga, la prende per un capo con le due mani e con sforzo la fa roteare sopra la bestia.

– Ora la fa scoppiare! – gridano intorno.

– L’ammazza!

– È roba mia! – grida Mikolka e con tutta la forza del braccio abbassa la stanga. Risuona un colpo sordo.

– Picchiala, picchiala! Perché vi siete fermati? – gridano delle voci dalla folla.

E Mikolka brandisce un’altra volta la stanga e un secondo colpo assestato con violenza piomba sul dorso della disgraziata rozza. Essa si accascia con tutta la groppa, ma sussulta e tira, tira con tutte le sue forze in varie direzioni per mettere in movimento il carro; ma da tutte le parti l’accolgono sei fruste e la stanga si solleva daccapo e scende per la terza volta, poi per la quarta, cadenzatamene, con violenza. Mikolka è furioso di non poterla uccidere d’un sol colpo.

– Ha la pelle dura! – gridano intorno.

– Ora cadrà di sicuro, ragazzi, è la sua fine! – grida dalla folla uno spettatore.

– Darle con la scure bisogna! Finirla in una volta sola! – grida un terzo.

– Che ti mangino le zanzare! Fate largo! – si mette a urlare come un forsennato Mikolka, poi getta la stanga, si china di nuovo nella telega e ne tira fuori una sbarra di ferro. – Attenzione! – grida e con quanta forza ha ne assesta un colpo al suo povero cavallino. Il colpo è piombato, la bestia ha barcollato, s’è accasciata, vuole ancora tirare, ma la spranga le ricade sul dorso con estrema violenza, ed essa stramazza a terra, come se le avessero tagliato tutt’e quattro le zampe d’un colpo.

– Finitela! – grida Mikolka e, come fuori di sé, salta giù dal carro. Alcuni contadinotti, rossi e ubriachi anche loro, afferrano quel che trovano, fruste, bastoni, la stanga, e corrono verso la cavallina boccheggiante. Mikolka si mette di fianco e comincia a batterla con la sbarra a casaccio sul dorso. La rozza allunga il muso, respira pesantemente e muore.

– L’ha finita! – gridano nella folla.

– È perché non è andata di galoppo!

– Roba mia! – urla Mikolka con la spranga nelle mani e con gli occhi iniettati di sangue. Egli sta lí, come se rimpiangesse di non aver più nessuno da battere.

 
 
 
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