LA FORMICA ROSSA
Il blog de La formica con un'idea sociale - gruppo studentesco nato in Università Cattolica, sede di Milano
LA FORMICA CON UN'IDEA SOCIALE
La formica con un'idea sociale è un'associazione studentesca di centro – sinistra, area democratica, <che si riconosce nei valori civili e cristiani di democrazia e di libertà e che rispetta i diritti fondamentali dell’uomo espressi nella Costituzione italiana> (tratto dall'articolo 1 del nostro Statuto).
Autonomi e indipendenti, crediamo che alla base di tutto ci debbano essere: confronto, dialogo, tolleranza, rispetto e solidarietà; sosteniamo il partito democratico, appoggiamo la politica dell'Ulivo e siamo fortemente europeisti.
Per tutto ciò che riguarda i temi etici professiamo la libertà di coscienza. Proprio perché crediamo nei valori sopra elencati, non vogliamo seguire una linea comune sulle questioni etiche: a queste proprio non si può estendere la legge della maggioranza. Dunque ognuno sarà libero di esprimere la propria opinione in merito: cercheremo, in questo modo, di rispettare il più possibile le idee altrui e di migliorare attraverso il dialogo, visto non come una perdita di tempo, ma come fonte di arricchimento. Solo così si può dare il giusto valore all'individuo e solo così l'individuo può essere veramente libero.
Come ogni gruppo speriamo di crescere e di migliorare. Per farlo abbiamo bisogno anche di te. Puoi contattarci all'indirizzo laformicademocratica@libero.it
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TABACCI: POLITICA ED ECONOMIA OGGIdi Chiara Daina
L’On. Bruno Tabacci è oggi una tra le voci più autorevoli che avvalora questa consapevolezza: “Stiamo vivendo una fase nella quale la natura delle istituzioni è mutata e la politica, da protagonista assoluto, è diventata interlocutore modesto. Se la cosiddetta Prima Repubblica è morta per troppa politica, la Seconda sta morendo per troppo poca politica”, così rilascia nell’intervista a cura di Sergio Rizzo (“Bruno Tabacci – intervista su Politica e Affari”, Laterza, 2007). Un dilagante sentimento di antipolitica la cui responsabilità ricade tra le altre cose anche sul bipolarismo. Il sistema bipolare non garantisce governabilità al nostro Paese perché se da una parte mette insieme per vincere, dall’altra fa sorgere minuscole formazioni che giocano sul ricatto. E di qui l’esigenza di una riforma elettorale che sia veramente in grado di rispettare i valori della nostra Costituzione, come la rappresentanza istituzionale proporzionale al consenso elettorale, introducendo una soglia di sbarramento al 5% per evitare un eccesso di frazionismo, e la reintroduzione del voto di preferenza (che sottrarrebbe la scelta dei parlamentari dal volere dei capi-partito per legarla invece nuovamente al territorio) e della sfiducia costruttiva. Ciò permetterebbe di rispettare quello che è il reale spirito del popolo italiano, da sempre attraversato da diversi schieramenti (la sinistra radicale, i postcomunisti che hanno sposato il riformismo, l’area moderata di ispirazione cattolica e laica e infine la destra populista) che lo hanno reso eterogeneo, più ricco e irriducibile a due grandi coalizioni omogeneizzanti. Solo in questo modo è possibile recuperare sia la partecipazione alla vita politica sia una politica di qualità, fatta cioè di grandi ideali capaci di trovare punti di convergenza attraverso più alti momenti di mediazione. “Il drammatico abbassamento della qualità del personale politico ha portato con sé la ricerca di una scorciatoia nel liberismo, con la conseguenza dell’affermazione di oligarchie sganciate da qualsiasi consenso democratico, che era invece tipico dei partiti popolari. E la conseguenza inevitabile è stata la selezione verso il basso della classe dirigente. Per cui si è selezionati se si è in grado di garantire un pezzo del sistema del leader di riferimento, non certo se si vuole rappresentare la difesa degli interessi generali”. Il liberismo sembra dunque essere inteso come degenerazione di un più costruttivo liberalismo che realmente è in grado di far crescere l’economia della nostra società. In questi ultimi anni si è infatti puntato molto sulle privatizzazioni creando le condizioni per cui lo Stato non è più imprenditore ma nemmeno regolatore. L’aver tralasciato questo importante particolare di fatto ha implicato “il cambio dei rapporti di potere, con la politica del tutto a rimorchio” e il risultato è che chi ha pagato veramente sono stati i consumatori. In un capitalismo senza capitali, infatti, sono soprattutto le banche che hanno tirato fuori i soldi e che hanno pilotato tutte le operazioni più grosse, ottenendo perciò incredibile potere. Tabacci giudica inoltre apprezzabili ed accettabili le idee espresse da Guido Rossi nel suo ultimo volume da titolo “Mercato d’azzardo”, in cui il giurista milanese rivendica il ruolo salvifico del diritto nei confronti sia del capitalismo che della politica, affinché nessuno dei due abdichi ai suoi compiti di indirizzo. E’ evidente però che se la politica rispondesse alla perdita di sovranità con una frenesia normativa commetterebbe una latro errore: occorrono poche leggi, meglio se drastiche. Secondo Tabacci, questo vuol dire che se il mercato deve essere lascito libero di determinarsi in base ai suoi sviluppi interni, le sue regole e i suoi scopi, la mano pubblica deve parallelamente intervenire in modo che non si crei mai un gioco a somma zero e i danni e i vantaggi si inscrivano sempre all’interno di un contesto e di passaggi assolutamente trasparenti. Con incisive espressioni Tabacci ci presenta il difficile, nonché a volte contraddittorio rapporto tra politica ed economia, due grandi titani che lottano l’uno nel tentativo di fagocitare l’altro. Ma sarebbe fuorviante vedere la politica e l’economia semplicemente destinate ad un insolubile conflitto. Bisogna piuttosto saper restituire all’agire politico il suo senso più autentico: un agire che non ignori o al contrario soffochi la molteplicità delle attività economiche, ma che le coordini nel rispetto dell’interesse di tutti i cittadini. Vale forse la pena qui di ricordare che lo stesso etimo del termine, come inter-esse, e cioè “essere tra” o “prendere parte”, richiede legittimamente uno spazio unitario in cui i vari interessi sociali ed economici si possano porre, data la loro incapacità di valere come realtà oggettive in modo autosufficiente – se ciascuno infatti si pone come totalmente indifferente nei confronti degli altri allora è inevitabile che impedisca all’altro di realizzarsi compitamente. Solo nella politica concepita come costante e difficile ricerca di equilibrio si può dire che vi sia la possibilità che rinasca la questione della giustizia, che oggi troppo spesso viene associata a processi macchinosi, logoranti ed assai costosi, e che sicuramente si colloca al di fuori degli ambiti di governo. Ma la risposta all’urgente bisogno di una seria e stabilizzante progettualità politica deve ancor di più essere ricercata a livello europeo: i parametri di Maastricht e la Strategia di Lisbona ci indirizzano a comportamenti virtuosi in grado di ricondurre le diverse corporazioni all’interesse generale. L’Europa per Tabacci deve diventare l’orizzonte privilegiato entro cui orientare le prospettive politiche, economiche, sociali ed ambientali dei singoli governi nazionali, così che presto si giunga ad un federalismo europeo capace di lasciarsi alle spalle obsoleti campanilismi e sciovinismi davvero inadeguati alla sempre maggiore interdipendenza globale ormai raggiunta in tutti i settori, che richiede programmi incrociati e continui riconoscimenti reciproci, essenziali per dare vita ad un unico spazio politico. La ricostruzione morale profonda di cui l’Italia ha bisogno non va certamente trovata, ricorda Tabacci, “mettendo insieme l’elenco dei diritti, ma ridefinendo al meglio il senso dei nostri doveri”. In questa direzione va anche il manifesto dei conservatori inglesi scritto dal leader David Cameron, il quale punta sul tema della cultura della responsabilità, ossia la piena assunzione di doveri come la precondizione per poter allargare la sfera dei diritti individuali. Dunque: “La cultura dell’interesse generale deve ora diventare l’ideologia del nuovo secolo, dobbiamo ripartire con lo spirito degli anni Cinquanta, quando l’Italia si risollevò dalle rovine della guerra. E la cultura dell’interesse generale deve passare per una regolamentazione del conflitto d’interessi ad ogni livello” essendo infatti necessaria una separazione netta fra attività politica e professionale. “Non è vero - conclude Tabacci – che non è possibile far qualcosa di serio anche in Italia. Si può, ma ci vuole coraggio” perché come disse un tempo John Kennedy: “Non chiederti che cosa il paese può fare per te, ma chiediti che cosa tu puoi fare per il paese”. |
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