LA FORMICA ROSSA
Il blog de La formica con un'idea sociale - gruppo studentesco nato in Università Cattolica, sede di Milano
LA FORMICA CON UN'IDEA SOCIALE
La formica con un'idea sociale è un'associazione studentesca di centro – sinistra, area democratica, <che si riconosce nei valori civili e cristiani di democrazia e di libertà e che rispetta i diritti fondamentali dell’uomo espressi nella Costituzione italiana> (tratto dall'articolo 1 del nostro Statuto).
Autonomi e indipendenti, crediamo che alla base di tutto ci debbano essere: confronto, dialogo, tolleranza, rispetto e solidarietà; sosteniamo il partito democratico, appoggiamo la politica dell'Ulivo e siamo fortemente europeisti.
Per tutto ciò che riguarda i temi etici professiamo la libertà di coscienza. Proprio perché crediamo nei valori sopra elencati, non vogliamo seguire una linea comune sulle questioni etiche: a queste proprio non si può estendere la legge della maggioranza. Dunque ognuno sarà libero di esprimere la propria opinione in merito: cercheremo, in questo modo, di rispettare il più possibile le idee altrui e di migliorare attraverso il dialogo, visto non come una perdita di tempo, ma come fonte di arricchimento. Solo così si può dare il giusto valore all'individuo e solo così l'individuo può essere veramente libero.
Come ogni gruppo speriamo di crescere e di migliorare. Per farlo abbiamo bisogno anche di te. Puoi contattarci all'indirizzo laformicademocratica@libero.it
Fare autocritica dopo una sconfitta elettorale è sempre un compito arduo. Cercherò di inanellare qualche riflessione il più chiaramente e brevemente possibile. Le sorprese vere e proprie sono fondamentalmente due: la disfatta della Sinistra Arcobaleno e il trionfo della Lega. Che la Sinistra avrebbe perso voti, questo lo si sapeva, che ne avrebbe persi così tanti (7%!) questo proprio non lo avrei mai immaginato. Dunque Veltroni ha perso, ma la sconfitta sarebbe arrivata in tutti i casi, anche in seguito ad un accordo con i “comunisti”: quella di correre da solo è stata senza ombra di dubbio la scelta migliore. Non credo che Veltroni abbia delle colpe particolari, anzi, penso che meglio di così proprio non avrebbe potuto fare. Soprattutto se pensiamo al fatto che si è trovato a remare contro un’opinione pubblica particolarmente bellicosa nei confronti di un governo ritenuto, a torto o a ragione, fallimentare. Detto ciò, ritengo che il PD abbia principalmente due lacune: 1) manca sicuramente di una identità forte: la candidatura in contemporanea di molti imprenditori e dell’operaio della Thyssen ne è un esempio lapalissiano. Identità che invece la destra ha saputo delineare in maniera chiara e netta. 2) Il PD ha uno spessore ideologico non sufficientemente robusto per le proprie dimensioni: Cacciari è un filosofo stimato, apprezzato e un maestro di vita, ma per quanto imponente nella sua figura non è sufficiente. Veronesi e Ichino sono uomini di valore indiscusso, ma non sono intellettuali (almeno nel senso stretto del termine). Senza un’ampia schiera di intellettuali, di pensatori, di studiosi, un partito non va da nessuna parte. Perfino Mussolini, uomo d’azione senza ombra di dubbio, vantava tra le proprie fila un’ampia schiera di intellettuali, umanisti, filosofi, poeti, scrittori… Più volte mi sono chiesto quale fosse il serbatoio ideologico del PDL. E sono giunto a questa conclusione, che il PDL trovi lo spessore ideologico (escludendo il principio del benessere, incontentestabile) nella Lega. Il partito di Bossi ha saputo delinearsi una identità e imporre un idealismo forte, preludio indispensabile all’attuazione di riforme concrete. Questo è il principale merito del Carroccio. Superare queste due lacune in un futuro prossimo sarà fondamentale per evitare che il PD resti sì un partito forte, ma nello stesso tempo fragile e incompiuto. J.V. |
Un nuotatore serbo vince l’oro nei 50 farfalla, si presenta sul podio con una maglietta pro-Serbia e viene escluso dalle competizioni. A Eindhoven, sede degli europei di nuoto, succede anche questo. Per la serie: quando tre parole possono creare un incidente diplomatico. Soprattutto se le suddette tre parole vengono esibite davanti alle tv di mezzo mondo: Kosovo è Serbia. Con la buona pace di tutti quelli che avevano cercato di tenere la politica lontana dal paradisiaco mondo sportivo. E di chi credeva che lo sport servisse ad abbattere muri, non a crearne di nuovi. Epilogo più che prevedibile: squalifica automatica per azione politica e Serbia che salta su tutte le furie. Credo che ci sia poco da dire in proposito. Il regolamento della Len, la federazione europea di nuoto, stabilisce a caratteri cubitali la squalifica per chiare azioni politiche. Fine della questione. Si dice sempre che gli eventi sportivi non debbano essere boicottati per motivi politici. Che una questione politica non possa e non debba bloccare i sogni di gloria di un atleta. Ed è giusto che sia così. Si dice che lo sport abbia il potere di abbattere muri, di superare ostacoli invalicabili, di trasmettere valori universali a chi lo pratica. Si dice anche che lo sport possa annullare ogni tipo di frontiera. Si dice, e io credo che sia ancora così, nonostante tutto. Ecco perché ritengo che questa squalifica sia giusta. Non per il regolamento in sé. Ma per tutto ciò che lo sport rappresenta. Perché una frase provocatoria rivolta ad una zona calda va contro tutto ciò che il vero sport dovrebbe insegnare. Perché quella frase non era un messaggio-progresso, né un invito al dialogo, né a cercare di migliorare le cose senza l’uso delle armi. Non voleva rendere il mondo migliore, un po’ più bello, un po’ più colorato. Era solo una provocazione, una inopportuna frase politica che nel suo DNA di tre parole aveva la chiara consapevolezza che avrebbe fatto parlare di sé.
J.V. |
Israele sarà l’ospite d’onore alla Fiera del libro di Torino. E fioccano le polemiche. I contrasti con la Palestina e la conseguente politica dura adottata dagli israeliani sono una cicatrice profonda. E gli intellettuali si dividono. Una parte di questi ritiene che tale invito sia non solo fuori luogo, ma anche ingiusto nei confronti dei palestinesi, e vuole boicottare la fiera. Un’altra parte reagisce alle polemiche boicottatrici con una serie di vezzeggiativi quali antisemiti! Nazisti! E via dicendo. Una terza parte ancora, poi, non si allinea preferendo stare a guardare. Ecco cosa penso io a proposito. Tutta quella serie di vezzeggiativi cui facevo riferimento poco prima (nazista, antisemita…) è spropositata e offensiva; per quanto riguarda il nazista, bhe, credo che questo si commenti da solo. La fiera del libro non è una fiera della politica. E ha peso politico limitato. Tuttavia io non avrei invitato Israele da solo. La storia di Israele, anche letteraria, è strettamente legata a quella della Palestina: sarebbe stato più fruttuoso invitare i letterati e gli intellettuali di entrambe le parti, concedendo loro l’opportunità di dialogare e di confrontarsi. Permettendo alla letteratura di superare quegli ostacoli che con gli occhiali della politica sembrano decisamente molto più alti e ingombranti. Nonostante ciò, resta un'ottima occasione per affrontare una questione di interesse mondiale. La fiera del libro è una fiera culturale. Gli intellettuali, ancor meno i letterati, non possono essere responsabili di scelte politiche, non sono uomini d’azione. Tuttavia spetta a loro scegliere se accettare l’invito a queste condizioni - accettando così di rappresentare Israele - o se, considerando Israele uno stato razzista, rifiutarlo (come nel caso di Shatta). L’invito di Israele è assolutamente legittimo, oltre al fatto che fa discutere: tutti parlano della sua condotta politica e non è che lo stato israeliano ne stia traendo una gran pubblicità. Siete convinti che Israele non meriti di essere l’ospite d’onore? Disertate la fiera! Punto e basta.
Mi piace l’idea di creare una fiera del libro alternativa. Limitarsi a condannare Israele è troppo facile. Proporre soluzioni alternative, bhe, questo è decisamente più difficile, ma è anche assolutamente alla portata degli intellettuali “boicottatori”. J. V. |
di Chiara Daina
L’On. Bruno Tabacci è oggi una tra le voci più autorevoli che avvalora questa consapevolezza: “Stiamo vivendo una fase nella quale la natura delle istituzioni è mutata e la politica, da protagonista assoluto, è diventata interlocutore modesto. Se la cosiddetta Prima Repubblica è morta per troppa politica, la Seconda sta morendo per troppo poca politica”, così rilascia nell’intervista a cura di Sergio Rizzo (“Bruno Tabacci – intervista su Politica e Affari”, Laterza, 2007). Un dilagante sentimento di antipolitica la cui responsabilità ricade tra le altre cose anche sul bipolarismo. Il sistema bipolare non garantisce governabilità al nostro Paese perché se da una parte mette insieme per vincere, dall’altra fa sorgere minuscole formazioni che giocano sul ricatto. E di qui l’esigenza di una riforma elettorale che sia veramente in grado di rispettare i valori della nostra Costituzione, come la rappresentanza istituzionale proporzionale al consenso elettorale, introducendo una soglia di sbarramento al 5% per evitare un eccesso di frazionismo, e la reintroduzione del voto di preferenza (che sottrarrebbe la scelta dei parlamentari dal volere dei capi-partito per legarla invece nuovamente al territorio) e della sfiducia costruttiva. Ciò permetterebbe di rispettare quello che è il reale spirito del popolo italiano, da sempre attraversato da diversi schieramenti (la sinistra radicale, i postcomunisti che hanno sposato il riformismo, l’area moderata di ispirazione cattolica e laica e infine la destra populista) che lo hanno reso eterogeneo, più ricco e irriducibile a due grandi coalizioni omogeneizzanti. Solo in questo modo è possibile recuperare sia la partecipazione alla vita politica sia una politica di qualità, fatta cioè di grandi ideali capaci di trovare punti di convergenza attraverso più alti momenti di mediazione. “Il drammatico abbassamento della qualità del personale politico ha portato con sé la ricerca di una scorciatoia nel liberismo, con la conseguenza dell’affermazione di oligarchie sganciate da qualsiasi consenso democratico, che era invece tipico dei partiti popolari. E la conseguenza inevitabile è stata la selezione verso il basso della classe dirigente. Per cui si è selezionati se si è in grado di garantire un pezzo del sistema del leader di riferimento, non certo se si vuole rappresentare la difesa degli interessi generali”. Il liberismo sembra dunque essere inteso come degenerazione di un più costruttivo liberalismo che realmente è in grado di far crescere l’economia della nostra società. In questi ultimi anni si è infatti puntato molto sulle privatizzazioni creando le condizioni per cui lo Stato non è più imprenditore ma nemmeno regolatore. L’aver tralasciato questo importante particolare di fatto ha implicato “il cambio dei rapporti di potere, con la politica del tutto a rimorchio” e il risultato è che chi ha pagato veramente sono stati i consumatori. In un capitalismo senza capitali, infatti, sono soprattutto le banche che hanno tirato fuori i soldi e che hanno pilotato tutte le operazioni più grosse, ottenendo perciò incredibile potere. Tabacci giudica inoltre apprezzabili ed accettabili le idee espresse da Guido Rossi nel suo ultimo volume da titolo “Mercato d’azzardo”, in cui il giurista milanese rivendica il ruolo salvifico del diritto nei confronti sia del capitalismo che della politica, affinché nessuno dei due abdichi ai suoi compiti di indirizzo. E’ evidente però che se la politica rispondesse alla perdita di sovranità con una frenesia normativa commetterebbe una latro errore: occorrono poche leggi, meglio se drastiche. Secondo Tabacci, questo vuol dire che se il mercato deve essere lascito libero di determinarsi in base ai suoi sviluppi interni, le sue regole e i suoi scopi, la mano pubblica deve parallelamente intervenire in modo che non si crei mai un gioco a somma zero e i danni e i vantaggi si inscrivano sempre all’interno di un contesto e di passaggi assolutamente trasparenti. Con incisive espressioni Tabacci ci presenta il difficile, nonché a volte contraddittorio rapporto tra politica ed economia, due grandi titani che lottano l’uno nel tentativo di fagocitare l’altro. Ma sarebbe fuorviante vedere la politica e l’economia semplicemente destinate ad un insolubile conflitto. Bisogna piuttosto saper restituire all’agire politico il suo senso più autentico: un agire che non ignori o al contrario soffochi la molteplicità delle attività economiche, ma che le coordini nel rispetto dell’interesse di tutti i cittadini. Vale forse la pena qui di ricordare che lo stesso etimo del termine, come inter-esse, e cioè “essere tra” o “prendere parte”, richiede legittimamente uno spazio unitario in cui i vari interessi sociali ed economici si possano porre, data la loro incapacità di valere come realtà oggettive in modo autosufficiente – se ciascuno infatti si pone come totalmente indifferente nei confronti degli altri allora è inevitabile che impedisca all’altro di realizzarsi compitamente. Solo nella politica concepita come costante e difficile ricerca di equilibrio si può dire che vi sia la possibilità che rinasca la questione della giustizia, che oggi troppo spesso viene associata a processi macchinosi, logoranti ed assai costosi, e che sicuramente si colloca al di fuori degli ambiti di governo. Ma la risposta all’urgente bisogno di una seria e stabilizzante progettualità politica deve ancor di più essere ricercata a livello europeo: i parametri di Maastricht e la Strategia di Lisbona ci indirizzano a comportamenti virtuosi in grado di ricondurre le diverse corporazioni all’interesse generale. L’Europa per Tabacci deve diventare l’orizzonte privilegiato entro cui orientare le prospettive politiche, economiche, sociali ed ambientali dei singoli governi nazionali, così che presto si giunga ad un federalismo europeo capace di lasciarsi alle spalle obsoleti campanilismi e sciovinismi davvero inadeguati alla sempre maggiore interdipendenza globale ormai raggiunta in tutti i settori, che richiede programmi incrociati e continui riconoscimenti reciproci, essenziali per dare vita ad un unico spazio politico. La ricostruzione morale profonda di cui l’Italia ha bisogno non va certamente trovata, ricorda Tabacci, “mettendo insieme l’elenco dei diritti, ma ridefinendo al meglio il senso dei nostri doveri”. In questa direzione va anche il manifesto dei conservatori inglesi scritto dal leader David Cameron, il quale punta sul tema della cultura della responsabilità, ossia la piena assunzione di doveri come la precondizione per poter allargare la sfera dei diritti individuali. Dunque: “La cultura dell’interesse generale deve ora diventare l’ideologia del nuovo secolo, dobbiamo ripartire con lo spirito degli anni Cinquanta, quando l’Italia si risollevò dalle rovine della guerra. E la cultura dell’interesse generale deve passare per una regolamentazione del conflitto d’interessi ad ogni livello” essendo infatti necessaria una separazione netta fra attività politica e professionale. “Non è vero - conclude Tabacci – che non è possibile far qualcosa di serio anche in Italia. Si può, ma ci vuole coraggio” perché come disse un tempo John Kennedy: “Non chiederti che cosa il paese può fare per te, ma chiediti che cosa tu puoi fare per il paese”. |
Post n°35 pubblicato il 25 Gennaio 2008 da la_formica_rossa
di Gloria Zarantonello Seguo la caduta del governo leggendo Repubblica.it e tramite la stampa estera. Quello che mi ha stupito sono stati gli insulti che Cusumano ha ricevuto, "Pezzo di merda, traditore, cornuto, frocio". |
di Gloria Zarantonello Nel pieno della campagna presidenziale, non mi sono sottratta dal parlare di politica con l'uomo della strada, la gente comune, per capire cosa pensano dei candidati alla Casa Bianca. Manca poco... |
Post n°33 pubblicato il 07 Dicembre 2007 da la_formica_rossa
Dall’assurdo, al surreale all’onirico. La prima puntata di Artù è stata soprattutto questo. Un programma geniale che poteva sembrare messo lì per caso. Una scheggia impazzita. Insomma, fai un po’ di zapping e trovi il nulla. Poi continui a girare e ti ritrovi davanti questa cosa buffa che non sapresti come definire. Una stanza da Tribuna politica che sembra odorare di nuovo, un conduttore d’eccellenza, invitati illustri messi in imbarazzo da domande apparentemente fuori dal mondo e una frase a troneggiare su tutto, affilata come la spada di Damocle: Ma una bella dittatura no? Poi guardi i candidati al ruolo di uomo forte, leggi i loro nomi – da Celentano a Maria de Filippi passando per Lotito, Cesare Ragazzi e Materazzi – e capisci che quella è satira intelligente e anche un po’ folle. Proprio come una degli inviati, la versione brutta della Brambilla, che ipotizza anche le primarie per il nome del programma; due le opzioni possibili: Artù e Artú. E allora capisci che questo è un programma anche un po’ coraggioso e metti una dietro l’altra delle riflessioni che lo fanno sembrare un po’ meno onirico. Perché da qualche parte là fuori c’è davvero chi sta pensando a delle primarie. Ma una bella dittatura no? Una domanda provocatoria a un Paese che nelle ultime due settimane sembra aver smarrito la bussola, finito com’è in quel tritacarne che lo potrebbe far precipitare verso un futuro migliore. J.V. |
I Savoia hanno chiesto allo stato un indennizzo di 260 milioni di euro per danni morali dovuti all’esilio. Insomma, la cosa è un po’ più complessa, ma questo è il sunto della notizia esplosa su tutti i giornali. E dal momento che tutti dicono la propria opinione, ne approfitterò per fare lo stesso. Credo che non sia compito mio dire se questa richiesta sia giusta o sbagliata. Semplicemente mi sono chiesto il motivo di una simile pretesa. D’accordo sul fatto che 260 milioni siano sempre 260 milioni. Tesi, questa, per altro non avvalorata dalla presunta notizia (vera?) che i Savoia vogliano dare tutti i soldi in beneficenza. Io credo che loro non abbiano sollevato un simile polverone per il denaro in sé. Io credo che stiano tentando di riabilitarsi agli occhi della storia, forti del precedente in Grecia – dove i regnanti hanno vinto una causa simile –. Ma ogni paese ha i suoi usi, i suoi costumi e soprattutto la sua storia, per cui non è detto che vincano. Il punto è: chi dice che dopo aver sbancato lo stato non ne approfittino per posare i loro piedi regali sul tappeto della politica italiana? Che tale sbarco a Palazzo possa essere giusto o sbagliato, questa poi, è un’altra storia. J.V. |
Questa storia mette i brividi. In genere, non sono d'accordo alla regolazione di internet perchè credo si tradurrebbe in controllo e riduzione della libertà di pensiero. Tuttavia questa vicenda, questo dramma personale, fa riflettere. Molto. |
di Gloria Zarantonello I primi giorni che mi trovavo qui a Los Angeles guardavo con gli occhi sognanti e eccitati quello che mi stava attorno. Le case, i giardini, le strade. Le palme, le salite, l'oceano, la spiaggia. I negozi, le persone. |
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