Creato da: schoening il 16/04/2008
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Helga 02. Le due fragole »

Helga 01. Il giardino e la birra

Post n°1 pubblicato il 16 Aprile 2008 da schoening

Cara amica,
allora ti regalo questo mio ricordo. A quel tempo avevo poco più della tua età, ventisei anni. Nel mio giro di conoscenze, amici degli amici, c’era una signora di quasi quarant’anni, sposata ma senza figli, il marito architetto, lei non so di che cosa si occupasse. Me l’aveva fatta conoscere una mia amica (amica e basta), ma non c’era mai stata un vera e propria frequentazione.
Le poche volte che l’avevo vista, anche a casa sua, lei era sempre elegante. Io no, io ero piuttosto trasandato. Elegante ma non appariscente. Portava vestiti sobri che era piacevole guardare. Era bella soprattutto perchè curata, moderatamente bella, bionda e un po’ lentiginosa, capelli corti, seno piccolo.
Il fatto è accaduto in una serata di giugno. La mia amica era stata invitata a una festa in una casa in campagna proprio da questa signora. Che si chiamava Helga. Sì, era tedesca e il fatto è accaduto a Monaco, dove mi trovavo per motivi di lavoro. Una festa allora, fuori città, in una casa con un cortile, anzi più di un cortile, e anche un grande giardino e orto. Una festa in cui si mangia qualcosa, si chiacchiera, si ascolta musica, qualcuno balla, si fuma e si beve. Io non avevo ballato, non lo faccio mai, e a parte la mia amica italiana, Franca, una collega, non conoscevo quasi nessuno. C’era un paio di ragazze che mi piacevano. Di una se mi avvicinavo, si vedeva un po’ il seno, perchè ballava tanto e sudava e la camicia ogni tanto era un po’ slacciata. Ma a parte questo piccolo piacere, stavo bene, ma niente di più.
Così verso quasi mezzanotte vado in cortile. C’era già altra gente. Mi appoggio alla colonna di una specie di porticato. Mi metto a fumare. Ma non finisco la sigaretta che sento la voce di Helga: “Ecco il nostro fumatore solitario”. Mi chiede di fumare una sigaretta insieme a me e si appoggia anche lei a quella colonna. Era molto vicina a me. Si mette a parlare quasi da sola, io ogni tanto le rispondevo per gentilezza, perchè non capivo tutto. Però capivo che a ogni suo movimento - sai, non è comodo stare appoggiati a una colonna -, a ogni suo aggiustamento per cercare un posizione meno scomoda mi sembrava che si avvicinasse sempre di più. E così iniziai a sentire la sua spalla addosso alla mia e più ancora il suo profumo. Un profumo di signora. Un profumo di donna.
Allora venne spontaneo anche a me rendere quel contatto spalla-spalla più intenso, e mi accorsi che lei con impercettibili movimenti pure lo cercava quel semplice contatto. Semplice ma sensibile e tanto sensibile che il mio pene si ingrossò un poco.
Ma non sapevo proprio come fare. Non lontano da noi c’era gente che parlava. Non ci vedevano bene, è vero, perchè c’era poca luce e anche perchè eravamo un po’ di lato. Ma se mi fosse venuto in mente di baciarla... no, non si poteva. E poi lei parlava come se niente fosse e io per gentilezza dovevo concentrarmi su quello che diceva e cercare di partecipare alla conversazione.
Poi mi chiede un’altra sigaretta. Prendo il pacchetto dalla tasca dei calzoni e lei non può che guardare lì. Me lo vede duro e gonfio. Mi guarda in faccia. Sorride. Sorrido anch’io, imbarazzato ma contento perchè almeno aveva capito qualcosa.
Con un gesto assolutamente normale, per nulla malizioso, porta la sua mano sul mio pene che dentro i calzoni si induriva sempre più. E chiede: “Posso accarezzarlo?”. E certo che poteva. Non ci potevano vedere, ho visto che anche lei aveva controllato, e si sentiva libera di provocarmi, di giocare, dolcemente, come si accarezza la testa di un gattino, e intanto mi guardava e mi sorrideva. E con l’altra mano fumava. Mi buttava anche il fumo addosso. Non era la mia ragazza, non era la mia amante, non era una donna che paghi. Era una signora che voleva giocare e che si divertiva.
Poi io le dico che quasi quasi stavo per venire. E lei: “No, no. Così ti sporchi”. E smette. Si appoggia di nuovo alla colonna. Io rimango fermo e imbranato. Lei spegne a terra la sigaretta e con una faccia diventata stranamente seria mi dice: “Lo vedi quell’albero? Vai lì, io vado a prendere da bere e ti raggiungo”.
Faccio come mi dice. Però ho paura che si tratti di uno scherzo. E perchè deve prendere da bere? Allora mi avvicino come se niente fosse all’albero, ma stando attento a che cosa sarebbe potuto succedere. L’idea dello scherzo mi paralizzava un po’, ma l’eccitazione provata mi rendeva anche sempre più incosciente. Confuso? Incredulo.
Finché non la vedo col suo passo elegante e in qualche modo frettoloso, forse eccitato, che porta due bottiglie di birra.
Me ne offre una e beviamo un sorso. Senza dire niente. Mi prende per mano e mi porta in una zona ancora più buia. Mi fa appoggiare a un albero. Si abbassa come per fare la pipì, invece appoggia la sua bottiglia a terra e senza pensarci mi slaccia i calzoni, tira giù la cerniera, insomma mi tira fuori tutto il cazzo sudato e anche i testicoli e poi con un fazzoletto inzuppato di birra fredda me lo pulisce e rinfresca. E lì inizia a imboccare un pompino che nella vita ti capita due tre volte. Una lingua che si spostava dappertutto, le labbra che bagnavano dappertutto. Poi beve un sorso e trattiene in bocca un po’ di birra ancora freddissima e riprende tutto il pene nella bocca, un pene che invece si scaldava e che in quella bocca fresca sentiva sensazioni mai sentite prima.
Cara amica, è inutile che insista sui particolari. Un po’ perchè non posso ricordare tutto (ricordo solo quel misto di saliva e di birra, di labbra e di lingua, che con una dolce lentezza mi provocavano e trattenevano il piacere) e un po’ perchè anche tu, come mi hai detto al telefono, sei una artista del pompino. E sai che cosa mi piace di più del sesso orale? Non tanto sapere che la potenza del mio cazzo è tutta dentro la bocca di una donna, ma avvertire che è quella bocca che sta gustando la mia carne, il mio odore, il sapore strano che si nasconde fra le cosce, come quando si mangia golosamente un frutto succoso.
Però ricordo come Helga completò quella sua follia. L’avvisai che stavo per venire, e allora imboccò del tutto il pene e raccolse così, mentre io trattenevo un urlo, tutto lo sperma che mi uscì. Ma non lo ingoiò. Con la punta della lingua prese anche quel po’ che mi era rimasto addosso, poi bevve un altro sorso di birra, si alzò in piedi, si avvicinò - ricordo il suo rossetto tutto sbavato - e mi baciò. Un bacio prima tremendo nel sapore, poi sempre più dolciastro e poi dolce, sempre più nostro, solo mio e suo, io e lei che ci scambiavamo una cosa dal sapore mai provato.
C’era ancora birra nelle nostre bottiglie, più nella mia. La bevemmo tutta ancora in piedi uno accanto all’altra. Senza dire niente.
Poi lei prese la borsetta e mi chiese aiuto per rimettersi a posto. Se fosse rientrata così tutti avrebbero capito, anche se aveva due guance rosse che dicevano tutto. Così aspettammo ancora un poco. Lei raccolse non ricordo più quale frutto in quel giardino. “Questa è la mia scusa”, disse. L’altra cosa che mi disse, prima di lasciarmi lì da solo senza seguirla fu questa: “Luc, fa come se non fosse successo niente. Non ho mai nemmeno sognato di fare una cosa del genere. Non cercarmi, non telefonarmi”. E con gli stessi passi tremolanti se ne tornò dentro. Quando rientrai io, lei non c’era più.

Per fortuna dopo una settimana mi telefonò lei, ma il seguito te lo racconto un’altra volta.

Ciao boccuccia.
Luc

 
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