Creato da: schoening il 16/04/2008
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Helga 02. Le due fragole

Post n°2 pubblicato il 16 Aprile 2008 da schoening

Helga mi aveva chiesto di non telefonare e di non cercarla. In effetti io non avevo il suo numero, ma avrei potuto facilmente procurarmelo. Insomma, ero stato alla promessa fatta.
Dopo una settimana mi suonano alla porta (io abitavo con un tipo del posto, che per fortuna non era in casa). Apro e c’è Helga con Franca. Le faccio entrare. Beviamo qualcosa insieme. Sono state quasi un’ora quelle due, un’ora per me di ansia e di attesa. Perchè era ritornata? E perchè non era venuta da sola? Conoscendo l’amica, escludevo cose a tre. Ero confuso. Però mi dicevo di aspettare. La guardavo cercando di intuire qualcosa. Niente. Stavolta indossava dei jeans e una camicia rosa, era sportiva, e che cosa poteva voler dire?
Dopo un’ora, lo sconforto. Vanno via. Tutte e due. Ciao ciao, ci vediamo, eccetera.
Chiudo la porta e mi butto a letto. E vabbè, mi dico, che vuoi di più? Il paradiso l’hai provato, ora un po’ di purgatorio.
Così pensavo, pensavo al purgatorio, e non sapevo che quell’angelo-diavoletto di Helga stava risalendo le scale. Suonano di nuovo alla mia porta. Apro. E’ lei. Da sola. Sorrideva che sembrava il sole a mezzogiorno e mi porge un paniere con delle fragole.
“Ehi - mi dice -, va’ a lavarle e mettile in un bel piatto. E togli bene tutte le foglie e i gambetti”.
Prendo le fragole e vado in cucina. Obbedisco, anche se non so bene che cosa stia succedendo. Lei intanto va in bagno e ci sta per un quarto d’ora. Poi apre la porta e mi chiede dove mi trovo.
“Qui nella mia stanza”, le grido.
“Prendi le fragole, arrivo!”.
Le fragole erano già lì, sulla mia moquette, dove c’erano anche dei grandi cuscini (si usava stare seduti per terra, mica avevo il divano).
Le fragole erano lì. Anche io. Lei apre la porta. Vedo che non ha più i jeans né le calze ma un grande asciugamano messo a mo’ di gonna. Sopra indossava ancora la camicia. Ci guardiamo. Lei sorride ancora. Ironica, divertita, invitante. Poi lascia cadere l’asciugamano mostrandomi le gambe nude e il pube biondo, poco depilato, i peli lunghi e sottili.
“Hai da pagare un debito, lo sai? Stavolta tocca a te”. E poi: “Ma non spogliarti. Non voglio la penetrazione. Non voglio tradire mio marito”. E poi ancora: “Tu non devi dire nulla. Devi fare solo quello che ti dico io”.
Feci sì con la testa.
Lei stese l’asciugamano a terra, ci mise sopra due cuscini o tre, poi si sedette lì sopra aprendo le gambe come un fiore a primavera. Un altro cuscino lo usò per la testa.
“Bravo Luc. Guardami quanto vuoi. E prendi due fragole, una grossa e mettimela nella fica. Una più piccola e falla stare nell’altro buco. Fermati poi ad ammirare come il rosso delle fragole si addice al biondo dei miei peli e al rosa della mia carne”. Io mi misi ad eseguire. Metterle le fragole nella fica e nell’ano era quasi come penetrarla. Cara amica, c’era da tremare dal piacere. Mi fece stare lì fermo a guardare per molti minuti. E intanto le due fragole le vedevo ansimare, come se la fica e il culo le succhiassero dentro di sé e poi adagio le pompavano fuori.
Finalmente mi fece giocare come già immaginavo. Dovevo mangiare le fragole direttamente da lì, e quindi leccare. E poi altre due fragole, e poi altre ancora. Ad ogni cambio le mie leccate aumentavano. Dalla fica fino all’ano, dall’ano alla fica, su e giù, e poi dentro la fica e dentro l’ano. Era la prima volta che leccavo il buco del culetto di una donna e non pensavo che fosse così saporito. E dalla fica all’ano lei era un laghetto di miele.
Poi lei si girò, si mise a pecora, come dici tu, e così fu inevitabile affondare la bocca e la lingua fra le sue natiche. Per tutto il tempo, ovviamente, lei scalciava e sbuffava di piacere, gridava mordendo il cuscino, agitava le braccia. Le mia lingua dentro quel buco rosa e a spirale era come un solletico irresistibile.
Poi con un braccio mi prende i capelli, che ai tempi portavo un po’ lunghi, e me li tira fino a farmi male. Mi prende tutta la testa, si rigira e vuole che le lecchi solo la fica.
“Ma lentamente, lentamente, come un gelato” mi dice, sempre tenendo e stringendomi i capelli, “lentamente e solo sul punto che sai bene”. Il suo clito era come un minuscolo pene, pensai.
La lingua mi faceva già male, ma non dovetti leccare a lungo. Quando venne alzò il busto e con i denti mi azzannò la spalla.
La abbracciai. Ci abbracciamo. Un lungo e amoroso bacio in bocca, morbido, acquoso, sinceramente affettuoso.
Io ero ancora tutto vestito. La sua camicia era sudata e spiegazzata. “Poi mi presti qualcosa tu, spero”.
Ma a me non interessava la sua camicia. La guardavo, penso, implorandola. E lei sai che cosa mi disse? Questo: “Se vuoi masturbarti va’ in bagno, io voglio stare qualche minuto da sola”.
Ci andai in bagno ma non riuscì più ad avere un’erezione decente. Non si può bere l’acqua minerale dopo aver avuto per una buona oretta lo champagne sotto il naso. Lasciai perdere. Mi lavai le mani e la faccia. Avevo bisogno di fresco su di me. Poi ritornai nella mia stanza e cercai una maglietta che potesse starle bene. Ne trovammo un paio.
“Vado a provarle. I miei calzoni sono ancora in bagno, vero?”.
“Sì”.
“Ti sei fatto?”
“No. Ma non preoccuparti”.
Si rivestì nel bagno. Si fece anche una doccia e passò quasi una mezzora. Non c’era più nemmeno una fragola. Andai in cucina a bere una birra.
“Attento alla birra”, mi disse lei entrando già vestita. Notai che non le avevo ancora visto i seni.
“Preferisci la birra o le fragole”, mi venne da chiedere.
“Zitto - mi disse seria -, e ricorda che io oggi sono stata in giro tutto il tempo con la tua amica italiana”.
“Le hai detto di noi?”
“No, non l’ho detto a nessuno. Neanche a me stessa”.
E se ne andò via come se fosse venuta solo a mangiare le fragole o a bere il the.

Ciao, linguetta mia. Ci fu anche un seguito, per mia fortuna. Ma ora penso che anche tu voglia riposarti un po’.

Pensami.
Luc

 
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