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Post N° 273

Post n°273 pubblicato il 20 Settembre 2006 da quotidiana_mente

Il primo colpo di cannone contro le mura di Roma viene sparato dall’artiglieria italiana alle 5 e un quarto del mattina di quel 20 settembre 1870 con cannonate eseguite con pezzi da nove. All’interno della città la reazione è all’insegna dell’imprevisto, come appare nelle dichiarazioni che farà il suddito pontificio Luigi Palomba: “Roma è destata dal rimbombo del cannone. Balzo sul letto, tendo l’orecchio, pochi secondi e un altro colpo, poi un altro. Mi caccio giù e corro alla finestra; un aprire d’imposte, uno sbatacchiare di persiane ovunque; da ogni finestra s’affacciano teste canute, ragazzi cogli occhi appiccicati, cuffie da notte in disordine. Le strade solitarie perlustrate da gendarmi e zampetti. Qualcuno tenta di uscire di casa ed è respinto brutalmente. Passano così due ore, e il rombo incessante, crescente delle cannonate ci avvisa che Roma è un cerchio di fuoco”.
Edmondo De Amicis, in veste di giornalista è a fianco agli artiglieri sulla via Nomentana e con loro avanza verso Porta Pia, che si distingue da lontano in fondo alla strada dritta. Si vedono “le materasse legate al muro dai pontefici, e già per metà arse dai nostri fuochi” e così pure “le colonne della Porta, le statue, i sacchi di terra ammonticchiati sulla barricata costrutta dinanzi”. Due pezzi dell’artiglieria seguitano a tirare contro la porta e il muro “a poche centinaia di metri dalla barricata… Ad ogni colpo un pezzo del muro o della porta viene giù”.
Quando la breccia vicina alla porta è aperta fino a terra, il bombardamento termina, e sono passate cinque ore. De Amicis segnala che “la porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine enorme della Madonna, che le sorge dietro, era rimasta intatta; le statue a destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era sparso di mucchi di terra, di materasse fumanti, di berretti di zuavi, d’armi, di travi, di sassi”. E i soldati del 40° fanteria si lanciano all’assalto.
Secondo una testimonianza dello zuavo pontificio Patrick Keyes O’Clery “la breccia era difesa dalla quarta compagnia del secondo battaglione degli zuavi e da due distaccamenti del primo battaglione, i quali, in piedi sulle macerie, rifiutando di porsi al riparo, scaricarono un fitto fuoco di fucileria sulle truppe che avanzavano compatte verso di loro. Molti italiani caddero, tra i quali un maggiore dei bersaglieri (Pagliari) e due ufficiali. La colonna esitò e cominciò ad arretrare, ma quindici zuavi caddero feriti o morti sulla breccia nel corso della sparatoria che durò solo pochi minuti”. Gli assalitori “tornarono alla carica. In quel momento un ufficiale dello stato maggiore, inviato dal Maggiore De Troussures da porta Pia, giunse sulla breccia portando una bandiera bianca. Il fuoco cessò e il tenente degli zuavi Mauduit espose la bandiera bianca sulla breccia. Erano le dieci e dieci”.
Insieme al maggiore Pagliari al passaggio della breccia muore il tenente Augusto Valenziani, romano, volontario dei bersaglieri, che sperava di riabbracciare di lì a poche ore la vecchia madre. Invece il primo che supera la breccia è il sottotenente Federico Cocito, al quale verrà data la medaglia d’argento al valor militare proprio per “essere stato il primo a superare il ciglio della breccia, mostrando sempre esemplare e splendido coraggio”. Una volta entrati, per i soldati e i giornalisti è una festa, che rischia di essere poco credibile per chi non è presente; e lo riconosce lo stesso De Amicis quando scrive che “l’accoglienza fatta da Roma all’esercito italiano è stata degna di Roma; degna della capitale d’Italia; degna di una grande città sovranamente patriottica. Tutto ha superato non solo l’aspettazione, ma l’immaginazione. Bisogna aver veduto per credere. Dubiterete della mia sincerità, lo prevedo; né debbo spender parole per prevenirvi, perché è troppo naturale; capisco che non posso aspirare ad essere creduto. Eppure sento che non vi darò che una pallida immagine della realtà! Sono cose che non si possono scrivere”.
Una conferma dell’accoglienza festosa riservata ai soldati italiani viene dal suddito del pontificio Nicola Roncalli, che segnala come i soldati italiani vengano accolti con grida entusiastiche a piazza Colonna. In ogni caso Roma è italiana; non c’è più difesa da parte dei pontifici. Alle 14 i generali Cadorna e Kanzler firmano a Villa Albani la capitolazione della città; il giorno dopo il Cadorna, su esplicita richiesta del papa, occupa anche la Città Leonina, tranne il Vaticano.
Porta Pia resta il simbolo di quella giornata, e come tale sarà ricordata. Il punto della breccia è nel tratto di mura del corso d’Italia, a centro metri dalla porta; lo segnala una cortina di marmo posta nel 1920 sul muro ricostruito, con un’epigrafe di Giovanni Bovio, fronteggiato dalla Colonna della Vittoria, eretta nel 1895.

 

Claudio Rendina, Storie della città di Roma, Newton & Compton Editori

 



 
 
 
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