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Vita di ufficio... ma quella è un'altra storia...

 

 

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Fuori dalla finestra

Post n°481 pubblicato il 20 Gennaio 2009 da quotidiana_mente
 





Ho delle strane abitudini, ne sono perfettamente cosciente.

Una mattina mi sono svegliata per via di un gran trambusto: stavano “diboscando” il terreno di nessuno proprio sotto la finestra della mia camera da letto. Sono stata per un attimo a pensare a cosa volessero fare su quel terreno. Era sempre stato incolto, una macchia di verde con alberi, cespugli e l’erba che cresceva in modo davvero anarchico: un piacere per gli occhi. Ogni tanto qualcuno si addentrava in quella selva per passeggiare con il cane. Ho anche visto, dalla finestra, qualcuna cercare qualche erba (cicoria?). Quella mattina stavano riportando il terreno incolto a qualcos’altro. Non avevo idea di cosa potesse diventare; era esteso, sì, ma non più di tanto. Era un mistero.

Qualche mattina dopo, mi sono svegliata per via di un rumore di ferraglia. Stavano innalzando una specie di palco sul terreno che era stato asfaltato giorni prima. Cosa stava per diventare quel terreno? Una sera, o un pomeriggio, comunque un giorno estivo, sono andata a leggere il cartello che era apparso, anche lui di mattina. Parcheggio provvisorio. Ecco, stavano costruendo un parcheggio. La parola “provvisorio” mi dava, chissà perché, un senso di definitivo. Sarà per via della mia scarsa fiducia nella memoria dei burocrati?

Nel frattempo, un po’ più distante lungo la via principale, stavano costruendo un parcheggio che doveva essere definitivo. Ogni tanto, come fanno le persone anziane, andavo a controllare l’andamento dei lavori. Passavo di lì con la massima nonchalance e mi fermavo per un attimo a controllare il proseguimento. Lavoravano così alacremente che Puzzola pensò bene di comprare un box proprio in quel parcheggio in costruzione. Quando in ufficio mi portò la fattura relativa all’anticipo versato, ebbi un sussulto e chiesi l’importo totale di quell’”affare”. Con quei soldi avrei potuto comprare una casetta decorosa fuori città, forse molto fuori, ma una casetta, non un volgarissimo box per parcheggiare una volgarissima macchina. Ma Puzzola ha i soldi e sosteneva che era un investimento per il futuro, ed io sono rimasta a bocca aperta, e ancora lo sono a pensare alla cifra finale. Sono i prezzi di città, mi rispondeva Puzzola. Saranno, pensavo io, però…

I lavori proseguivano, sotto casa c’era sempre il parcheggio provvisorio fatto di lamiere, le quali iniziavano a fare sempre più rumore. Ogni tanto appariva qualche cartellone politico a sostenere che quel parcheggio doveva sparire e al suo posto doveva sorgere una palestra (comunale) oppure un giardino pubblico, oppure un giardino dedicato ai bambini (che mi sembrava un po’ ripetitivo), oppure un asilo nido (comunale) oppure… Secondo me, poteva benissimo sorgere un asilo nido con intorno un giardino pubblico e forse anche una palestra, non mi sembrava il caso di fare un manifesto ogni volta che veniva un’idea diversa al politico di turno. Gli anni passavano e tutto rimaneva immutato. I miei dubbi sulla provvisorietà si facevano sempre più solidi.

Continuavo a scattare foto di tramonti mozzafiato, dal balcone della cucina, storcendo il naso ogni volta che il mio sguardo andava al parcheggio provvisorio.

Il parcheggio definitivo era finito. Ora aspettavo solo che sparisse il parcheggio provvisorio. Niente, tutto rimaneva com’era, tranne le richieste dei vari partiti politici, che essendo ormai all’opposizione chiedevano che il parcheggio da provvisorio diventasse definitivo per venire incontro alle esigenze dei cittadini del quartiere. Ed io protestavo: sono anch’io cittadina del quartiere e non voglio un parcheggio sotto casa, in quella meravigliosa terra di nessuno che, ormai, non c’era più, ma che era ancora una macchia di verde. Chiedevo anche dove fossero andate a finire tutte le buone intenzioni relative al giardino pubblico, all’asilo nido e persino alla palestra? Niente. Ormai, sembrava tutto dimenticato. Mi chiedevo, e chiedevo, che senso aveva di voler mantenere un parcheggio fatto di lamiere ormai rumorose per, forse, tornare a vincere le elezioni negli anni futuri? Mi sembrava una politica cieca. Sembrava a me, ovviamente.

Passò un po’ di tempo, il parcheggio provvisorio  non era più un parcheggio, era un niente, una “scultura” moderna lasciata lì ad arrugginire sotto il sole.

Una mattina mi sono svegliata per via del trambusto sotto la finestra della camera da letto: stavano smontando il parcheggio provvisorio. Sotto un sole cocente, due signori in canottiere e senza casco, stavano lì a smontare lamiera per lamiera. Controllavo l’andamento dei lavori dalla finestra della camera da letto e quando mi annoiavo mi trasferivo sul balcone della cucina a monitorare il tutto, scuotendo la testa perché non mi sembravano, quei due signori, protetti adeguatamente contro gli infortuni, ma faceva caldo. E' vero.

Il parcheggio è diventato un parcheggio piccolo piccolo senza piani, quasi senza auto. Non capivo il perché dell’assenza delle macchine, visto che erano po’ ovunque tranne che nel parcheggio piccolo piccolo con del verde intorno. Una mattina controllando meglio, ho notato una figura che faceva i cento passi: su e giù e ho capito. E’ a pagamento, parcheggio comunale ma a pagamento. Con la pace, credo, di tutte le fazioni politiche del municipio: un po’ di verde c’è e c’è anche il parcheggio.

La mattina non riesco a non dare un’occhiata a quel parcheggio e ogni mattina mi sorprende la figura che fa i cento passi: sempre lì, su e giù per il miniscolo spazio. Era lì il 24 dicembre, era lì il giorno di Natale, era lì anche il 26, il 1° gennaio e questa mattina. Sta sempre lì. Forse non è sempre la stessa persona, non saprei, ma non riesco a non pensare alla noia che deve essere fare i cento passi in uno spazio così ridotto. A volte, verrebbe voglia di scendere e di portargli un caffè, una bibita, forse anche un panino. Oppure regalargli un computer con collegamento ad Internet nella speranza che apra un blog e descriva quello che vede lui dal suo rettangolo guardando le finestre dei palazzi.

Osservo i suoi cento passi ed è difficile non immedesimarsi in quella figura ed una terribile angoscia mi prende. Poi, penso che sia un lavoro anche quello e forse nemmeno dei peggiori, che almeno è all’aria aperta e che fa un bel po’ di moto… anche se sono sempre cento passi avanti e dietro in un rettangolo.

Devo smettere di guardare quanto avviene sotto alle mie finestre. Non è una buona abitudine. Ci sarebbe anche il vizio di controllare la lavatrice sull’attico laterale, ma quella è un’altra storia.

 




 
 
 
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