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Vita di ufficio... ma quella è un'altra storia...

 

 

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Post n°502 pubblicato il 14 Aprile 2009 da quotidiana_mente
 






Era una qualsiasi giornata di aprile. Ad essere pignoli, era una qualsiasi notte di un qualsiasi mese di aprile. Una donna si era distesa sul letto, il marito era andato a chiamare la levatrice. La notte non era né profumata, né diversa da tante altre. Lei era stanca e stava per partorire.

Quella donna era mia madre. Mancavano due mesi perché lei diventasse una ventenne. Lei stava per partorire e io stavo per nascere.

La nascita, in fondo, è il momento in cui si fa l’ingresso in questa realtà, si è parte integrante del cast di quel film, ma non rimane traccia nella memoria personale. Mi hanno raccontato, così tante volte, la mia nascita che più che una delle protagoniste del film, mi è sempre sembrato di essere una spettatrice, seduta in prima fila a godermi lo spettacolo.

Mio padre arrivò con la levatrice, mia madre era a letto, stava per partorire il suo primo figlio. Perché era certo, tutti ne parlavano: stava per nascere un bambino. Lo si vedeva dalla forma della pancia di mia madre, su queste cose non c’era da scherzare, l’esperienza delle varie megere era assodata: stava per nascere un maschietto. Ed era, ovviamente, di buon auspicio per una coppia giovane. I miei genitori avevano persino pensato al nome. Agostino oppure Federico, a mia madre piaceva di più Federico. Conoscendoli mi avrebbero chiamato con i due nomi, in ordine alfabetico per non fare torto a nessuno. Ad un nome femminile proprio non avevano pensato: dov’essere un maschio!

La levatrice mandò via mio padre dalla stanza. Lui si accomodò in giardino ad aspettare.

Alle 22h50 di quel 14 aprile, ho fatto il mio ingresso sul palcoscenico che è la vita. La levatrice andò a chiamare mio padre. Si dice che lui si sia sentito offeso nell’onore a constatare che era nata una bambina, in faccia a tutte le previsioni dei mesi precedenti. Si dice che lui sia uscito nella notte a lamentarsi con i suoi amici, si dice anche che le mogli degli amici lo abbiamo rimbrottato e lui sia tornato a casa, in quella stanza a prendere atto che era proprio una bambina e non un maschietto. Si dice persino che io abbia sfoderato un bellissimo sorriso sdentato e mio padre abbia iniziato a festeggiare, finalmente contento di quella prima figlia. Si dice. Ma, ormai, è parte integrante della mia memoria, ed è più di un ricordo, sono fatti.

Nessuno pensò al nome da darmi: ero, per il momento “menina” (bambina). Il giorno dopo, venne a trovarmi, per prima, mia nonna paterna e alla fatidica domanda: come si chiama? Venne risposto: Helena, come lei, mia nonna. Anche se poi, anni dopo, mi è stato detto che era come mia bisnonna, un’altra bisnonna. Una storia complicata. Sono stata fortunata, non mi hanno affibbiato anche il nome Maria, perché, all’epoca dei fatti, era del tutto normale. Ho sei cugine (tutte sorelle tra di loro) che hanno il nome Maria, prima o dopo l’altro nome.

Ero nata ed avevo un nome, il mio ingresso era ufficiale. Tutto procedeva per il meglio nel migliore dei mondi possibili. O quasi.

Il 23 dello stesso mese sono stata battezzata, di corsa, durante la sera. Perché era certo, stavo per morire secondo il parere di tutti. Dalla sera precedente avevo cambiato colore, la mia pelle era diventata rossa tendente al granata. Quasi viola, ha sempre sostenuto mio padre.

Quando ai miei genitori, ho chiesto, perché hanno pensato alla salvezza della mia anima, invece che a quella del mio corpo, la risposta è stata stupefacente: il medico condotto veniva, in quello sperduto villaggio, una volta a settimana, poi era sera, ma soprattutto tutti dicevano che la mia anima non dovevo vagare nel limbo ma andare direttamente in paradiso. Sarà per questo che, ancora oggi, ho molta simpatia per il limbo?

Arrivati in chiesa, il prete disse: questa bambina non morirà. E’ morto lui dopo un mese.

Il giorno dopo il battesimo, arrivò il medico e disse che avrei vissuto a lungo, che avevo solo un problema di pelle legato alle mani di mio padre. Il quale, all’epoca, lavorava in una fabbrica di vernici per tessuti, e ne trasportava residui sotto le unghie e sulla pelle. Avrebbe dovuto lavarsi le mani con l’alcool prima di abbracciarmi.

Il medico non è morto, e non per merito mio.

Anni dopo ho chiesto a mia madre perché io e quattro dei miei fratelli siamo tutti nati di notte e in casa. La risposta è stata sconcertante. Perché durante il giorno aveva troppi impegni per partorire. Le galline da accudire, la casa da sistemare, il giardino da ripulire dalle erbacce, la cena da preparare. Sì, era sconcertante sapere che il mio arrivo in questo mondo non fosse nella lista delle priorità di mia madre! La sua risposta era accettabile, secondo me, per la nascita dei miei fratelli, ma io ero la prima e sarei rimasta l’unica. L’unica femminuccia nonostante tutte le previsioni. L’unica in mezzo ad una tribù di maschi.

Solo il “Piccolo” ha avuto un trattamento diverso, ma lui è nato in Francia, in ospedale, e alle dieci di mattina. Un lusso che a noi altri non è stato riservato. Mia madre ha sempre precisato che nascere in casa, all’epoca, era del tutto normale, nessuna proprio nessuna andava a partorire in ospedale, almeno che non avesse qualche problema di salute. Non era stato il suo caso.





 
 
 
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