La recita di Bolzano

A place in my heart


Il blues languido e al contempo graffiante della chitarra di Joe Bonamassa le stava esplodendo nella testa. E voleva che esplodesse. La ricercava quella sensazione, la sensazione di accoglimento. Già,le sembrava che le note di “A place in my heart” fossero in sintonia con il suo stato d'animo e che fosse il brano adatto ad accogliere tutto il suo dolore, la sua stanchezza, la disillusione. Durante il tragitto quotidiano tra il lavoro e casa, lo aveva ascoltato ancora e ancora, infinite volte, mai sazia della sua bellezza. Era un modo per estraniarsi, per non ascoltare le solite stupidaggini, le solite frasi retoriche, la tristezza nei toni di chi pur di comunicare si mette a raccontare la propria vita al vicino di posto, un completo sconosciuto. Non vedeva l'ora di arrivare e abbracciare Marley: quell'essere dal pelo morbido e chiazzato aveva il potere di placare le sua angosce, le bastava stringerla, sentire il suo calore e la felicità che traspariva dai suoi occhi da cerbiatto che tornava a riconsiderare il significato della vita. Allora c'è un dio, si diceva, esiste il dio dell'amore, forse si nasconde al nostro cospetto perchè non facciamo niente per meritarcelo. Seguita trotterellando da Marley, si diresse verso il contenitore dei biscotti e ne cavò uno che le rubò quasi dalla mano, divorandolo in pochi secondi. Non finiva di stupirla la sua voracità.  Decise di portarla al parco. Afferrò collare e guinzaglio e  corsero giù  per le scale quasi volando, arrivando al parco in meno tempo del solito. Amava quel parco, mille volte vi aveva passeggiato insieme a Marley pensando ai suoi personaggi, a come costruirli, a ciò che voleva far dire loro. Si sentiva felice, in quei momenti, specialmente quando il cielo era plumbeo e l'atmosfera non permetteva ai pensieri di disperdersi, tenendoli racchiusi come in uno scrigno: essi rimanevano lì, intatti, sarebbero risaliti dal profondo così come li aveva generati nel momento in cui avrebbe dovuto e potuto trascriverli. E di personaggi  ne aveva tracciati, personaggi per lo più nati dalla capacità di osservazione, di attenzione. Ognuno di loro non era stato creato dal nulla, li aveva ispirati la gente che vedeva tutti i giorni e di cui studiava linguaggio, mentalità, di cui immaginava il quotidiano, con i loro sogni, frustrazioni, illusioni, speranze, scopi. Chi con la smania di vivere, chi chiuso nel proprio bozzolo, tessuto per proteggersi da tutto e da tutti. Si sedette su una delle panchine del parco che guardavano il fiume, Marley le si accovacciò ai piedi, non si allontanava mai da lei, non avrebbe mai potuto perdersi o cercare di sciogliere il loro rapporto per essere libera. Forse perchè capiva che il guinzaglio serviva solo a proteggerla e non a domarla. Aveva capito che era l'affetto a spingere la sua padrona a legarla. Marley era stata cresciuta in piena libertà, nel rispetto verso la sua natura che, secondo lei, non avrebbe mai dovuto esserle negata. Non le piacevano i cani ammaestrati, quelli che a comando ubbidivano agli ordini facendo la felicità di chi poteva dimostrare di saper domare altri esseri viventi, compresi gli umani.Pensava che cosi come si agiva verso gli animali chiunque avrebbe agito allo stesso modo verso le persone. Gli animali, specialmente quelli domestici,vanno educati non ammaestrati, ripeteva in continuazione quando gli amici o i conoscenti le facevano notare comportamenti secondo loro inadeguati. E quando succedeva pensava tra sé che avrebbero pure potuto smettere di frequentare la sua casa, non avrebbe sentito certo la mancanza di persone cui non importava capire l'umanità, animali compresi. E poi, se c'era una cosa su cui non transigeva,era la questione Libertà. La libertà è uno stato mentale, chi ne possiede l'essenza, chi ne ha compreso l'importanza e il profondo significato tende a godersela senza cercare di sopraffare gli altri. Invece intorno non vedeva altro che sopraffazione, sottomissione, gente che tentava di identificarsi in determinati gruppi o ideologie, che non sapeva portare avanti le proprie idee, anzi, che non era capace di generarle e per questo motivo si omologava. Che tristezza! sentenziò ad alta voce rivolgendosi a Marley, la quale la guardò con i suoi profondi e teneri occhi nocciola, dev'essere triste passare il tempo a cercare di sopraffare o a sottomettersi per ambizione,dev'essere triste aver bisogno di fare soldi per raggiungere ciò che si pensa possa dare la felicità. I tipi come Berlusconi trascorrono una vita grama,senza accorgersi che non sono loro dei potenti ma che è il potere a tenerli in pugno umiliandoli nella totale assenza di  gioia, di libertà, di amore. Il desiderio di potere a sua volta si generava dall'incapacità di amare. Chi li invidia costoro? si chiedeva, forse la gente povera di spirito, che crede di poter  fare ciò che vuole. La domanda giusta sarebbe: cosa vuoi veramente?Uccidere? Rubare? Stuprare? Vendere armi? E facendolo cosa ne ricaverei? Forse se ogni giorno ci ponessimo queste domande, si disse mentre era tornata ad afferrare il guinzaglio per continuare la passeggiata, si potrebbe cercare di leggere dentro il profondo e  potremmo accorgerci di essere migliori di ciò che pensiamo. Ma ci vorrebbe fatica, tanta fatica ad arrivarci, è più facile far del male che operare il bene, ecco perchè il male trionfa sempre,per la nostra stupidità, per la nostra pigrizia. Lei però era decisa a non fermarsi, avrebbe lottato tutta la vita contro l'omologazione, contro il potere, avrebbe lottato per la libertà. E per la speranza  di mettere un seme da far sbocciare  in terre apparentemente aride. Che sequela di pensieri ogni volta, cavolo, si disse. La mia mente non smette mai di viaggiare, di esplorare. Forse perchè aveva sete di vita, una sete insaziabile e che sperava rimanesse tale sempre. Chi li avesse viste da lontano avrebbe notato la loro perfetta simbiosi. Ognuna aveva insegnato e dato qualcosa all'altra. Ognuna aveva salvato l'altra. Qualcosa che aveva creato un legame indissolubile