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IL NOSTRO E' UN DIO VICINO E SE NON LO VEDIAMO E' PERCHE' SIAMO CIECHI BENCHE' DICIAMO DI VEDERCI

Post n°749 pubblicato il 29 Gennaio 2014 da sebregon

III SETTIMANA TEMPO ORDINARIO - GIOVEDÌ

 


 

 


 

2Sam, 7, 18-19. 24


Il re Davide andò a presentarsi davanti al Signore e disse: «Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è la mia casa, perché tu mi abbia condotto fin qui? E questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, Signore Dio: tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire: e questa è la legge per l’uomo, Signore Dio! Hai stabilito il tuo popolo Israele come popolo tuo per sempre, e tu, Signore, sei diventato Dio per loro.

 

Negli anni 70 fra (ero “di sinistra” allora quando dirlo aveva un senso diverso da oggi) mi fu dato un libretto che un mio amico aveva comprato per sbaglio. Credeva infatti di trovarvi (nuove) ragioni per alimentare il suo ateismo e invece era un libro che le minava alla base. Si chiamava “Il Dio in cui non credo” di Juan Arias, prete di origine spagnola.

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Ma al di là delle appartenenze era un interessante contributo a mostrare un volto di Dio diverso da quello “Ufficiale” quale a noi appariva dalle istituzioni che cercavano di dimostrarcelo e di propinarcelo. Ancora non avevo un vero rapporto con nessuno, figuriamoci con Dio!

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E invece Dio, come ho imparato negli anni, è un Dio che entra, che vuole entrare in rapporto con ciascuno. Un Dio in dialogo, un Dio che non è indifferente ai destini dell’uomo ma che lo incoraggia nel suo vivere quotidiano. Contemporaneamente Bob Dylan e Joan Baez contestavano l’appropriazione di Dio da parte degli uomini di potere cantando “With God on our side” (con Dio dalla nostra parte).

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Rimango sorpreso nella lettura di oggi da due cose: il Re Davide che pur potendo vantare meriti non indifferenti comincia il suon rapporto con Dio dicendo “Chi sono io?”. Non è falsa umiltà, ma la coscienza di essere davvero poca cosa di fronte a questo Dio che si coinvolge con noi, che, per citare san Paolo, “Non considerò un privilegio la sua uguaglianza con Dio” ma, come dice Pietro, portò i nostri peccati”.

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Diventa allora una esperienza liberante e un instaurare una autenticità di rapporto con Dio partire non dai propri meriti, dalla propria bravura. Non partecipiamo a nessun concorso per un posto in paradiso, ma partire dalla nostra fragilità e povertà per riconoscere un Dio che opera continuamente nella nostra vita.

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L’altra cosa che mi sorprende è quella preposizione nell’ultimo versetto. Dio non è Dio di Israele, ma Dio Per israele. Un Dio appunto non nemico dell’uomo, ma neanche connivente con le nostra malefatte, ma un Dio per noi, con cui rapportarsi, in cui vivere.

 

La nostra vita e la Parola

 

Dio per l’uomo, Dio che ci sorprendi, Dio che ti sei spogliato della tua divinità per arricchirci di essa, perché noi non fossimo Dei al tuo posto ma una cosa sola con te, e che con questo ci hai unito in una cosa sola ai nostri fratelli, guidaci nei sentieri del tempo a scoprire il tuo volto a vivere nella tua gioia a costruire tra noi la tua pace. Amen

 

P. Elia Spezzano, Ocist.

 
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