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Di chi è la colpa del precariato?

Post n°153 pubblicato il 25 Marzo 2008 da orion971

Domanda da un milione di dollari...
Tanto per cominciare, in un'epoca in cui ci si trova a fronteggiare la concorrenza di paesi come la Cina e l'India, pretendere il contratto a tempo indeterminato come mezzo secolo fa è abbastanza anacronistico. Viene da ridere a pensare ai no-global che strillavano e strillano contro la globalizzazione che "affama i paesi del terzo mondo": in realtà per quelli si aprono nuove opportunità, mentre a rimetterci sono proprio i lavoratori dei paesi sviluppati.
Assodato che la globalizzazione è la prima causa, che oggi il posto fisso non esiste più e che bisogna essere tutti un po' imprenditori di se stessi, la cosa migliore da fare sarebbe creare un sistema flessibile come negli USA, dove si può venire licenziati ma il giorno dopo si trova subito un nuovo posto. In questa direzione andava la richiesta del precedente governo di abrogare il famoso articolo 18, ma come noto i sindacati e la sinistra non lo hanno reso possibile. Il risultato è che abbiamo da un lato i contratti a tempo indeterminato che sono puramente teorici, dal momento che se le imprese falliscono non c'è contratto che tenga, e dall'altro la precarizzazione del lavoro soprattutto giovanile, perché se non puoi licenziare, assumere un lavoratore con i crismi tradizionali diventa una scelta molto rischiosa. I responsabili in seconda analisi, quindi, sono proprio quelli che a parole vogliono combattere il lavoro precario.
Tutto qui? No, c'è di peggio. Quante volte si sente parlare di giovani laureati che sono disoccupati o precari in posizioni lavorative assai diverse da quelle per le quali hanno studiato, tipo i famosi call-center?  Chi non conosce il mondo del lavoro potrebbe pensare che trovare un posto in Italia sia impossibile e che le qualità dei singoli non vengano valorizzate. Ma non è così, perché le persone valide (almeno la maggior parte) il lavoro lo trovano, a condizione che abbiano fatto degli studi che hanno un senso (quindi, non il laureato in filosofia che però non vuole andare a fare l'insegnante, tanto per capirsi). E sono le aziende stesse che hanno tutto l'interesse a stabilizzare, nei limiti del possibile, la posizione degli elementi validi per non perderli.  Il problema vero è un altro. E' che la scuola italiana ha subito, dal Sessantotto in poi, un processo di decadimento in termini qualitativi e di produttività che continua irreversibile ancora oggi. Una delle ultime genialate, ad esempio, i "debiti formativi" del Ministro Berlinguer (un nome una garanzia) che hanno sostituito i disumani esami di riparazione che costringevano i poveri ragazzi a studiare d'estate le materie nelle quali erano carenti. Risultato: non si boccia più nessuno. Quasi tutti arrivano alla maturità e un numero sempre maggiore anche alla laurea. Ma molti, troppi, non hanno minimamente la formazione teoricamente certificata dal titolo di studio. In generale, non è azzardato affermare che i laureati di oggi valgono quanto i diplomati di una volta, e i diplomati quanto la vecchia terza media.
Molti, però, non sono consapevoli di questo, o non lo vogliono accettare. E pretendono, anche comprensibilmente, di trovare un lavoro che ritengono consono con il loro percorso di studi, col risultato che si crea un sovraccarico di aspettative per i lavori di livello più elevato, impossibili da soddisfare anche solo per ragioni di numero di posti, mentre non si riesce a trovare personale per quelli di minor "prestigio sociale". Una società equilibrata avrebbe bisogno del laureato, del diplomato e di quello con la terza media, mentre qui si regalano pezzi di carta a destra e sinistra.  E sarà sempre peggio: si immagini quando l'ideologia del "tutti devono studiare" avrà portato l'obbligo scolastico a diciotto anni... E' l'eccesso di buonismo, nella scuola come nella società, che porta ulteriormente alla precarizzazione del lavoro.
Al di là delle colpe di "sistema", sarebbe bene che molti precari smettessero per un attimo di lamentarsi e facessero un serio esame di coscienza. Magari con una semplice domanda prima di tutto: "Ma io quanto valgo?" 

 
Rispondi al commento:
biscotto82
biscotto82 il 28/03/08 alle 15:48 via WEB
eccomi mio caro vecchio...sono l'anonimo di cui sopra.nessun problema a dichiararmi, vengo a giocare anche apertamente in trasferta sul tuo blog figurati se ho problemi a farlo qui in campo neutro(anche se ci sono più tifosi avversari;)).semplice errore l'anonimato!venendo a noi...io rispondevo al fatto che hai tenuto a precisare che il tuo commento non era molto ironico,e leggendoti spesso,non fatico a crederlo.detto questo credo che l’ultima parte del tuo commento,evidentemente la “meno ironica”,sia abbastanza insulsa perché il problema del precariato al di la delle responsabilità, è serio e la generalizzazione che è stata fatta, fa quasi pensare che il problema sia solo un discorso di scarsa voglia dei precari in questione!ma ti assicuro che non è cosi…lavoro alle risorse umane di una multinazionale e ti assicuro che non sempre il merito paga e non sempre alle aziende conviene blindare chi ha qualche capacità.il discorso fiscale che riguarda i dipendenti di un’azienda porta la stessa ad eludere la legge proponendo contratti a progetto a ragazzi che invece svolgono un ruolo continuativo all’interno dell’azienda.il contratto a progetto(mezzo tra i più usati)come dice il termine stesso, dovrebbe prevedere la realizzazione di un progetto da parte del precario in questione, il quale dovrebbe poter svolgere il suo lavoro nei tempi e nelle sedi che ritiene più opportune,proprio per questo non è soggetto spesso a timbrature di cartellino e via dicendo;bene le imprese sul contratto scrivono le migliori amenità costringendo a fronte di un falso progetto,i soliti precari a lavorare all’interno dell’azienda in condizioni di subordinazione e di rispetto di orari e regole come un dipendente vero,al quale però vengono negate ferie,malattie e via cianciando!ora questo è un caso,ma il problema sulla precarietà è molto diverso dalla flessibilità che si dovrebbe ottenere.vogliamo affrontare come tu dici il discorso seriamente?d’accordo..perchè nessuno ha mai pensato a costringere le aziende almeno,nel caso in cui non vogliano rinnovare il contratto alla persona,a comunicarglielo con un giusto anticipo in modo che il precario possa guardarsi intorno?la risposta è che spremono il precario fino all’ultimo per poi dirgli l’ultimo giorno:”amico mio..passi lunghi ben distesi..quella è la porta!”;oppure perché non viene ridotto drasticamente il tempo in cui si può lavorare in questa maniera?o perché non viene obbligata l’azienda ad assumere dopo un tot tempo il precario?voglio dire se l’hai tenuto cosi tanto a qualcosa sarà servito??ma naturalmente la colpa è del precario svogliato giusto?non dell’azienda che preferisce prendere un'altra persona alla quale fare un altro contratto a tempo evitando di pagare un tot di tasse! Poi sul problema posto da orion riguardante il fatto che sembra che ora laurearsi sia un dovere,bè mi trova d’accordissimo,ma non credete che siano tutti svogliati o non capaci…purtroppo non è sempre cosi…purtroppo!ciao vecchio!
 
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