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Il vero volto del comunismo: le BR 

Post n°135 pubblicato il 20 Febbraio 2007 da orion971

C'è una parola che sembra proibita nelle cronache e nei dibattiti di questi giorni sulle nuove Brigate Rosse. Serve un aiuto per indovinare quale? Si immagini se fossero le Brigate Nere: nessuno si farebbe problemi a parlare di terrorismo fascista, di violenza fascista, a dire che D'Antona e Biagi sono stati assassinati dai fascisti. Ci sarebbero articoli di fondo sui giornali pieni di richiami all'insufficiente memoria, all'ignoranza, al disprezzo del popolo italiano verso questi barbari individui che nulla hanno imparato dalla Storia e chi più ne ha più ne metta.
Dal momento che i terroristi sono rossi, tutto è invece più soft. Ed ecco che si parla di terrorismo in forma "neutra", senza aggettivi e specifiche. E nessuno si permette di apostrofare più di tanto questi signori: mi viene in mente il coro di insulti che si levò unanime da tutte le forze politiche, un paio d'anni fa, contro gli ignoti autori della scritta "Paolo Mieli ebreo" comparsa su un muro, e non posso non cogliere questo notevole contrasto. Per le Brigate Rosse sembra esserci una sorta di forma di "rispetto": sì, i soliti ritornelli che "bisogna essere uniti contro il terrorismo", che "il terrorismo non vincerà", ma nessuno che parla di "vergogna" o che definisce i brigatisti degli imbecilli.  Sarà un mio limite, ma io sono dell'idea che il terrorismo assassino sia lievemente peggio di una scritta su un muro...
A dire il vero, c'è stato il portavoce di FI Bondi che ha detto che "in Italia c'è ancora chi è disposto ad uccidere in nome del comunismo", subito zittito e invitato ad evitare le "strumentalizzazioni".
Strumentalizzazione o verità inconfessabile? A forza di sentire i comunisti nostrani recitare la parte degli agnellini e riempirsi la bocca di belle parole, la gran parte degli italiani sembra avere dimenticato quale sia la natura, violenta e antidmeocratica, dell'ideologia che anima questi signori. Un paio di ragionamenti semplici semplici possono aiutare a capire meglio la questione.
Il comunismo si basa essenzialmente su una menzogna o, se si preferisce, su una grossolana incomprensione della realtà: che il ricco sia tale perché sfrutta il povero, e che la condizione di quest'ultimo sia dovuta al fatto che c'è chi ha di più e gli toglie. Questa ideologia non contempla nemmeno lontanamente che possa esserci qualcuno che lavora più di altri e che sia magari anche più capace. Qual è quindi una delle più note massime dei comunisti? Che "la proprietà privata è un furto". E' su questa frase che bisogna riflettere. Essere democratici significa riconoscere la legittimità di chi ha idee diverse, giusto? Ma se uno pensa che gli altri sono dei ladri, come potrà mai riconoscerne la legittimità? Nessuna persona sana di mente si sognerebbe di legalizzare il furto e la rapina, anzi tutti riconoscono allo Stato il monopolio dell'uso della violenza per reprimere questi fenomeni. E lo stesso vale, drammaticamente, per il comunista, che nella sua visione distorta è prigioniero di questa concezione oltremodo estesa del furto e della malversazione, sulla base della quale si alimenta tutta una spirale di odio e di mistificazione della realtà che porta a trasformare l'avversario politico in nemico. Ancora peggio se si sposta il discorso a livello degli Stati: se i comunisti pensano che gli Stati ricchi affamano quelli poveri  provocando la morte di milioni di persone, è ovvio che sono disposti a combattere con ogni mezzo questo sistema. Ed ecco Seattle, Genova, Praga messe a ferro e fuoco in occasione dei G8: tutto logico e coerente.
Quanto poi al fatto che il comunismo debba realizzarsi per via "pacifica", come ama dire Bertinotti, è una stupidaggine senza pari. Qualcuno crede davvero che, in tutto il mondo, esista anche una sola persona che, dopo aver rischiato e lavorato sodo per una vita mettendo su un'impresa e sviluppandola, sia disposto a cedere tutto allo Stato anziché godersi i frutti dei propri sacrifici e lasciarli ai figli? E' ovvio che lo farà solo se costretta. Quindi, rivoluzione (non certo evoluzione naturale) e poi esecuzione sommaria o prigione, Gulag, Laogai...  c'è solo l'imbarazzo della scelta tra metodi indispensabili per mantenere quello che è un sistema innaturale.
E' fin troppo evidente che la violenza, al pari della incompatibilità più totale con la democrazia, è connaturata all'ideologia comunista: non è affatto una "deviazione" rispetto alla dottrina "vera", come si vorrebbe far credere. E la Storia (guarda caso) lo conferma: ovunque ne hanno avuto la possibilità, i comunisti hanno soffocato ogni forma di libertà e instaurato spietati regimi autoritari. E laddove questa possibilità è mancata, come appunto in Italia, lunghe scie di sangue hanno comunque accompagnato la loro azione politica.
Chi ancora non fosse convinto e non avesse voglia di cimentarsi con piccoli ragionamenti e ripassi della Storia, può limitarsi a guadare le icone dei comunisti: sulle loro magliette e sulle loro bandiere campeggia forse un simbolo unversale della non violenza come Gandhi, o il guerriero noto con il nome di Comandante Che Guevara? 
I "compagni che sbagliano" non sono affatto le BR: sono gli altri. Quelli che, non di rado, si definiscono "comunisti" senza conoscerne il significato e le logiche conseguenze. Ma in Italia c'è un deficit culturale che porta a concezioni strampalate e ad un clima surreale nel quale ci si prende per i fondelli raccontando le favole del comunismo "pacifico e democratico".

 
Rispondi al commento:
pasck83
pasck83 il 02/03/07 alle 09:54 via WEB
I brigatisti rossi hanno ucciso e terrorizzato tante persone , eppure ancora si fatica a parlarne e ogni volta che si fa bisogna per forza tirare in mezzo il discorso sui brigatisti neri. E' assurdo....
 
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