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“Latte fresco… caldo!”

Post n°5 pubblicato il 23 Febbraio 2008 da dueali2

di Luigi Pascali

Intero, scremato, parzialmente scremato, vitaminizzato, ad alta digeribilità, a lunga conservazione… sembrerebbe che stiamo parlando di chissà quale prodotto tecnologico e invece… stiamo parlando di latte! Semplicemente latte! Il liquido di cui l’uomo si nutre da millenni!
Dovrebbe essere l’alimento più puro e genuino che esiste in natura, che invece la commercializzazione ha trasformato quasi in un prodotto estetico, mitizzando persino le povere mucche, costrette a nuotare in apnea, per tentare di brucare un’erba di pascoli pretenziosamente più “saporiti”. Sembrano lontani anni luce, i tempi in cui il latte si acquistava riempiendo la propria bottiglia, quando non erano necessarie campagne pubblicitarie per il riciclo del vetro: per le famiglie bottiglie e bottiglioni di vetro, quello bianco e quello verde, doppio (nu buttiglione pesàa nu’ chilu) erano da custodire gelosamente, e quando se ne rompeva uno (specialmente chinu te oliu) era una disgrazia, per l’olio e “pe’ ddhru beddhru buttiglione! Ca me l’ìa llavatu te intru cu li pethruddhruli”.
A San Cesario la distribuzione del latte avveniva a domicilio, a cura di alcuni personaggi mitici, che a bordo delle loro biciclette scorrazzavano per le vie del paese con il prezioso carico “bianco”.
Erano lu Pascalinu te lu latte, lu ‘Nzinu te lu latte e lu Ninì, sempre te lu latte! Dal manubrio della bicicletta pendevano uno o due grossi recipienti di alluminio, con beccuccio e chiusura ermetica (lu tinu) da cui mescevano la quantità richiesta in contenitori di latta zincata (li mesurieddhri te mienzu quintu, nu’ quintu, mienzu litru) a loro volta contenuti, insieme ad un piccolo imbuto, in una cassetta, sempre di metallo, posta sul davanti della bicicletta, al posto del fanalino anteriore.
Per segnalare la loro presenza, usavano far tintinnare un campanello di metallo, riconoscibile perfettamente, grazie alla quasi totale assenza di inquinamento acustico (machine ‘nci n’era picca e filu! ) e comunque si conosceva perfettamente l’orario del “passaggio” quasi come le vecchie littorine di una volta, quasi a voler scandire i tempi di una intera comunità.
Le donne aspettavano sull’uscio il loro passaggio, con la bottiglia, pronte a ricevere la dose quotidiana del prezioso liquido. Talvolta se lo facevano versare direttamente nel “bollilatte” pentolino apposito per bollire il latte, per sterilizzarlo.
Il latte veniva approvvigionato direttamente dalle masserie intorno al paese, appena munto, e venduto da questi personaggi, che costituivano una primordiale catena di distribuzione. Probabilmente l’igiene e la sicurezza, sebbene curatissima, non corrispondevano ai canoni attuali, ma certamente il grado di genuinità era di gran lunga superiore, riferito a ciò che oggi acquistiamo in cartoni plastificati.
Quello che non riuscivo proprio a capire, all’epoca, era il motivo per cui gridavano “latte fresco” dal momento che quel latte, in quei contenitori, era ancora bello caldo… Mah!

 
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