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SUI PARTITI - GIULIANO FERRARA DICE LA SUA - INTERESSANTE ANALISI

Post n°1637 pubblicato il 20 Febbraio 2012 da frabennix51

Ipartiti sanno solo fare danni Non servono piùQuesti finti apparatisono diventati i servi del governo composto dai tecnici Il Pdl si è mangiato laleadership. Il Pd è terreno di scorrerie. L’Udc farnetica

di Giuliano Ferrara - 19 febbraio 2012,08:39

A che serve il Pdl? A niente.Anzi, fa danno. Il partito si è mangiato la leadership , ha condotto allaperdita della maggioranza alle Camere, è stato il luogo di risseindiscernibili, di rinvii e intralci all’azione del governo.

A che serve il Pd? Niente diniente, un simulacro di culture in fusione permanente e in atroce divisionesempiterna. È stato utile soltanto alla battaglia dei capi, è terreno perscorrerie, zona di allarmante inconciliabilità delle diverse e invadenti consorterie.

A che serve l’Udc o gli altriframmenti?Ora vogliono con gran pompa metter su un«partito della nazione»,lanciare un’opa sul centrodestra, chissà con che mezzi di sfondamento, cheintrugli e brodaglie parapolitiche. Fanno danno i partiti d’apparato, il restodi ciò che fu e che ebbe un senso in anni ormai lontani. Apparati chealimentano signorie locali dette anche «rapporto con il territorio». Partitiche non hanno uno statuto ideologico, perché le ideologie sono spettri.

Che si nutrono di finanziamentiipertrofici e fuori controllo, anche biada per i cavalli morti, e dissipanocredibilità a milioni di euro. E coltivano la guerricciola tragruppi,l’accaparramento delle tessere, la formazione di maggioranzeimplausibili, strutturate sul nulla delle relazioni personali. Sono animemorte. Sveglia. La riforma della politica possibile è la fine dei partiti comemodello del Principe machiavelliano, come gabbie di matti intenti a succhiareil sangue di rapa a istituzioni che si afflosciano perché nessuno crede cheservano: Parlamento,governo,sindaco,governatore, e poi fondazioni,associazioni, lobby, questi luoghi della politica effettiva sono ormai deputatia servire da invasi per le ambizioni sbagliate di partiti sbagliati.

A forza di partiti finti siamoarrivati ai partiti serventi del governo composto dai tecnici, alle maggioranzetripartite che ubbidiscono a chi dispone del potere vero e sono costrette afunzionare sul presupposto che il comando politico e il voto degli elettori nonabbiano più alcuna relazione l’uno con l’altro. Il commissario, ilcoordinatore, il segretario, tutte intercapedini di una casa crollante. Le dueipotesi di riforma dei partiti sono fallite. Berlusconi doveva strutturare uncartello elettorale e un partito leggerissimo, uno staff, e Veltroni avevapromesso una vocazione maggioritaria del Pd per il governo del paese o perl’opposizione costituzionale.

Erano due idee promettenti,una presa d’atto del nuovo carattere dei rapporti politici, una collocazioneagile tra le famiglie europee dei popolari, dei socialisti, dei liberali, ma innome di un solo mestiere: amministrare, governare, vivere nelle istituzioni conla classe dirigente eletta, e fare politica senza sopportare il basto delpoliticismo, delle stramorte identità universali o di principio, i partitidella falce e martello o dello scudo crociato o del sole nascente. Fallironoanche i tentativi di tornare a una nuova mappa partitica, dai governi D’Alemaalla Bicamerale. Ora la finzione diventa una insopportabile pantomima.

C’è un severo e rigorosobisogno di cambiamento. Quando sento parlare di congressi, di tessere, diimbrogli radicati sul territorio, metto mano alla pistola.Non ce n’è alcunbisogno. C’è bisogno di raccogliere fondi, altro che rimborsi, e di raccogliereconsenso (nei paesi politicamente e costituzionalmente evoluti il fund raisinge il consenso sono la stessa cosa). C’è bisogno di programmi a breve e mediotermine nella contesa per un governo eletto, a partire dal 2013, non di cartedei valori a cui nessuno piega la benché minima attenzione, non di trombonate eretoricume. La cattiva reputazione dei partiti nasce da molti equivoci,d’accordo. Da una campagna di delegittimazione che dura da vent’anni. Maleargomentata, per di più, vagamente e genericamente moralistica. Ma è lasopravvivenza di partiti morti che rende vivace la protesta e legittimal’insopportazione per la politica come oggi appare, che porta al fenomeno delleprimarie sempre e regolarmente vinte dagli outsider , basta che siano candidatiantipartito.

Lelotte dinastiche, i figli e altre discendenze messe di mezzo, una sensazione ditruffa che ha del grottesco promana dal concetto stesso di partito politicod’apparato.

Viva i partiti, se i partitisono cose che costano poco, invadono poco lo spazio pubblico, e agiscono comecollettori di altre forze vive, in un arcipelago detto società, a favore di unaleadership e diun programma, di idee modeste ma credibili su come si fa aguidare lo Stato, a renderlo compatibile con la cittadinanza nelle sue formemoderne. Chi fa tessere e congressi è destinato a perdere ancora e ancora eancora. Il metro di misura della politica è una buona raccolta dati, una fortecomunicazione, un programma e l’azione di chi è eletto per governare o per fareopposizione. Il resto è fuffa, sopravvivenza, morto che afferra il vivo.

 

 
 
 
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