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Ceneraccio e i suoi bravi aiutanti

Post n°520 pubblicato il 25 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un re, il quale aveva sentito parlare di una certa nave che era in grado di navigare veloce sia per terra che per mare, perciò ne desiderava una anche lui; così, proclamò per tutte le chiese del paese che all'uomo che fosse stato capace di fabbricargliene una identica, avrebbe concesso sua figlia in isposa, e metà del regno. Naturalmente, la metà del regno e la bella principessa per moglie facevano gola parecchio, com'è facile intuire, e quindi, ci provarono in tanti, ma nessuno ci riuscì.

Ora, c'erano tre fratelli che vivevano in una capanna nei boschi vicini; il maggiore si chiamava Per, il fratello mezzano Pål, e poi c'era il minore, che si chiamava Espen, detto Ceneraccio, poiché se ne stava tutto il giorno a scavare la cenere. Ma una domenica, quando il proclama del re fu pubblicato, il caso volle che si trovasse lì anche lui. Quando tornò a casa e raccontò tutto ai fratelli, Per, il maggiore, andò dalla mamma a chiedere provviste, perché aveva deciso di partire per vedere di costruire la nave, e conquistare così la principessa e la metà del regno. Partì con il suo sacco di viveri sulle spalle, e a metà strada incontrò un vecchio tutto curvo e rugoso che gli chiese: "Dove stai andando?" "Sto andando nel bosco per fare una ciotola di legno per mio padre, a lui non piace mangiare con noi." rispose. "E ciotola sia!" disse il vecchio, e chiese poi: "Che cos'hai nello zaino?" "Letame." rispose Per. "E letame sia!" replicò il vecchio. Poi Per se ne andò nel bosco a tagliar querce, ma per quanti alberi abbattesse e tagliasse, non riuscì a fabbricare che ciotole e ciotole, una dopo l'altra. Quando fu ora di pranzo aprì lo zaino per tirar fuori il cibo che si era portato, ma al posto delle pietanze ci trovò i sassi, e dal momento che non aveva più nulla da mangiare e la nave non era riuscito a costruirla, si stancò presto di lavorare, così, rimise l'ascia nello zaino e se ne tornò a casa.

Poi fu la volta di Pål; volle anche lui tentare la fortuna, così, chiese alla mamma un pò di cibo e s'incamminò verso la foresta, quando, a un certo punto, incontrò il vecchietto rugoso che gli chiese dove andasse, ed egli rispose: "Vado nel bosco per fabbricare una tinozza di legno per il nostro maialino." "E tinozza sia!" rispose quello. Poi gli chiese cosa portava nello zaino, e Pål rispose: "Letame." "E allora letame sia!" disse il vecchio. Così, Pål andò nella foresta, e cominciò ad abbattere a tagliare alberi facendo del suo meglio, ma tutto quel che gli riuscì di cavare furono solo tinozze e tinozze all'infinito. Tuttavia non rinunciò là per là, e continuò finché all'improvviso gli venne fame, e allora prese il suo zaino, ma non c'era ombra di cibo. Si arrabbiò tanto che sbatté lo zaino contro un tronco, prese sottomano la sua ascia e se ne filò dritto a casa.

Tornato anche Pål, anche l'ultimo fratello, Ceneraccio, volle tentare la sorte; andò dalla mamma a chiedere un pò di cibo per partire anche lui alla volta del bosco. "Forse riuscirò a costruire la nave e a ottenere la ricompensa", disse. "Sì, proprio tu pensi di riuscire in tale impresa! Tu, che non sai far altro che scavare nella cenere tutto il giorno! No, niente provviste per te!" replicò la donna. Ma il ragazzo non si arrese, e insistette così tanto che alla fine ottenne il permesso di andare; di cibarie la madre non gliene concesse, ma egli prese di nascosto del pane d'avena e della birra scadente, e si avviò per il bosco. Aveva fatto poca strada, quando si imbatté nel solito vecchio, tutto decrepito. "Dove stai andando?" gli chiese quello, e Ceneraccio rispose: "Sto andando nella foresta a far legna in abbondanza, per poter costruire una grande nave per il re, che vada veloce sia per terra che per mare, poiché egli ha promesso la principessa in sposa e metà del regno a colui che riuscirà a portargliene una uguale." "Che cos'hai nello zaino?" chiese allora il vecchio. "Niente di particolare, solo qualche cosa da mangiare." rispose Ceneraccio. "Se mi dai un pò delle tue provviste, in cambio ti aiuterò a costruire la tua nave." disse il vecchio. "Volentieri," rispose Ceneraccio, "ma non sarà un gran pasto, sai. Ho solo un paio di pagnotte d'avena e una bottiglia di birra rancida." Ma al vecchio questo non importava, gli bastava averne un pò, e in cambio avrebbe aiutato Ceneraccio. Quando arrivarono alla grande quercia della foresta, il vecchio disse: "Ora devi solo tagliare una scheggia del tronco e poi rimetterla a posto, e fatto questo, potrai anche coricarti e dormire." Ceneraccio fece come gli aveva detto il vecchio, si mise a dormire, e nel sonno gli sembrava di udire in sottofondo, rumori di taglio, martellamento e segatura, ma non riuscì a svegliarsi fino a quando lo chiamò il vecchio. E al risveglio trovò la sua nave completata. "Sali a bordo, adesso, e carica con te tutte le persone che incontrerai da qui al palazzo reale." disse il vecchio. Espen Ceneraccio non finì più di ringraziare il vecchio per quel che aveva fatto per lui, e salpò con la sua nave, come gli aveva indicato il vecchio.

Poco dopo la partenza, incontrò uno spillungone pelle e ossa, seduto su una roccia, mentre mangiava sassi. "Chi sei tu, che te ne stai qui a mangiarti i sassi?" chiese Ceneraccio. Quello gli rispose che non riusciva mai a saziarsi abbastanza, cosicché da essere costretto ad alimentarsi di sassi, e poi chiese il permesso di salire a bordo con lui; Ceneraccio disse di sì, e l'uomo portò dietro qualche scorta di sassi. Dopo un pò, incontrarono un ragazzo disteso su un pendio, intento a succhiare tappi. "Chi sei, tu, che te ne stai lì a succhiare tappi?" chiese Ceneraccio. "Oh bhè, quando non si ha una botte, bisogna accontentarsi dei tappi." rispose quello. "Ho sempre così sete, che non mi basta mai la birra e il vino che bevo." rispose, e poi chiese a Ceneraccio il permesso di seguirli, e Ceneraccio disse di salire. Il ragazzo salì a bordo e si portò dietro i suoi tappi. Dopo un pò, incontrarono un uomo con un orecchio solo, disteso con la testa per terra, ad ascoltare. "Chi sei tu che te ne stai sdraiato ad ascoltare la terra? A cosa ti serve?" chiese Ceneraccio. "Sai, ho un udito talmente fino che riesco a sentire il rumore dell'erba che spunta." rispose, e chiese di potersi unire a loro. Ceneraccio lo invitò a salire e proseguirono il cammino. Dopo che ebbero navigato ancora, incontrarono un tizio che stava prendendo la mira con un fucile. "Che tipo strano sei, tu, che te ne stai lì a puntare quell'arma!" disse Ceneraccio, e quello: "Ho una vista acutissima, tanto che potrei vedere fin dove arriva l'orizzonte." e chiese di poter salire: Ceneraccio disse di sì e ripartirono. A forza di navigare, trovarono poi un uomo che saltava da una gamba sola, e attaccati all'altra aveva sette pesi. "Chi sei tu?" chiese Ceneraccio, "perché stai lì a saltare così?" "Sai, i miei piedi sono così ben allenati, che se mi mettessi a correre, potrei arrivare fino alla fine del mondo in meno di cinque minuti." Poi gli chiese se poteva salire anche lui sulla nave, e Ceneraccio lo face salire, e raggiunse in un battibaleno tutti i suoi nuovi compagni di viaggio. Dopo che ebbero navigato un pò, incontrarono un uomo che si teneva la mano davanti alla bocca. Ceneraccio volle sapere perché faceva così, e a che gli serviva, e quello rispose: "Oh, sai, io ho sette estati e quindici inverni dentro al mio corpo! Perciò devo tenerli bene stretti dentro, altrimenti distruggerebbero il mondo in un batter di ciglia." Poi chiese il permesso di andare con loro, e Ceneraccio gli disse di salire.

Finalmente, giunsero al palazzo del re. Ceneraccio si precipitò dal re, e gli disse subito che aveva costruito la nave che aveva richiesto, così, ora voleva, come promesso, sua figlia in sposa e la metà del suo regno. Ma il re non era certo molto lieto all'idea di dare in moglie sua figlia a quel cencioso tutto nero e fuligginoso, così rispose che voleva aspettare ancora un pò, e il patto fu che gli avrebbe concesso la mano della principessa solo se e quando egli gli avesse svuotato l'intera dispensa, che contava ben trecento barili stracolmi di carne. "Se ci riesci entro domani," disse il re, "ti darò in sposa mia figlia." "Bene, ci proverò, ma avrò bisogno dell'aiuto di uno dei miei compagni; mi concedete di portarlo con me?" Il re, sicuro che l'impresa fosse impossibile, gli disse che poteva portarseli anche tutti, e diede il permesso. Ma a Ceneraccio serviva soltanto lo smilzo che mangiava i sassi perché aveva sempre fame, e lo portò con sé nella dispensa del re, e quello divorò subito tutto, lasciando soltanto sei piccole spallette di montone affumicato, uno per ognuno dei suoi compagni. Poi Ceneraccio tornò dal re a comunicargli che la sua dispensa era stata svuotata, sicuro che avrebbe avuto la mano della principessa. Il re andò a controllare, e vide che era tutto vero, ma ancora non se la sentiva di concedere sua figlia a quel fuligginoso forestiero, e dettò una nuova condizione: per avere la principessa, Ceneraccio doveva prima bere tutto il vino e tutta la birra della sua cantina, ossia trecento barili dell'uno e dell'altra. "Ci proverò" rispose Ceneraccio, e chiese di potersi valere dell'aiuto di un altro dei suoi compagni. Il re, pensando che non ci fosse uomo al mondo in grado di ingerire tanto alcool, disse che se li poteva portare pure tutti, e accordò il permesso. Ma Ceneraccio portò con se soltanto uno dei suoi, il ragazzo che succhiava i tappi, e che aveva sempre sete. Il re li chiuse nella cantina, e il ragazzo si scolò, botte dopo botte, tutto il vino, lasciandone solo qualche goccia per i suoi compagni. Il mattino dopo, Ceneraccio andò a riferire al re che il compito era stato compiuto; il re constatò incredulo che era la verità, ma di concedere la sua bella figlia in sposa a quel mendicante proprio non se la sentiva, così, dettò una nuova condizione. Disse che se in dieci minuti fosse riuscito a riportare dell'acqua della fine del mondo per il thè della principessa, convinto che quella fosse davvero una missione impossibile, avrebbe mantenuto la promessa. "Ci proverò anche questa volta", rispose Ceneraccio. Così, portò con sé l'uomo che saltellava con una gamba sola e aveva i sette pesi dall'altra, e gli disse di depositare per un pò i sette pesi perché doveva mettersi a correre con entrambe le gambe, per riuscire a portare l'acqua dalla fine del mondo per la principessa in dieci minuti. Quello allora lasciò a terra i pesi, prese di corsa un secchio e volò via, alla velocità della luce. Passò diverso tempo, ma ancora non si vedeva tornare; quando mancavano appena tre minuti, il re, tutto soddisfatto, si sfregò le mani, sicuro di aver vinto. Ma Ceneraccio corse a chiamare quello che aveva l'udito fino che riusciva a sentire l'erba spuntare, e lo pregò di mettersi a sentire con le orecchie fino alla fine del mondo, per sapere che fine avesse fatto l'altro compagno. "Si è addormentato vicino al pozzo," disse, "lo sento russare mentre un troll gli spidocchia la testa." Allora, Ceneraccio chiese a quello che sapeva sparare fino alla fine del mondo, di prendere la mira e colpire con il suo fucile il troll. Quello fece proprio così, e sparò dritto all'occhio del troll, il quale ruggì e fuggì via, così, quello che era andato a raccogliere l'acqua per il the della principessa, si svegliò, attinse al pozzo e in un attimo fu di ritorno, proprio quando mancava ancora un minuto. Così, Ceneraccio si precipitò dal re con l'acqua richiesta, sicuro che questa volta avrebbe avuto la mano della principessa. Ma al re quello sporco e fuligginoso potenziale genero proprio non andava a genio, così, disse ancora che aveva trecento braccia di legname che servivano per seccare il grano nell'essiccatoio, e disse: "Se sarai in grado di star lì a bruciare tutta quella legna, avrai in sposa mia figlia, non c'è dubbio." promise, sicuro che anche questa volta si trattasse di un'impresa impossibile. Ceneraccio accettò anche questa sfida, e portò con sé quello che aveva le sette estati e i quindici inverni nel corpo, ma il re, per essere sicuro di non perdere, aveva dato ordine di dare un grande falò. Dentro sarebbero stati spacciati, ma fuori non potevano uscire, perché il re li aveva fatti chiudere dentro sprangando la porta con un paio di chiavistelli di riserva, così, Ceneraccio disse al compagno: "Tira fuori sei o sette inverni, così raffredderanno un pò l'aria e alla fine sarà tiepida." Così facendo, riuscirono a sopravvivere, ma siccome fuori era ormai notte, passarono dal caldo soffocante all'addiaccio, così, Ceneraccio chiese al compagno di tirar fuori un paio d'estati per riscaldare un pò l'aria, e resistettero fino a mattina. Il mattino dopo, sentendo il re che armeggiava lì fuori, disse al compagno: "Ora devi tirar fuori altri due inverni, ma fai in modo che l'ultimo gli vada a sbattere proprio in faccia." Così fecero, e quando il re aprì la porta dell'essiccatoio, convinto di trovarli carbonizzati, li vide che stavano seduti a battere i denti dal freddo, e il compagno di Ceneraccio buttò fuori l'ultimo inverno dritto in faccia al re, il quale si ritrovò con un gelone enorme in pieno volto. "Posso avere la principessa, adesso?" chiese Ceneraccio. "Sì, sì, per carità, prenditela subito, e anche il regno!", rispose il re, che a quel punto non osava più dire di no.

Così, festeggiarono le nozze e si diedero alla pazza gioia, e spararono i fuochi artificiali. Mentre andavano in giro a cercare dinamite per spararne ancora, caricarono me, mi diedero un piatto di fiocchi d'avena e del latte in un cestino, e mi spararono fino a qui, così ho potuto raccontarvi com'è andata.
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