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Il re superbo

Post n°988 pubblicato il 13 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

In una città lontanissima e sconosciuta, viveva un tempo un giovane monarca.
Il suo palazzo era immenso come il giardino che lo circondava e possedeva tanto di quell’oro che egli stesso non sapeva stimarne il valore preciso. Si chiamava Teofasto ed era molto molto superbo; anche per questo dominava da tiranno, disprezzando il popolo a cui aveva imposto tasse gravose e persino altri sovrani che si era inimicati col suo atteggiamento.
Una notte si scatenò un temporale e il re non riusciva a dormire; tuoni, lampi e vento lo infastidivano.
Pensò dunque di uscire a fare una passeggiata nel suo giardino. Vi chiederete: una passeggiata con quel tempo? Ebbene, il re Teofasto era convinto di essere invincibile e onnipotente: qualche lampo e qualche tuono non l’avrebbero certo spaventato. Prese dunque una grande cappa, se la avvolse intorno al corpo per proteggersi dalla pioggia e uscì.
Era buio e camminando nell’oscurità, il re non si accorse che aveva superato i confini del suo giardino, per ritrovarsi in un posto che non conosceva. Intanto la pioggia continuava a scrosciare e il temporale non cessava.
Teofasto si guardò intorno smarrito. Poi vide per terra una grossa macchia lucente e si avvicinò, sembrava olio e per accertarsene ci mise dentro l’indice; ma, appena la toccò la macchia si estese e ne venne fuori una vecchina rugosa, curva e vestita di stracci, la quale disse:
“Sire, vi stavo aspettando. Avete perso la strada, vero? Seguite le mie indicazioni e la ritroverete.”
Il re la guardò minaccioso e poi scoppiò a ridere: “Io non mi farò mai indicare la strada da una miserabile stracciona. Io sono il re di questa città, sono onnipotente. Aspetterò che cessi la pioggia e all’alba sono sicuro che saprò tornarmene da solo al castello.”
La vecchia rispose: “Va bene Maestà, come volete”. E scomparve.
Intanto la pioggia stava cessando e il re pensò di sdraiarsi a dormire sotto un albero, usando come coperta la sua cappa. Si svegliò quando il sole stava per sorgere e si diresse dalla parte doveva gli sembrava che fosse venuto la sera prima.
Dopo qualche ora di cammino, arrivò ai cancelli del suo giardino, ma li trovò sbarrati e…il castello era scomparso. Impietrito per lo stupore, pensò almeno di chiamare qualche guardiano, ma il posto sembrava abbandonato da secoli.
A questo punto sentì dietro di sé la voce rauca della vecchia che lo chiamava, si girò, e quando la vide dietro di sé, disse ferocemente:
“Ma chi sei tu? Una strega? Hai fatto un incantesimo perché il castello sparisse?”.
La vecchia, senza scomporsi rispose: “Sire, io ero una donna bella e dotata di poteri magici, ma con un incantesimo malvagio fattomi da un’altra donna che aveva i miei stessi poteri ed era invidiosa della mia bellezza, fui ridotta così. Consultai allora una strega e lei mi disse che avrei potuto ritornare ad essere come prima, dando un aiuto a qualcuno che ne aveva bisogno. Ho avuto quest’occasione ieri sera, anche se voi avete rifiutato”.
Ma il re continuava ad essere altero e ostinato: “Brutta megera, io non ho bisogno di te; che cos’è mai questa fandonia dell’incantesimo? Siete brutta come la peste e per giunta bugiarda”.
Non aveva nemmeno terminato di parlar così che una nube di fumo avvolse la vecchia e sparì qualche minuto dopo, lasciando al suo posto una magnifica donna.
Il re sbigottì, ma la donna si pronunciò così: “Vi avevo detto sire, che solo aiutando qualcuno sarei tornata ad essere quella di prima. Io vi ho proposto di indicarvi la strada per tornarvene a casa, dunque ho fatto ciò che dovevo; anche se voi con la vostra alterigia non avete accettato, io comunque sono stata liberata dall’incantesimo”.
Teofasto allora, di fronte a questa dimostrazione, le credette. Poi cominciò a supplicarla di far riapparire il suo castello:
“Perdonatemi, ma se mi accontenterete, io vi darò tutto l’oro che volete”.
La donna disse: “ Sire, dovevate accettare prima il mio aiuto . Ora, se volete far riapparire il vostro castello, dovrete dare prova di umiltà e pazienza”.
Teofasto, messo alle strette, decise di dare ascolto alla donna; dopotutto sull’incantesimo aveva detto la verità; dunque chiese:
“Cosa dovrei fare?”.
La risposta fu: “Voi conoscete il re della città vicina. Andate da lui e chiedetegli delle stoffe”.
Il re sbalordito esclamò: “Perché? A cosa servirebbero? E poi io ho nelle mie sartorie i migliori tessuti che si siano mai visti; perché chiederli a lui, che per giunta è da anni il mio più acerrimo nemico?”.
La donna, mostrando un sorriso ironico, gli rispose:
“Maestà, il castello non c’è più; ricordate? Voi non possedete più nulla. E non esistono nemmeno le scuderie per usare il cavallo. Dovrete raggiungere le città a piedi”.
Il re ebbe l’impressione di vivere un brutto sogno da cui si sarebbe prima o poi svegliato; invece ciò che gli stava accadendo, purtroppo per lui, era tutto vero. Non gli rimaneva che acconsentire a ciò che la donna gli proponeva. Sapeva che la città da raggiungere era ad est e si diresse in quella direzione. Attraversò una sterpaglia, poi si trovò di fronte ad un arco piuttosto basso che appariva come un ingresso; sopra ad esso era scritto questo monito: ”Piega la testa, tu che hai alta la cresta”.
Teofasto si piegò e passò attraverso l’arco che portava in un tunnel sempre basso, per cui egli fu costretto a percorrerlo sempre con le spalle curve.
Dopo un’ora di cammino, si trovò nella città del re nemico. Si diresse verso il suo castello e si fece ricevere. Il re, il cui nome era Alceo, si meravigliò molto vedendolo, ma nascose la sua meraviglia; dunque, dopo i convenevoli, gli chiese incuriosito:
“A che debbo la tua visita, Teofasto?”.
Questi rispose: “Avrei bisogno di tessuti di ogni genere: cotone, lino, lana, seta e quant’altro”.
Alceo scoppiò a ridere: “Sei venuto per prendermi in giro, Teofasto? Sei dunque partito dalla tua città per venire fin qui a chiedermi questo? Non è per caso un tranello per nuocermi? Guarda che le mie guardie sono sempre all’erta. Se nascondi un pugnale sotto il mantello, ti conviene non usarlo, altrimenti verresti subito catturato e ucciso”.
Teofasto raccontò ciò che gli era successo.
Alceo sorrise ed esclamò: “Questa è una bugia. Vattene Teofasto! Non avrai ciò che vuoi; tu sei coperto d’oro fino alla punta dei capelli e vuoi farmi credere che non ci sono stoffe nel tuo maniero?”.
Teofasto insistette, dicendo che il suo maniero era scomparso; e allora Alceo, a cui non mancava la cattiveria, disse:
“Se vuoi ciò che chiedi, passerai sei giorni nelle mie cucine tra gli sguatteri; farai tutto ciò che fanno loro. Dopotutto ogni cosa va guadagnata”.
Teofasto non si ribellò; quasi piangendo si piegò alla volontà del rivale e per un giorno intero lavò i piatti nelle cucine del re Alceo, mentre gli altri servi lo deridevano:
“Un re che fa il servo a un altro re! Quando mai s’è visto? Dovete essere impazzito Maestà”.
Teofasto non rispondeva e piegava il capo, mentre non vedeva l’ora che quei giorni terminassero. Alla fine, ebbe finalmente da Alceo ciò che aveva chiesto.
Uscì dal castello del re nemico sotto il peso delle stoffe che portava sulle spalle e gli venne subito voglia di dormire; pensò che fosse perché non era abituato a lavorare tanto, quindi decise di deporre il carico e di stendersi sotto un albero. Ma al risveglio si trovò nella sua città, laddove aveva lasciato la donna.
Ella vedendolo, esclamò: “Bene Maestà. Ora fate il giro della vostra città e distribuite i tessuti alle famiglie più povere, perché li usino per farne lenzuoli e coperte per il loro letto e vestiti per proteggersi dal freddo e per uscire decentemente vestiti nei giorni di festa”.
Il re Teofasto ormai era pronto a tutto; umiliarsi bussando alle porte dei suoi sudditi poveri, forse era l’ultimo scoglio da superare e poi finalmente avrebbe riavuto il suo palazzo reale.
Ma, come indovinando il suo pensiero, la donna gli disse: “Sire, non prendete questo gesto come un’umiliazione, ma come un atto di carità verso chi per anni non avete considerato, perché la vostra prepotenza e presunzione vi rendevano egoista impedendovi di pensare alle difficoltà dei poveri del vostro regno”.
Teofasto allora andò in città, bussò alle porte di poveri disgraziati, vide la loro miseria e capì.
Tornato presso la sua dimora, non vi trovò più la donna, ma il castello era riapparso.
Entrò e subito chiamò i suoi ministri per prendere i provvedimenti di ridurre le tasse e di distribuire ai più poveri della città il grano dei suoi granai. E così il re Teofasto, a partire da quel giorno, si sentì anche più sereno.

Morale: Chi è troppo superbo, prima o poi è costretto a piegare il capo.

 
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